Il giorno dopo il voto che ha sconquassato la Francia si apre il tempo della riflessione. Terminato un mese sulle montagne russe, tra lo choc per l’avanzata dell’estrema destra e pronostici ribaltati sulla linea del traguardo, ora inzia la fase delicatissima delle trattative e dei compromessi. La prima mossa l’ha fatta Emmanuel Macron: ha deciso di respingere le dimissioni del primo ministro Gabriel Attal e gli ha ufficialmente chiesto di restare per “garantire la stabilità del Paese”. Ovvero, il processo sarà molto lungo e potrebbe slittare a fin dopo le Olimpiadi di Parigi che inaugurano a fine mese. Chi invece cerca di andare in fretta è la sinistra de il Nuovo fronte popolare: hanno bisogno di farsi trovare pronti e mantenersi compatti con un’unica voce. Per questo a fine giornata si incontreranno per cercare un nome che possa rappresentarli. E che però, non è detto vada bene anche al presidente della Repubblica.

I numeriI dati definitivi parlano chiaro: l’Assemblea nazionale è divisa in tre blocchi. Primo quello del Nuovo fronte popolare con 182 seggi. Dietro la coalizione macroniana di Ensemble che ne ha invece 168. L’estrema destra del Rassemblement National, alleato dei dissidenti repubblicani di Eric Ciotti), fermo a 143. Nessuno ha la maggioranza assoluta di 289 deputati, ma i governi possono nascere anche con maggioranze relative forti e grazie ad accordi di sostegni esterni. In termini assoluti, il partito di Le Pen ha preso più voti di tutti (8 milioni e 700mila e 10 milioni insieme agli alleati), ma non è bastato per vincere nelle sfide dirette di ballottaggi e triangolari. La sinistra ne ha presi da sola più di 7 milioni e la coalizione presidenziale di Macron 6 milioni e 313mila. In generale, come analizzato da le Monde, in due anni, ben 155 dei 577 collegi elettorali hanno cambiato di colore politico: c’è stato, scrivono, “uno spostamento a destra” “con 80 seggi assegnati a un deputato più a destra del suo predecessore”. In particolare: “sei sono passati dalla sinistra al centro, quattro dal centro alla destra e sedici dalla destra all’estrema destra”. Resta il fatto che il gioco delle desistenze, ovvero i ritiri strategici del blocco repubblicano contro le destre, ha dato i suoi frutti. Tanto che ora la sinistra può rivendicare di essere l’interlocutore con più peso in Parlamento.

La sinistra alla prova della vittoria – Gli occhi ora sono puntati sul Nuovo Fronte Popolare. La vittoria è arrivata improvvisa e grazie a una mobilitazione che ha coinvolto anche nuovi elettori ed elettrici. Ma la parte più difficile inizia ora. I partiti della coalizione (la France Insoumise di Mélenchon, Socialisti, Ecologisti) devono riuscire a trovare l’intesa su un nome. Poi l’iniziativa sarà di Macron, ma riuscire a mostrarsi compatti è fondamentale e soprattutto agli occhi di chi li ha votati. Il gruppo più numeroso al momento è quello degli Insoumis con 78 eletti (di cui 5 dissidenti che potrebbero uscire) e, come detto dalla capogruppo Mathilde Panot, loro porteranno una proposta al tavolo delle sinistre. Dietro ci sono i Socialisti tra i 62 e i 65 seggi, infine i Verdi tra 33 e 35. Da chi si vogliono far rappresentare? E a chi vogliono affidare la realizzazione di un programma così ambizioso come quello su cui hanno sottoscritto il programma di legislatura? Il nome che circola di più e che divide tutti è quello di Jean-Luc Mélenchon. Difficile che la France Insoumise lo tenga fuori dall’inizio, ma anche difficile che non sappiano quanto . Insomma, mediazioni che partono in salita. E l’incognita principale riguarda i tempi- Il segretario dei Socialisti, Olivier Faure, e l’”insoumise” Panot, in mattinata, hanno entrambi affermato che il Nfp proporrà un nome “entro la settimana”. Sempre Faure, ha messo in chiaro che, se la scelta non avverrà per consenso, dovrà esserci “necessariamente un voto” per individuare il nome. La riunione della serata aiuterà a fare chiarezza.

La sconfitta della destra (che però ha preso più voti di tutti) – Dopo che ieri sera, a caldo, il leader dell’estrema destra Jordan Bardella ha cercato di abbozzare rivendicando la crescita senza precedenti in Parlamento, oggi ha ammesso che qualcosa non ha funzionato. Perché se, da una parte, è vero che il blocco repubblicano è riuscito in un’impresa impensabile, dall’altra la crescita del RN c’è stata e si confermano il terzo blocco più numeroso. L’amarezza per la dinastia Le Pen è quella di essere arrivati così vicini al potere e aver visto sfumare tutto in pochi minuti. Lo stesso Bardella ha ammesso, oggi, che sono stati commessi “errori”. E si è anche assunto “parte di responsabilità” per quella che, dice Bfmtv, ha definito “una sconfitta” per il partito. Bardella in particolare ha fatto riferimento alla “nomina di un certo numero di candidati” criticati per aver fatto commenti discriminatori o a tema cospirativo, che a suo avviso “non corrispondevano” alla sua “linea politica”. France Info ha aggiunto che Bardella, parlando davanti alla sede del partito, ha tuttavia ribadito le accuse al blocco delle sinistre e ai macronisti per gli accordi di desistenza fatti in funzione anti-RN: “Speravamo di avere la maggioranza assoluta. Il RN è ora la prima forza politica in termini di numero di voti e gli accordi elettorali tra Mélenchon e Macron ci hanno impedito di ottenere la maggioranza, quindi capisco la frustrazione di milioni di francesi”, ha dichiarato. Intanto Bardella ha incassato la nomina di capogruppo dei Patrioti al Parlamento Ue, dove è stato eletto a inizio giugno. Ben lontano da Matignom, il Palazzo Chigi francese, dove invece si era immaginato per settimane. Uno scenario che, fino a 24 ore fa, era considerato impensabile.

Il campo macroniano contro la sinistra – Macron dal canto suo cerca di prendere tempo. Ma i suoi sono già partiti all’attacco e con l’unico obiettivo di prendersela con la France Insoumise di Mélenchon. La strategia, neanche troppo nascosta, è quella di far scoppiare l’asse a sinistra e lavorare per un governo sostenuto dai moderati dell’Assemblea nazionale (dai Socialisti ai Repubblicani). In questo senso vanno lette tutte le dichiarazioni del campo presidenziale. “La nuova situazione politica”, ha detto il ministro dell’Economia Bruno Le Maire, “presenta tre rischi principali. Sta a noi respingerli. Il rischio più immediato è una crisi finanziaria e il declino economico della Francia. L’applicazione del programma di rottura del Nuovo Fronte Popolare distruggerebbe i risultati della politica che abbiamo portato avanti per sette anni e che ha dato alla Francia lavoro, attrattiva e fabbriche. Questo progetto ha un costo esorbitante, è inefficace e datato. La sua legittimità è debole e circostanziata. Non deve essere applicato“.

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