Ondata di licenziamenti alla britannica Dyson, celebre marchio di aspirapolvere. Circa mille posti di lavoro verranno tagliati in Gran Bretagna, un dipendente su quattro rimarrà a casa. La decisione si inquadra in un piano di ristrutturazione globale che riguarderà anche altre fabbriche in giro per il mondo, dove in totale il gruppo conta 15mila addetti (la piccola filiale italiana ha solo 230 addetti, ndr). L’obiettivo dichiarato è “tagliare i costi” per far fronte all’intensificazione di “di una concorrenza feroce sui mercati mondiali”, come ha affermato Hanno Kirner, amministratore delegato dell’azienda. Il mercato più grande di Dyson è l’Asia, dove l’azienda compete con i rivali locali che spesso realizzano prodotti dall’aspetto simili poco dopo l’immissione sul mercato di quelli del produttore inglese. L’impatto dei tagli si farà sentire inizialmente sui tre i maggiori impianti britannici della holding, quelli di Bristol, di Londra e del Wiltshire.
L’iniziativa, che suscita l’inevitabile allarme dei sindacati, rappresenta una grana anche per il neonato governo laburista di Keir Starmer il cui ministro dell’Industria, John Reynolds, figura moderata e di orientamento tendenzialmente liberale, proprio oggi aveva riunito in videoconferenza circa 170 fra imprenditori e rappresentanti di associazioni di categoria per avviare un dialogo sulle priorità da affrontare e illustrate le sue prime iniziative a favore dei comparti produttivi. Il fondatore James Dyson, businessman interessato alla politica e già sostenitore della Brexit, è uno degli uomini più ricchi del Regno Unito. Negli ultimi anni era stato al centro di polemiche anche per la scelta di spostare la sua residenza e parte delle sue attività all’estero: scelta poi in parte rientrata, con la residenza di famiglia ritrasferita di nuovo da Singapore all’Inghilterra.