Di chi è la mano che ha ordinato di distruggere anche i brogliacci delle intercettazioni sui fratelli Nino e Salvatore Buscemi? C’è anche questa domanda nell’indagine della procura di Caltanissetta su Gioacchino Natoli, magistrato in pensione e già componente del pool Antimafia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. L’ex pm è indagato per favoreggiamento alla mafia e calunnia: è accusato di aver voluto insabbiare una vecchia inchiesta sui Buscemi e i Bonura, imprenditori mafiosi vicini a Totò Riina, poi divenuti soci del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini. L’indagine, archiviata nel giugno del 1992, era nata su input della procura di Massa Carrara, che aveva puntato i riflettori sulle infiltrazioni mafiose nelle cave di marmo in Toscana. Interrogato dai magistrati di Caltanissetta tre giorni fa, Natoli si è avvalso della facoltà di non rispondere. I suoi difensori, gli avvocati Fabrizio Biondo ed Ettore Zanoni, hanno fatto sapere che l’ex pm “si riserva di chiedere alla procura un successivo interrogatorio in cui fornire ogni utile chiarimento”. A favore di Natoli si è espressa pubblicamente Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso nella strage di Capaci. Comunicati di solidarietà al pm indagato sono arrivati anche dai parlamentari del Pd e del Movimento 5 stelle in commissione Antimafia.

La prassi della distruzione delle bobine – Nei mesi scorsi questa vicenda è stata ricostruita proprio davanti ai commissari di Palazzo San Macuto ed è stata fonte di roventi polemiche. Il primo a parlarne, nel settembre del 2023, è stato l’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino. Dopo aver legato quell’indagine al dossier Mafia e appalti, considerata dal legale e dagli ex vertici del Ros dei Carabinieri come il movente segreto della strage di via d’Amelio, Trizzino aveva accusato Natoli di aver “inspiegabilmente” chiesto di smagnetizzare le intercettazioni dei fratelli Buscemi. Accuse alle quali Natoli aveva replicato con un’intervista al Fatto Quotidiano e poi durante un’audizione sempre davanti alla commissione Antimafia. La smagnetizzazione delle bobine era una “prassi adottata dal Procuratore di Palermo dettata sia dalla necessità di riutilizzare le bobine smagnetizzate per la nota carenza di fondi ministeriali fortemente presente in quel periodo, sia per la mancanza di spazi fisici per la conservazione dei nastri”, aveva spiegato l’ex componente del pool Antimafia di Palermo. Argomentazioni contenute anche in un documento di 28 pagine, intitolato “brevi note di chiarimento“, che Natoli ha depositato agli atti dell’Antimafia e inviato via pec pure alla procura di Caltanissetta.

Il giallo della calligrafia – Allegati a quel file c’erano anche numerosi documenti, che Natoli ha recuperato negli ultimi mesi per replicare alle accuse di Trizzino. A cominciare dal provvedimento con cui, nel giugno del 1992, l’allora sostituto procuratore di Palermo ordinava la “smagentizzazione” dei nastri con le registrazioni telefoniche dell’inchiesta. In quell’atto, però, compare anche un’aggiunta a penna che dispone pure la “distruzione dei brogliacci“, cioè gli appunti scritti dagli uomini del Gico della Guardia di Finanza durante l’ascolto delle intercettazioni. Quell’ordine, ha sostenuto Natoli, “non è riferibile alla mia persona, essendo stato aggiunto a mano da qualcuno con una calligrafia che, all’evidenza, non è la mia, dopo la consegna all’Ufficio Intercettazioni in data 25 giugno 1992″. E in effetti, a leggere quel documento, la frase che ordina di distruggere i brogliacci sembra essere stata tracciata da una mano diversa rispetto a quella che appone la firma di Natoli. Ma quella calligrafia è diversa anche dalla quella che più sotto ha scritto: “Preso in carico per l’esecuzione, Palermo 25 giugno 1992″. Poi c’è un’altra firma: “Galati“. Si tratta di Damiano Galati, storico funzionario del Centro Intercettazioni telefoniche. Secondo la procura di Caltanissetta, Galati è stato calunniato da Natoli. Nell’invito a comparire inviato all’ex pm, infatti, c’è scritto: “Affermando che la locuzione manoscritta e la distruzione dei brogliacci, vergata sul provvedimento di smagnetizzazione delle bobine delle intercettazioni telefoniche eseguite nel procedimento penale n. 3589/1991, recante la sua firma e depositato in data 25 giugno 1992, era stata apposta dopo il deposito del predetto atto presso la segreteria del C.I.T. (Centro Intercettazioni telefoniche), incolpava Galati Damiano, in quel momento responsabile amministrativo di tale Ufficio, che aveva ricevuto personalmente il suindicato provvedimento, del sopra citato delitto di falso materiale, pur sapendolo innocente”. Nella mail inviata alla procura, per la verità, Natoli non cita mai il nome di Galati e non accusa nessuno in particolare di aver modificato quell’ordine di distruzione delle intercettazioni.

L’indagine su Screpanti – Davanti alla commissione Antimafia, l’ex pm aveva sostenuto come la richiesta della smagnetizzazione di quelle bobine fosse dovuta al fatto che le intercettazioni sui Buscemi avevano dato “esito negativo“. Natoli aveva anche raccontato che in realtà quei nastri non furono poi effettivamente mai distrutti, ma sono sempre rimasti nell’archivio del Palazzo di giustizia di Palermo. Ed è lì che li ha rinvenuti la procura di Caltanissetta. Secondo l’edizione palermitana di Repubblica, non c’è invece traccia di tre dei quattro brogliacci riepilogativi. Negli scorsi mesi la procura di Caltanissetta ha affidato ai finanzieri del comando provinciale di Caltanissetta l’incarico di riascoltare quelle vecchie intercettazioni. In questo modo le Fiamme gialle avrebbero scoperto l’esistenza di dialoghi “rilevanti” contenuti in quei nastri. A leggere l’invito a comparire spedito dall’ufficio guidato da Salvatore de Luca a Natoli, infatti, si apprende che tra quelle intercettazioni ci sono “vere e proprie autonome notizie di reato“. Si tratterebbe di registrazioni che non compaiono tra i 29 dialoghi trascritti e riportati nelle annotazioni conclusive del Gico, contenute nell’originario fascicolo d’indagine. Sempre secondo Repubblica, i pm di Caltanissetta hanno inviato un invito a comparire anche a Stefano Screpanti, generale del Nucleo per la repressione delle frodi Ue, alle dipendenze del dipartimento per gli Affari europei e quindi del ministro Raffaele Fitto. All’epoca dei fatti era un giovane capitano del Finanza: secondo gli inquirenti sarebbe stato “coesecutore materiale” delle condotte di Natoli. Azioni di cui l’istigatore, sempre per i pm nisseni, sarebbe Piero Giammanco, ex procuratore capo di Palermo. Se non fosse morto nel 2018, sarebbe a sua volta coinvolto nelle indagini.

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