Nell’udienza del 5 luglio a Roma il magistrato si è preso 90 giorni di tempo per rispondere e farci conoscere la verità processuale. Questo grazie all’opposizione alla richiesta di archiviazione nel processo per la mancanza del piano pandemico presentata dai parenti delle vittime del Covid riuniti nella associazione sereniesempreuniti di cui mi onoro di essere stato nominato membro del Consiglio Direttivo da qualche giorno.

Spero che la verità processuale sia messa a fuoco e nessuno possa continuare a pensare che “è andato tutto bene” in modo da farla diventare invisibile.

Forse la presenza di avvocati famosi per la difesa può dare il senso del passaggio dall’indifferenza dell’udienza di giugno con la maggior preoccupazione di questa ultima. Forse ora nessuno si permetterà più di deviare i discorsi processuali fino al disdicevole attacco verso le persone che ci hanno messo la faccia ed il cervello e che tutti hanno dimenticato.

La verità processuale serve ad esempio a Francesco Zambon che ha dimostrato che il piano pandemico era fantasioso e che avrebbe potuto aiutarci tanto almeno ad avere una risposta più organizzata contro il virus. Sicuramente “la vigile attesa” sarebbe stata sostituita con “la lotta consapevole” che un piano studiato, scritto e periodicamente messo in pratica in tempi di pace avrebbe avuto in tempi di guerra virale. “Non potevo rimanere in silenzio”, scrive Zambon nel suo libro Il pesce piccolo, che vi consiglio di leggere perché oggi ritornato attuale almeno sui visi “preoccupati” di chi pensava di aver vinto. Ma la battaglia è ancora lunga per la verità storica, l’unica che tramanderemo ai figli dei nostri figli.

La dedica del libro dovrebbe essere scolpita sulla fronte degli stolti che credono di conoscere e di sapere. Che mai hanno chiesto semplicemente scusa della loro ignoranza scientifica.
“Questo libro è dedicato – scrive Zambon – a tutti quelli che hanno lottato in prima linea contro il Covid. All’inizio disarmati, poi armati malamente, infine equipaggiati ma stremati. A medici, infermieri, operatori socio-sanitari, uomini e donne delle pulizie e delle mense, manutentori. A quelli che mettono su una flebo e a quelli che cambiano le lenzuola. A quelli che parlano coi pazienti e a quelli che ai familiari dicono: ‘Non ce l’ha fatta’. A tutti loro”.

Parole pensate e scritte. Parole di un sentimento comune. Parole che chi avrebbe dovuto proteggerci non conoscono e non hanno voluto imparare.

E mai più di ora restano fondanti le parole di Francesco Zambon che ha scritto per la prefazione del mio libro La verità invisibile: “Dopo tre anni di catastrofica tragedia, invece che sedersi attorno a un tavolo – come si fa dopo ogni emergenza in ogni campo – e discutere di quanto è successo per caldure perché è successo affinché non si ripeta nel futuro, siamo di fronte ad un enorme fenomeno collettivo di rimodulazione cerebrale. Si sentono da più parti frasi tipo “è stato uno tsunami”, “non potevamo fare nulla di diverso”, “era un virus sconosciuto, inatteso”. Non è certo questa la sede per confutare queste frasi che sono un vilipendio alle decine di migliaia di morti evitabili in Italia. Accettare tuttavia queste frasi o fare finta che – in fondo – non ci riguardino, significa anche rinunciare ad affrontare la prossima pandemia. Per allora speriamo esista la possibilità di far sì che la memoria di quanto successo sia depositata al sicuro da qualche parte e mai possa venire cancellata”.

Restiamo tutti ad aspettare in questa strana estate il responso terreno che speriamo permetta alla verità di essere visibile a tutti in modo tale da apprezzare ancora di più le parole di Winston Churchill che diceva: “Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”.

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