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“Vi spiego perché ayahuasca, sciamani e riti ‘magici’ spopolano sempre di più anche in Italia”: parla il sociologo

Per saperne di più sul tema, dopo il recente caso di cronaca di Alex Marangon, ci siamo fatti aiutare dal professor Antonio Camorrino, sociologo dei processi culturali presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II

C’è lo sciamano (curandero) colombiano Jhonni Benavides. È anche musicista e guida i partecipanti al “Rituale di cura con la forza della foresta”. Un rituale composto da musiche, danze e l’assunzione dell’ayahuasca, un decotto di una liana e di una pianta utilizzato da tempo immemore nei rituali sciamanici in Amazzonia. È vietato in Italia, ma i suoi effetti sono funzionali all’evento. E vanno dalla breve euforia, alla percezione del tempo fortemente alterata fino ad avvertire una separazione del corpo e della mente, e una sensazione di unione con il mondo. Tutti elementi caratteristici di un rito sciamanico svoltosi all’abbazia di Santa Bona a Vidor (Treviso), dove, come racconta la cronaca di questi giorni, ha partecipato Alex Marangon, il ragazzo barista veneziano di 25 anni, il cui corpo senza vita è stato ritrovato nel greto del fiume Piave il 4 luglio. Una vicenda che ha aperto uno squarcio in un mondo per molti invisibile ma tutt’altro che folcloristico, almeno nelle sue manifestazioni più articolate e profonde. E tuttavia, non prive di ombre. Per saperne di più ci siamo fatti aiutare dal professor Antonio Camorrino, sociologo dei processi culturali presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II ed esperto di Sociologia della religione.

Il parere dell’esperto
“In tutto il mondo, compreso l’Italia, si sta diffondendo una nuova forma di relazione con il sacro che non è più quella della religione cristiana e cattolica tipica della tradizione culturale del nostro Paese. Fa parte di quelle che sono definite ‘nuove forme della spiritualità’”, spiega al FattoQuotidiano.it il professor Camorrino. “All’interno di queste rientrano anche le nuove forme di sciamanesimo che possono essere di differenti tipi: si avvicinano per esempio alle esperienze dei nativi americani o ad altre forme di sciamanesimo neopagano”.

A quali bisogni rispondono queste espressioni spirituali?
“Le persone che si avvicinano a queste nuove realtà sono alla ricerca di significati che sappiano colmare vuoti di senso al cui cospetto – a loro sembra – le religioni tradizionali non riescono a dare risposte soddisfacenti. Una delle caratteristiche distintive delle nuove spiritualità è di fatto la matrice fortemente emozionale. In altre parole, siamo di fronte a fenomeni in cui emerge il primato dell’emotivo. E in nome di questa ricerca di spiritualità si vogliono vivere delle ‘esperienze’ – altra parola chiave di questa peculiare forma di relazione con il sacro – che siano il meno possibile mediate dalle istituzioni religiose”.

Un’esperienza senza mediazioni che viene favorita anche da sostanze allucinogene che superano la dimensione cognitivo-razionale.
“È vero, ma attenzione: in questi casi non sussistono mediazioni istituzionali, ma di fatto sono comunque contemplate delle figure intermediarie. In quest’ultimo caso di cronaca, è presente, mi pare di capire, quella dello sciamano. Una figura che può accompagnare l’adepto nell’assunzione di sostanze psicotrope, con un corredo di danze e musiche. Parliamo quindi di guide spesso di tipo carismatico, le quali hanno una presa emotiva sulle persone che si avvicinano all’esperienza spirituale: quest’ultima prende sempre più la forma di un rito magico e immediato anche grazie talvolta, per l’appunto, all’uso di sostanze psicotrope”.

Forte carica emozionale, superamento delle mediazioni culturali tradizionali, riti… Ritorno alla domanda di fondo: perché si ha bisogno di tutto questo? Lei sta per pubblicare nelle prossime settimane proprio un saggio su questi interrogativi.
“Sì, uscirà entro settembre e si intitolerà Da Dio all’Io e sarà edito da Mondadori Education. Nel libro affronto la domanda essenziale sul perché di questo desiderio di emozionalità e immediatezza proprio della sperimentazione del sacro nelle nuove forme della spiritualità. Il concetto da cui parto, elaborato da diversi sociologi, è quello del ‘re-incanto’ che caratterizza la nostra epoca”.

Che significa?
“Vuol dire che molte persone vivono un senso di smarrimento a causa di una vita che non riesce più a essere significativa per loro e che viene puntellata da disagi, stati d’ansia sempre più diffusi. Per cui i soggetti cercano di rintracciare all’interno del proprio mondo vitale dei cosiddetti ‘cosmi significativi’ (per dirla con Max Weber), all’interno dei quali riuscire a sperimentare delle sensazioni che colmino il senso di vuoto della loro esistenza. Ed ecco quindi che la realtà dell’esperienza sacra – come nel caso della spiritualità postmoderna – si popola di figure invisibili, come quelle che riguardano il mondo dei morti, per esempio, ma non solo. Il problema è che questi ‘cosmi’, proprio in quanto sacri e dunque potenti, risultano difficilissimi da gestire. A ogni modo – sociologicamente parlando – il solo fatto di prender parte a esperienze comunitarie come queste, caratterizzate da una forte carica emotiva, produce un’intensificazione del senso dell’esistenza, altrimenti percepita come vacua nella sua grigia ordinarietà. Ciò costituisce certamente un motivo di profonda fascinazione per gli individui postmoderni. Michel Maffesoli a tal proposito parla di dimensione ‘neotribale’, espressione che mi pare particolarmente efficace”.

Quali rischi individua?
“Nell’ambito di queste esperienze, che in letteratura sociologica sono definite ‘trasformative’, c’è sempre un’ambivalenza fortissima. Per ovvie ragioni preferisco non entrare nel merito della vicenda di Marangon. Più in generale, nel momento in cui i soggetti vivono queste esperienze dal carattere fortemente emotivo (talvolta amplificato dall’uso di determinate droghe) essi affermano di riscontrare un radicale cambiamento nella percezione della loro esistenza: l’identità subisce un profondo mutamento. Quando parliamo della relazione col sacro tipica di queste forme di spiritualità facciamo riferimento a un’esperienza potente dai risvolti assai rilevanti e al contempo difficili da prevedere e da gestire (come tutto quanto attiene al rapporto col sacro, d’altra parte)”.

Un sociologo generalmente non dà “consigli” educativi. Ma in questo caso, forse sarebbe indicato un atteggiamento prudente prima di avvicinarsi a esperienze così fortemente coinvolgenti?
“Nelle culture tradizionali è previsto l’uso legittimo di sostanze naturali con effetti sulla psiche molto forti: grazie a queste sostanze e a riti specifici gli individui sono introdotti nella comunità di riferimento, soprattutto in momenti specifici e significativi della propria traiettoria biografica. Detto questo, tuttavia, sconsiglio fortemente l’uso di droghe anche quando ci si affida a mani di guide ‘esperte’ o sedicenti ‘esperte’”.