In una Francia che attende in sospeso la fine dell’impasse politico, la prima mossa a sinistra l’hanno fatta i socialisti. 48 ore dopo il voto, a prendere la parola con uno strappo in avanti è stato il segretario Olivier Faure: “Sono pronto ad assumere la funzione di primo ministro”, ha detto davanti ai microfoni di BFMTV. Una presa di posizione pubblica che è stata subito rinforzata dal suo vice Pierre Jouvet: “Il suo è l’unico profilo che può rassicurare”, ha rilanciato.

Il messaggio è, prima di tutto, agli altri alleati del Nuovo Fronte Popolare. L’asse della sinistra che ha affrontato insieme il voto è ora messo alla prova da un percorso già in salita. Sono arrivati primi, ma senza i numeri per la maggioranza assoluta. E questo costringe il capo dell’Eliseo a prenderli in considerazione, ma non esclude la possibilità di altre coalizioni. Allora perché i primi a parlare sono stati i socialisti? Il partito risuscitato solo alle ultime Europee dopo lunghi anni di crisi, si trova ora a essere considerato uno dei possibili aghi della bilancia. La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon è il partito con più seggi, ma è anche la forza stigmatizzata come “estrema” e che difficilmente riuscirà a pescare supporti al di fuori della coalizione. Tanto che la tentazione su cui vogliono lavorare i macroniani è proprio quella di spaccare l’asse e creare una formazione di centro con tutti i moderati.

Faure, anche per placare quelle manovre e ribadire la sua leadership nel partito, si è proposto come nome del Nuovo Fronte Popolare. Già subito dopo la vittoria, domenica sera, si era espresso contro la possibilità di formare esecutivi insieme al partito di Macron. Lo ha fatto ribadendo che lavoreranno solo “per il programma sottoscritto prima del voto” e che non può considerare il coinvolgimento del presidente. Oggi, davanti ai microfoni, Faure ha aggiunto che la sua nomina dovrebber avvenire “in dialogo con gli alleati”: “Non sono d’accordo che qualcuno imponga il proprio punto di vista a qualcun altro” e “non ci può essere alcuna pretesa di egemonia su nessuno”. Faure ha anche insistito nel dire che la sinistra farà un nome “a giorni”. Ma, ha precisato, “non c’è fretta”: “Il capo di Stato è a Washington” per il vertice Nato ed “è deciso a non andare veloce”. Una delle incognite è se, dentro i socialisti, tutti ascolteranno il segretario. Osservato speciale è Raphael Glucksmann che insieme al suo movimento Place Publique è stato il motore della rinascita socialista alle Europee (le due forze hanno corso da alleate nella lista “Risvegliare l’Europa”): lui, molto apprezzato negli ambienti isituzionali moderati, continua a chiedere “dialogo” e “maturità” ed è il primo indiziato quando si pensa a una figura di compromesso.

Ma quella dei socialisti non è l’unica manovra. La France Insoumise, ad esempio, non riceve solo attacchi dall’esterno. Era già nell’aria, ma oggi è arrivato ufficialmente la rottura di alcuni dissidenti: François Ruffin, Clémentine Autain e Alexis Corbière. I tre però, non si sono limitati a lasciare il partito. Oggi hanno scritto una lettera a les Ecologistes e al Partito Comunista per chiedere di sedere insieme in un nuovo gruppo: “Profondomente legati alla dinamica unitaria”, si legge, “aspiriamo a sedere in un gruppo che riunisca Verdi, comunisti e noi stessi”. Che siano animati o meno dallo spirito unitario, questo comporterebbe comunque una rottura del fronte delle sinistre.

Intanto, in casa degli Insoumis, resta la linea dura. Ovvero, gli stessi leader insistono nel chiedere l’incarico di primo ministro e non esitano a evocare Jean-Luc Mélenchon, il nome più divisivo di tutti al tavolo. “Il presidente – ha detto Manuel Bompard su Europe 1 – deve imparare qualcosa: e cioè che è costretto dal suffragio degli elettori a prendere decisioni che non gli piacciono”. Ovvero a considerare, per primi, i partiti che hanno preso più voti. “Quale altra opzione c’è oggi sul tavolo? La logica istituzionale vuole che la formazione politica che ottiene più seggi all’Assemblée Nationale formi un governo. Il presidente non deve violare questa consuetudine“. Bompard ha confermato che se sarà formato un governo di sinistra, verrà applicato il programma del Nuovo Fronte Popolare ed ha rifiutato di escludere Mélenchon dalla lista dei pretendenti alla poltrona di primo ministro: “Ha un’esperienza di governo: certo che fa parte delle opzioni possibli per essere premier”. A sinistra insomma, iniziano le prime mosse. Un gioco sul filo, dove ancora tutto può succedere. In attesa di capire come e quando interverrà Macron.

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