L’87% del Mar Mediterraneo è inquinato, soprattutto a causa di metalli tossici, sostanze chimiche industriali e rifiuti di plastica. Con 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato, inoltre, presenta la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nelle profondità. Sono i numeri della prima parte, dedicata proprio all’acqua, del report “Non c’è salute in un ambiente malato” che il Wwf pubblica in occasione della Giornata internazionale del Mar Mediterraneo, ricordando che l’inquinamento idrico provoca circa 1,4 milioni di morti premature nel mondo, ogni anno. Nel report si affrontano temi come l’inquinamento da plastica e da Pfas, gli inquinanti eterni al centro di diverse inchieste. Nelle stesse ore in cui il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin definisce il Mar Mediterraneo “un’immensa risorsa ambientale e di crescita economica” e assicura che “tutte le scelte dell’Italia” puntano a “difenderne le prerogative ecosistemiche e valorizzarne il ruolo di ponte tra Paesi, storie e culture”.
Eppure è di poche settimane fa, per esempio, la notizia che l’Ue ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia e la sua attuazione della direttiva sulla plastica monouso, mentre il nostro Paese non si è ancora dotato di una legge che vieti i Pfas nonostante i gravi casi di inquinamento, come quelli del Veneto e del Piemonte.
Decessi aumentati del 66% – Con il dossier, l’associazione ambientalista inaugura, dunque, una collana dedicata agli inquinanti prioritari presenti sul Pianeta e alle azioni che si possono mettere in atto per contrastarli, nell’ambito della campagna Our Future. Di fatto, anche acque dolci, aria e suolo non sono esenti dai problemi di inquinamento che affliggono il Mediterraneo. Negli ultimi due decenni, i decessi causati dalle moderne forme di inquinamento (atmosferico e da sostanze chimiche tossiche) sono aumentate del 66%, fino a raggiungere i 9 milioni di morti l’anno, il che rende l’inquinamento il principale fattore di rischio ambientale per malattie e morti premature a livello mondiale.
L’inquinamento chimico delle acque – Mari, fiumi laghi, zone umide e falde acquifere sono pesantemente colpiti, soprattutto dall’inquinamento da pesticidi e nutrienti provenienti dall’agricoltura, metalli pesanti, agenti patogeni e residui chimici provenienti da fanghi e acque reflue non trattate sia industriali sia urbane. Esempi sono le sostanze fluorurate e bromurate come Pfas e Pbde, detergenti contenenti fosfati, disinfettanti/antimicrobici, tensioattivi, plastica, farmaci.
“L’acqua è la principale ‘autostrada’ e destinazione finale dei nostri rifiuti e degli inquinanti chimici, che trasporta in tutto il mondo. Fino a 400 milioni di tonnellate di sostanze chimiche provenienti da impianti industriali vengono scaricate ogni anno nelle acque del mondo” spiega l’associazione. Si stima che un terzo della perdita di biodiversità globale sia conseguenza del degrado degli ecosistemi d’acqua dolce, dovuto principalmente all’inquinamento delle risorse idriche e degli ecosistemi acquatici. Particolarmente preoccupanti sono i Pfas, perché molto tossici e persistenti ma utilizzati in moltissimi prodotti di plastica di uso comune: dai contenitori per alimenti, ai vestiti. Sono definiti “contaminanti eterni” perché non si degradano mai e si accumulano nell’ambiente e negli organismi, con gravi effetti sulla salute. Le concentrazioni di Pfos, per esempio, negli organismi marini sono state riscontrate a livelli fino a 100 volte superiori allo standard di qualità ambientale dell’Ue.
Lo stato dei corpi idrici europei – Come segnala il WWF nel suo report, in Europa, meno della metà (44%) dei corpi idrici superficiali è in buono o ottimo stato ecologico, anche dal punto di vista chimico. In Italia, il 13% dei fiumi e l’11% dei laghi non raggiungono il buono stato, ma il 9% e il 20% rispettivamente non sono ancora classificati. Per quanto riguarda i mari d’Europa, tra il 75 e il 96% delle aree valutate presenta un problema di contaminazione. In Italia, per molte sostanze chimiche ancora non ci sono dati di monitoraggio sufficienti per valutare lo stato delle acque marine ma i dati disponibili indicano un diffuso e complessivo cattivo stato dei mari. “Per ridurre l’inquinamento servono un’azione e un cambiamento collettivi poiché questo è il risultato di molteplici attività che si svolgono nella maggior parte dei settori sociali ed economici, ed è regolamentato da autorità internazionali, nazionali, regionali e locali” afferma Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità del WWF Italia, secondo cui “serve maggiore trasparenza sulle sostanze chimiche presenti nei prodotti, sia lavorando sull’etichettatura, sia sulla sensibilizzazione dei consumatori, riducendo l’utilizzo di sostanze dannose per la salute e per l’ambiente”.
La contaminazione da plastica nel Mediterraneo – Il Mediterraneo è il mare con un triste primato, la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nelle profondità marine: 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato, più del limite massimo tollerabile di presenza di microplastiche “oltre il quale non c’è più sicurezza di mantenere le condizioni favorevoli alla vita e al benessere umano” si spiega nel report. Le materie plastiche (che costituiscono il 75% dei rifiuti marini) trasportano sostanze chimiche: è stato calcolato che, insieme ai rifiuti di plastica, in un solo anno siano entrate negli oceani 190 tonnellate di 20 diversi additivi chimici. Fino a 16mila diverse sostanze chimiche sono state ritrovate nelle plastiche tra coloranti, ritardanti di fiamma, stabilizzanti, lubrificanti, plastificanti e altre sostanze, molte delle quali hanno funzioni, strutture e tossicità poco conosciute. Di queste solo su 7mila abbiamo dati certi di pericolosità, mentre il 66% delle sostanze è senza informazioni.
Gli effetti sugli esseri viventi – La ricerca, infatti, evidenzia gli effetti gravi che l’inquinamento chimico da microplastiche sta causando ad intere popolazioni di specie selvatiche, habitat ed ecosistemi acquatici (ma anche terrestri). Aumentano anche le prove scientifiche degli effetti sulla salute umana: infiammazioni, alterazioni cellulari e genotossicità che possono portare conseguenze gravi, tra cui cancro, problemi riproduttivi, di sviluppo, respiratori e digestivi, obesità, diabete. Un recente studio italiano dimostra per la prima volta una correlazione tra la presenza di microplastiche nelle placche aterosclerotiche, i depositi di grasso nelle arterie, e un maggior rischio di infarto e ictus. Inoltre, è stato scoperto che le microplastiche contribuiscono anche alla crescita della resistenza agli antibiotici, problematica gravissima a livello mondiale.