Ci sono le rassicurazioni dell’ad Carlos Tavares e gli auspici verbali del ministro Adolfo Urso. E poi c’è la realtà, certificata dai numeri della produzione. Nei primi sei mesi del 2024, Stellantis ha prodotto in Italia il 25,2% in meno delle vetture rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Gli stabilimenti di Mirafiori e Melfi stanno scomparendo con un calo rispettivamente del 63,4% e 57,6%. Un disastro che coinvolge anche Cassino (-38,7%, con numeri simili a quelli del lockdown) e Modena, dove si sfornano le Maserati (-73,6). Regge solo Pomigliano d’Arco, con un +3,5%. Insomma, se si escludono i veicoli commerciali della Sevel-Fiat Professional di Atessa, che fa segnare +2% e ha assemblato 117mila furgoni, il calo del solo settore auto è del 35,9% con appena 186.510 macchine uscite dagli stabilimenti (erano state 291.110 tra gennaio e giugno 2023). Le favole sull’attaccamento all’Italia e il “2024 fantastico” (John Elkann dixit) della casa automobilistica – controllata da Exor della famiglia Agnelli – si sciolgono di fronte al “Report sulla produzione e occupazione degli stabilimenti italiani”, presentato dalla Fim-Cisl.
I proclami disattesi del governo
I numeri sono una via crucis imbarazzante anche per il governo Meloni, impegnato da un anno in una battaglia di facciata con i vertici del gruppo dalla quale finora è uscito con le ossa rotte. Le promesse di un’intesa per rilanciare la produzione e raggiungere un milione di vetture all’anno è rimasta a mezz’aria e Urso, nonostante le richieste esaudite (battaglia in Ue per eliminare lo stop agli Euro 7 e incentivi cuciti su misura), ha ottenuto solo successi di facciata come il cambio del nome dell’Alfa Romeo Milano e la cancellazione del tricolore dalla carrozzeria della Topolino prodotta in Marocco. A conti fatti, il rilancio del settore automotive è congelato, anzi decisamente più lontano di un anno fa quando il ministro delle Imprese e del Made in Italy vaticinava un accordo di sviluppo entro agosto (quello scorso, non il prossimo).
Mirafiori, l’emblema del naufragio
Il polo produttivo torinese è l’emblema del naufragio della politica industriale ursiana. Da gennaio al 30 giugno, a Mirafiori sono state prodotte 19.510 autovetture, il 63% in meno rispetto alle 53.330 unità rilevate nel 2023. “Il 90% dei volumi dello stabilimento torinese, pari a 17.660, sono rappresentati da 500 bev, il restante è rappresentato dalle produzioni Maserati con 1.850 unità. Quest’ultime ben lontane dalle 10.000 prodotte negli anni di punta”, segnala la Fim-Cisl. Dal 19 febbraio nei giorni in attività si è utilizzato l’ammortizzatore sociale coinvolgendo mediamente 35%-40% dei 1.050 lavoratori sulla linea della 500 elettrica. La fabbrica è inoltre rimasta chiusa per 45 giornate, 19 nel primo trimestre e 26 nel secondo, su entrambe le linee produttive. Senza contare che lo stabilimento chiuderà con 20 giorni di anticipo rispetto alle ferie estive programmate e a settembre non ci sono segnali di rilancio. Da mesi i sindacati segnalano come Mirafiori vada a consunzione, ma gli appelli finora sono rimasti lettera morta.
Il tracollo di Melfi e il dramma dell’indotto
Non se la passano meglio i 5.425 dipendenti di Melfi, dove la produzione – Jeep Renegade, Jeep Compass e 500x – è crollata dalle 110.820 ad appena 47.020 automobili con un arretramento del 57,6%. In termini di volumi è la fabbrica che perde il maggior numero di auto in attesa della partenza della nuova piattaforma che dovrebbe portare alla produzione di cinque modelli. “Nel primo trimestre gli stop produttivi collettivi sono stati complessivamente 28 giorni, nel secondo 37 per un totale di 65 gestiti con il contratto di solidarietà – segnala la Fim – Negli altri giorni l’utilizzo del contratto di solidarietà è stato nel primo trimestre del 23% pari ad una media di 1.282 lavoratori ogni giorno, peggiorando nel secondo trimestre con un 40% su una media di 1.500 lavoratori giornalieri”. Senza contare le ripercussioni sull’indotto che in Basilicata coinvolge circa 3mila lavoratrici e lavoratori.
Modena col contagocce e il “decimo” di Cassino
È sostanzialmente fermo il polo Maserati di Modena, dove si è passati da 600 ad appena 160 autovetture prodotte. Una riduzione di tre quarti che ha portato a un largo utilizzo della cassa integrazione. Storico anche il calo di Cassino, dove la produzione è arretrata del 38,7% arretrando da 25.940 autovetture a 15.900. Un dato assimilabile a quello del semestre del lockdown per il Covid. Così in fabbrica i 2.700 dipendenti lavorano su un turno unico da mesi per sfornare Maserati Grecale e due Alfa Romeo (Giulia e Stelvio). Il raffronto con il 2017 racconta il crollo verticale del sito: sette anni fa occupava oltre 4.500 dipendenti che nei primi sei mesi produssero 153.263 automobili. In una manciata di anni, insomma, lo stabilimento laziale si è ridotto ad assemblar un decimo delle vetture. Così, nonostante il numero dei lavoratori si sia quasi dimezzato, sono attese altre uscite e nel frattempo Stellantis ha proposto a decine di dipendenti di lavorare in trasferta in Francia per evitare la cassa integrazione.
Pomigliano e Atessa tengono (ma il barometro…)
A salvarsi dal profondo rosso sono solo gli stabilimenti di Pomigliano e Atessa. Nel sito campano, dove la Panda è stata confermata fino al 2029, è concentrata oltre la metà della produzione italiana con 103.920 vetture (+3,5% sul 2023). Ma non è comunque tutto oro quel che luccica: “Nei dati disaggregati Panda cresce rispetto al primo semestre del 2023 con un +20%, mentre sulla linea dell’Alfa Romeo Tonale e del Dodge Hornet riscontriamo un calo del -26%, con una flessione in peggioramento rispetto a quella riscontrata nei primi tre mesi dell’anno”, fa notare la Fim sottolineando che la flessione dei volumi ha portato già nelle ultime settimane di marzo la produzione su un unico turno e a un uso della cassa integrazione con 13 giorni di stop produttivo. Il sindacato riscontra alcuni segnali negativi anche ad Atessa, dove la previsione di inizio anno era di produrre 255mila veicoli commerciali con un incremento dell’11% rispetto al 2023: “La situazione è cambiata nel mese di giugno”, quando per 15 giorni sono stati collocati in cassa integrazione dai 400 ai 600 operai a causa della diminuzione degli ordini dei cabinati, mentre in Polonia venivano aumentati i turni.
Il 2024 verso appena 500mila vetture
“La produzione di cabinati per i camper da 400 al giorno, sono passati a circa 100 al giorno. La situazione è peggiorata nel mese di luglio dove l’azienda ha già comunicato un calo produttivo anche sulle produzioni Van”, continua la Fim. E da oggi si lavora su due turni con 800 persone in cassa integrazione, mentre il sito chiuderà con 12 giorni di anticipo rispetto alle ferie collettive previste dal 4 agosto. “Se l’andamento riscontrato nel primo semestre 2024 venisse confermato nei prossimi mesi e senza inversione di tendenza per gli incentivi, partiti di fatto con ritardo nel mese di giugno, la produzione complessiva si attesterà intorno alle 500mila unità, al di sotto delle 751mila dello scorso anno”, fa notare il segretario generale della Fim Ferdinando Uliano. A Stellantis non è rimasto altro che confermare di avere “l’ambizione condivisa con il governo italiano di raggiungere un milione di veicoli prodotti in Italia entro il 2030″, sostenendo che “c’è la necessità di superare le incertezze dell’elettrificazione e di una maggiore stabilità della domanda”. Facendola breve: ce la faremo solo se ci darete altri soldi pubblici. Una minestra riscaldata, la solita.
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