Le recentissime elezioni francesi ci forniscono una chiave di lettura rispetto alla narrazione che si è fatta, negli ultimi anni, sulla crisi della sinistra: o meglio ancora sulla sua presunta sparizione dai radar della storia. E ci dicono molto altro sul marketing elettorale e sulla mitologia del consenso della destra attorno alla sua proposta politica. Due aspetti su cui è il caso di soffermarsi.

In primo luogo, una cosa che le ultime tornate elettorali insegnano alla politica italiana è che il voto anticipato, in caso di crisi del sistema politico, sembra premiare il leader di turno. È successo in Spagna con Sanchez, dato per spacciato e rinominato premier. Ha funzionato con Macron, che di certo non esce da queste elezioni come il grande sconfitto, ruolo che invece spetta a Marine Le Pen e al suo lugubre partito di estrema destra. Da noi, invece, aver insistito con governi tecnici e di unità nazionale – soprattutto dopo la rovinosa “era Renzi” – ha portato alla vittoria di quelle forze che in paesi più civili del nostro vengono giustamente tenute ai margini della democrazia.

Secondo aspetto importante: le democrazie occidentali sembrano avere buoni anticorpi che resistono alla marea nera. Si è già parlato delle elezioni spagnole, di qualche mese fa. Più della metà dell’elettorato ha detto alla destra, moderata e estrema, che quel progetto non doveva passare. E infatti non è passato. Le elezioni europee hanno sicuramente dato più spazio alle destre illiberali, ma i due terzi di chi ha votato in cabina elettorale hanno scelto forze democratiche (di centro e di sinistra). In Italia, le amministrative hanno premiato indiscutibilmente il campo progressista. E infine, nell’ultima settimana, in Inghilterra e in Francia le forze sovraniste e fasciste sono state travolte e umiliate dal voto popolare (anche se un discorso a parte andrebbe fatto sui sistemi elettorali).

Questo il quadro generale da analizzare e che deve tener conto di un dato cruciale: l’estrema destra è una realtà che può arrivare al potere. E fingere che questo non possa avvenire per alchimie elettorali è un errore gravissimo. Non bastano le coalizioni progressiste e le desistenze repubblicane per costruire un argine democratico definitivo. Perché se la marea nera si fa più pressante, quell’argine può essere rotto. La differenza la fanno le scelte politiche. E le scelte degli ultimi anni, improntate da uno sciagurato “centrismo” liberista – in Ue come in Italia – sono fallimentari e aprono la strada all’insorgenza dei nuovi fascismi. Più stato, più garanzie per chi lavora, più protezione per chi il lavoro lo ha perso e anche più diritti (civili, sociali e ambientali) possono essere una cura efficace a un morbo che si presenta come cura, ma che è il male della democrazia, in tutto il continente.

E qui passiamo al secondo punto su cui riflettere: la retorica di destra, in Italia soprattutto. Giorgia Meloni si fa forte del voto popolare, anche se omette di dire che il suo successo nasce dal fatto che i suoi avversari si sono presentati divisi, che metà dell’elettorato non è andato alle urne e che oggettivamente chi l’ha combattuta in campagna elettorale o era politicamente morto o troppo compromesso per rappresentare un’alternativa credibile. In altre parole, la destra in Italia ha vinto perché le forze di sinistra si sono presentate divise e per un pregresso imbarazzante. Non perché lei era migliore, ma perché gli altri erano peggio.

Proporre un forte programma di riforme sociali, dal salario minimo alla reintroduzione dell’articolo 18, e civiche – matrimonio egualitario, legge contro l’omo-lesbo-bi-transfobia (e io ci andrei col pugno durissimo, questa volta), nuova legge sulla riassegnazione di genere, riforma delle adozioni, regolamentazione della Gpa, messa al bando delle associazioni provita dai consultori, potenziamento della legge 194, aborto come diritto umano, eutanasia… (giusto per citarne alcune) – e non avere tentennamenti su tali questioni, come succede nel resto delle democrazie occidentali, può essere un buon inizio per costruire un’alternativa a una destra che vuole distruggere l’unità nazionale e l’impianto democratico della nostra Costituzione.

L’alternativa è un’Italia “à la Orban”. Destinata, sul medio e lungo periodo, a essere travolta da mutamenti profondi. Bisogna solo capire se dare il cambiamento in mano a questa destra, che umilia e mette a rischio la democrazia con la sua offerta politica autoritaria o a forze democratiche e progressiste che però dovranno cambiare profondamente per vincere le sfide del futuro. Dall’Europa arrivano segnali di vita. Sta a noi capire qual è la strada da intraprendere.

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