Come se la Francia fosse arrivata nell’occhio del tornado, Emmanuel Macron ora chiede tempo. E cerca di approfittare di quella piccola parentesi di calma strappata alle settimane più convulse di sempre. Quindi: respinte le dimissioni di Gabriel Attal da primo ministro, il governo rimane in carica, il capo dell’Eliseo parte per gli Usa e si prepara a inaugurare i Giochi Olimpici di Parigi di fine mese. Per la prossima mossa bisognerà aspettare ancora. La sinistra intanto, cerca il suo nome per farsi trovare pronta. Ma la strada è in salita e quel tempo imposto dal presidente della Repubblica può logorare, ma anche aiutare a chiarire intenzioni e (soprattutto) ambizioni. La vera scadenza? La legge di bilancio in autunno, quando il tempo sarà scaduto davvero. E non ci sarà più nemmeno l’alibi della tregua olimpica.

Fino a quando può resistere il governo Attal? – In Francia possono nascere governi sostenuti anche da maggioranze relative e non assolute. Era il caso del governo Attal fino a ieri e, proprio su questa base, Macron sa che può temporeggiare. Stando a quanto prevede la Costituzione francese, l’esecutivo potrebbe stare in carica finché non viene buttato giù da una mozione di censura. Le prossime tappe dell’Assemblea nazionale sono codificate: il 18 luglio c’è l’insediamento e si vota per il presidente dell’Aula. Poi ci saranno almeno due settimane di lavori e poi, salvo deroghe, dal 2 agosto inizieranno le vacanze dei deputati. Ma la Francia ha un altro problema da risolvere: il 26 luglio si accendono i riflettori del mondo intero sui Giochi Olimpici di Parigi e non è escluso che il governo Attal resti in carica per gestire quella fase di cerimonie ufficiali e rappresentanza. Macron è quello che ha voluto e preteso festeggiamenti da “grandeur” del passato e farà di tutto perché non siano ofuscati dagli scontri politici. Tra l’altro, osservano i commentatori francesi, quel palco darebbe al delfino del presidente della Repubblica la possibilità di aumentare il suo capitale politico in vista delle presidenziali. Una dose di visibilità che, se le cose andassero bene, potrebbe favorire proprio il suo gradimento. Un calcolo che per Macron potrebbe non essere stato secondario.

La strada in salita per le sinistre – Mentre il presidente si fa le strategie nel chiuso delle sue stanze, fuori ci sono però forze che hanno preso voti (anche in sua difesa) e chiedono di contare. Chi pretende di essere considerato per la formazione del nuovo governo, e legittimamente, è il Nuovo fronte popolare della sinistra. Verissimo: sono primi e hanno vinto anche grazie alle desistenze dei macroniani. Ma che piaccia o meno a Macron hanno il peso maggiore nell’Assemblea Nazionale e questo non è un dettaglio secondario. Il presidente della Repubblica ha una sua autonomia nel proporre il nome del primo ministro, ma deve per forza tenere in considerazione la maggioranza che troverà nella Camera francese. Quindi è per forza condizionato dai numeri. La sinistra è partita in quarta e, ieri mattina, ha detto che entro la settimana avrebbe annunciato il nome a cui vuole affidare la realizzazione del programma. Ieri sera però, le forze del fronte popolare si sono incontrate “in un luogo segreto” e, come da previsione, hanno visto che la matassa è molto ingarbugliata. “Il nome non è una priorità”, ha detto la segretaria dei Verdi Marine Tondelier. Lei che stata la rivelazione della campagna elettorale, tra l’altro, è uno dei nomi che circolano quando si cercano i “mediatori”. Perché se la France Insoumise per forza di cose non esclude a priori il proprio leader Jean-Luc Mélenchon, sa già che portando quel nome al tavolo non riuscirà a concludere molto. Proprio la sua formazione però, è quella che ha ottenuto più deputati. Quindi a rigor di logica, a loro spetterà fare una proposta e sono in salita le quotazioni anche di altri volti di Insoumis come Manuel Bompard o Mathilde Panot. Se invece, il fronte decidesse di optare per un nome di maggiore dialogo anche verso l’esterno, la scelta potrebbe propendere per altre figure. Tondelier appunto. Ma anche e soprattutto moderati come Raphael Glucksmann, che ha aiutato i Socialisti a resuscitare alle ultime Europee e che per primo ha usato parole di dialogo dopo il voto di domenica. “Ora dobbiamo comportarci da adulti”, ha detto. Chi scalpita è poi François Ruffin, rieletto deputato e in aperta polemica con Mélenchon: durante la campagna è arrivato a definire come “ostacolo” e ora dice che si deve “governare con dolcezza”. Al momento il nodo resta quello del programma: il Nuovo fronte popolare si ripara dietro il contratto di legislatura che ha sottoscritto all’inizio della campagna. Dice di voler lavorare solo per realizzare quello. Sarà possibile? E’ quello che hanno promesso agli elettori e su quello si giocano tutta la credibilità del progetto.

Un’altra coalizione è possibile? – L’altro scenario, tutt’altro che improbabile, è che nasca una coalizione alternativa al Nuovo fronte popolare e con numeri più consistenti. Questo però, comporterebbe accordi che al momento sono tutti da costruire. Lo schema è quello che unirebbe il centro: il campo presidenziale di Ensemble, insieme ai Socialisti moderati e, perché no, magari anche con i Repubblicani. Subito dopo il voto, a escluderlo è stato lo stesso segretario socialista Olivier Faure: “Ci opponiamo al governo di chi è contro” il Rassemblement National. Inoltre, tutto è possibile ma vorrebbe dire mollare la France Insoumise e confermare agli occhi di tutti coloro che si sono mobilitati per il voto che l’alleanza era debole e fatta solo per convincere ad andare a votare. E soprattutto, i quadri del partito se la sentono di spaccare l’alleanza a sinistra e farsi vedere davanti agli elettori mentre governano insieme ai macroniani? I numeri ci sarebbero sulla carta (si parla di 350 deputati quando la maggioranza assoluta è di 289), ma i calcoli non tengono conto delle dinamiche dentro e fuori i partiti. E, al momento, l’operazione suona come un vero e proprio azzardo per chi ha corso con le sinistre fino a pochi minuti fa.

Restano poi altre due ipotesi: un governo di unità nazionale con una figura che trovi consenso nella maggior parte delle forze politiche oppure un esecutivo tecnico con figure terze. Soluzioni che al momento vivono solo sulle pagine dei giornali e non trovano conferme. Queste opzioni piuttosto, sarebbero pensate per durare almeno un anno. Ovvero il tempo necessario da far passare prima che sia possibile per il presidente della Repubblica sciogliere ancora l’Assemblea nazionale. Ma è presto per qualsiasi ragionamento. Macron punta a stare nell’occhio del tornado e allungare il più possibile la calma per potersi riprendere la scena durante i Giochi Olimpici. La cerimonia di apertura sulla Senna e non in uno stadio è stata pensata perché esalti il capo dell’Eliseo, “l’imperatore” della politica francese. Che ha prima tramortito il Paese con la mossa improvvisa di portare tutti alle urne e ora lo tiene in sospeso per strategia politca. Ma il tempo stringe e, ad un certo punto, anche Macron dovrà scegliere una strada.

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