Tarnjit Singh, collega di Satnam Singh, nonché uno dei tre testimoni dell’incidente che ha causato la morte del bracciante indiano lo scorso 17 giugno, in un’intervista a La Repubblica, ha chiarito le dinamiche che hanno portato alla morte dell’amico. Il giovane, anch’esso indiano, partito dal suo paese dopo aver venduto casa e terreni, in Italia ha lavorato con l’Agrilovato per un anno.
L’incidente – Quella mattina Tarnijit è partito assieme ad altre 4 persone: il padrone, Antonello Lovato, Satnam e sua moglie Soni e Alessandra, una bracciante italiana di 45 anni della provincia di Latina. “Di mattina – ha spiegato il 30enne – avevamo raccolto le zucchine, quindi tolto l’erba dai campi dei meloni. Nel pomeriggio abbiamo iniziato a riavvolgere la rete che copre gli stessi meloni. Una rete di tessuto, simile a cotone”. “Avevamo lavorato fino alla mezza e riposato un’ora, non eravamo stanchi“, ha aggiunto Tarnjit. Al momento dell’incidente, il ragazzo era il più lontano da Satnam che si trovava vicino a Lovato, di fronte al trattore e vicino “a quel macchinario molto vecchio che avvolge la rete”. Secondo la testimonianza del giovane, l’amico non poteva evitare di avvicinarsi alla macchina, come invece Lovato sostiene di aver più volte consigliato al lavoratore. “Quel lavoro – ha specificato il collega intervistato – spettava a lui. Come faceva a stargli lontano?”. Ad un certo punto, le urla dell’uomo: “Gridava fortissimo, implorava il cielo di aiutarlo. La moglie e l’italiana sono corsi verso di lui, e anch’io. Satnam aveva il braccio destro staccato all’altezza del muscolo e mangiato in altri due punti, la moglie singhiozzava e diceva a Lovato: ospedale, ospedale”.
I soccorsi mai arrivati – Secondo la ricostruzione di Tarnjit Singh, Antonello Lovato continuava a dire che il lavoratore fosse morto, ma invece l’uomo respirava ancora anche se debolmente. Il tutto mentre la moglie Soni implorava di chiamare un’ambulanza. “È morto, non so dove buttarlo” ha detto Lovato, almeno stando a quanto dichiarato dal bracciante indiano a La Repubblica. Alle richieste di Soni, Lovato ha risposto che l’ambulanza non avrebbe mai raggiunto la campagna. “Ho chiamato mio cugino che parla meglio italiano. Anche lui: devi portarlo in ospedale” ha poi raccontato Tarnjit Singh. Il padrone a quel punto ha preso il corpo e l’ha portato verso il furgone; Tarnijit, rispondendo agli ordini di Lovato, ha allargato le porte della vettura dove è stato appoggiato il corpo mutilato. “Pensavo lo avrebbe portato in ospedale”, ha detto. Il furgone è partito, “ho raccolto i bracciali del mio amico e li ho portati nel capannone dove pranzavamo. L’ho chiamato al cellulare – ha continuato – Poi la moglie. Silenzio“. “Nel campo – ha specificato il ragazzo – c’eravamo solo noi“.
Nessun complice – A quanto dichiarato a La Repubblica, Tarnjit non ha più incontrato Soni. Dopo la morte di Satnam, però, il cugino si è recato nell’abitazione della coppia dove ha incontrato anche la segretaria indiana della Cgil agricoltori Hardeep. “Mio cugino le ha detto che ero pronto a testimoniare e la segretaria si è arrabbiata – ha raccontato il 30enne indiano – Ha iniziato a dire che io non avevo aiutato Satnam, che il padrone meritava trent’anni di galera ed io quaranta. Non sono stato complice di nessuno, ho solo aperto le porte del furgone sperando che lo portassero in ospedale”. Non era Tarnjit il caporale del gruppo: “Antonello mandava i messaggi a Satnam da solo”. Se fosse stato portato in ospedale, ha continuato il lavoratore, l’uomo si sarebbe salvato. Il ragazzo ha descritto Lovato come una persona normale, non animato da pregiudizi raziali: “A volte pranzava con noi, quando pioveva accompagnava Satnam a casa”. “Ero amico di Satnam – ha concluso Tarnjit – abbiamo lavorato tanto insieme”.