Diritti

Brenda Biya, il suo coming out frantuma gli stereotipi. Ora sostenga i diritti Lgbt+ africani

Ha frantumato gli stereotipi delle famiglie dei presidenti africani. In un messaggio sui social media, la figlia del presidente camerunese Paul Biya ha rianimato il dibattito sulla depenalizzazione dell’omosessualità, in un paese in cui è un reato punibile dai 6 mesi ai 5 anni di carcere. Brenda Biya – che vive tra la Svizzera e gli Stati Uniti – da tempo ha deviato dalla sua potenziale carriera politica e dall’alta amministrazione del paese per concentrarsi su una carriera nel rap negli States. È una rapper dal discreto successo, come dimostra il fatto che vanti più di 300mila follower.

Descrivere suo padre come un uomo d’altri tempi sarebbe riduttivo. Ha infatti 91 anni e ricopre la carica di presidente del Camerun, con pugno duro e autoritario, fin dal 1982. In un video pubblicato sulla sua pagina TikTok, spesso dice che le viene chiesto della sua identità di genere: “Sono un’energia maschile e sono un’energia femminile. Sono una di quelle persone che pensano che gli esseri umani siano nati con aspetti maschili e femminili. Se sei nato un uomo, puoi avere un lato femminile e puoi avere entrambe le energie.”

Il caso sta facendo un grande clamore sui social media. Domenica 30 giugno, Brenda Biya ha pubblicato una foto dove ha avuto il coraggio di mostrarsi al fianco di quella che si presume essere la sua compagna, la modella brasiliana Layyons Valença. Uno scatto esplicito, dal momento che mostra un tenero bacio tra le due su Instagram. “Sono pazza di te e voglio che il mondo lo sappia”, scrive l’unica figlia di Paul Biya. Questo ha provocato una grande quantità di reazioni, in Camerun e non solo, con alcuni che ne plaudono il “coraggio”, altri che sono chiaramente contrari alla “rappresentazione occidentale della decadenza”.

La legislazione è molto varia nel continente. Mentre alcuni paesi hanno da tempo depenalizzato l’omosessualità, altri mantengono una legislazione particolarmente repressiva ereditata – come gran parte dell’impianto legislativo – dal vecchio colonialismo. Dal Senegal dove la questione è regolarmente al centro di accese controversie politiche, al Gabon – dove alcuni sono oggi preoccupati per le intenzioni della giunta guidata da Brice Clotaire Oligui Nguema di mantenere una legge tollerante e progressista adottata nel 2020 – il tema è al centro di accesi dibattiti quasi ovunque in Africa. Fino al caso limite dell’Uganda, per noi inconcepibile, in cui in certi casi è prevista addirittura la pena di morte per “omosessualità aggravata” (rapporti con minori o con disabili).

Io voglio però ricordare che i “valori” non sono entità metafisiche che scendono dal cielo (tantomeno suggeriti da questa o quella potenza economica di turno) né hanno fondamenti immutabili. I valori sono dei coefficienti sociali con cui una società cerca di vivere con la minor conflittualità possibile. Prima della Rivoluzione Francese, ad esempio, la società era ordinata secondo valori gerarchici, dopo la rivoluzione la società si regolò, almeno formalmente, secondo i valori di cittadinanza. Senza che da fuori arrivasse nessuno a dire prima del tempo “morte al re”.

Io credo che – al di là delle legittime opinioni che ognuno educatamente può avere ed esprimere – ogni singolo Paese del continente abbia il diritto di decidere quali siano i “suoi” valori ed è a mio avviso controproducente promuovere, suggerire, o peggio imporre una volta di più “i valori condivisi” da una comunità (Europa, Stati Uniti ecc.) ad altre comunità (Paesi Africani, Paesi Arabi ecc.).

Ha fatto benissimo Brenda, certo che sì! E nonostante i frequenti attacchi che ha subito sui social media da parte di sostenitori e oppositori di suo padre, è sempre stata sincera, ma saranno i ragazzi del nuovo Camerun che purtroppo non vivono né tra il lusso né nella “libertà” di Breda a decidere quali saranno i “loro” valori. Quindi suggerirei alla rapper Brenda (continuando a baciarsi pubblicamente con chi crede) di prendere un bel volo andare a Yaoundé e mettersi alla testa di un bel corteo di piazza insieme i suoi coetanei per gridare a voce alta tutti i “diritti negati”, tanto a lei di sicuro non l’arrestano.