di Domenico Tambasco *
Mentre la politica discute sull’opportunità del referendum abrogativo del Jobs Act presentato dalla Cgil, una nuova “picconata” si abbatte sulla disciplina a suo tempo fortemente voluta dal governo Renzi (e già criticamente commentata su questo blog), stavolta da parte dei giudici di Palazzo Spada. Facciamo riferimento a una sentenza del Consiglio di Stato (sez. II, 12 marzo 2024, n. 2354) che, nel decidere la controversia tra un funzionario della Polizia e il Ministero dell’Interno, ha enunciato un importante principio in materia di modifica delle mansioni lavorative (cosiddetto ius variandi).
È opportuno premettere che uno dei fronti più caldi della riforma renziana fu proprio quello della disciplina delle mansioni di lavoro, oggetto di una vera e propria “deregulation” attraverso la novella apportata all’articolo 2103 del Codice civile dall’art. 3 d.lgs. 81/2015 (norma di cui abbiamo immediatamente segnalato alcuni possibili abusi, quali quelli oggetto di questo contributo).
In sintesi, se prima del 25 giugno 2015 (data di entrata in vigore del Jobs Act) il datore di lavoro poteva modificare unilateralmente le mansioni del lavoratore o della lavoratrice nei limiti dell’effettiva e sostanziale equivalenza del patrimonio di professionalità, dopo questa fatidica data il potere di determinazione datoriale della prestazione lavorativa ha visto notevolmente allargate le proprie maglie. Infatti, come riconosciuto dall’unanime giurisprudenza, “il nuovo testo dell’art. 2103 c.c. consente al datore di lavoro… di assumere quale parametro non più il concreto contenuto delle mansioni svolte in precedenza dal dipendente, bensì solamente le astratte previsioni del sistema di classificazione adottato dal contratto collettivo applicabile al rapporto non dovendosi più accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente”(cfr. Trib. Roma, sez. lav., 30 settembre 2015, n. 8195).
In linea di principio, sarebbe dunque spettato alla contrattazione collettiva (e quindi alla dialettica delle relazioni industriali) ridefinire a monte le classificazioni contrattuali in un’ottica di omogeneità professionale, in modo da far sì che lo spostamento del dipendente da un ruolo all’altro all’interno del medesimo livello e categoria legale di inquadramento fosse effettivamente (e non solo formalmente) riconducibile alle precedenti mansioni lavorative. Si trattava certamente di un’importante delega riconosciuta alle parti sociali che, purtroppo, di fatto non è stata quasi mai esercitata: chi volesse leggere le innumerevoli declaratorie dei contratti collettivi, infatti, raramente potrebbe scorgere un segno di discontinuità tra quelle ante e quelle post Jobs Act. Non è stata quindi tutta colpa del legislatore, almeno in questo caso.
Su questo terreno si innesta proprio la sentenza del Consiglio di Stato che, come detto, enuncia un innovativo principio di diritto frutto di una visione “sistemica”, svincolata da un’atomistica lettura dei fatti al contrario – purtroppo – molto frequente nella prassi giudiziale.
La pronuncia in commento, in particolare, afferma che laddove il mutamento unilaterale delle mansioni si inserisca in un contesto mobbizzante (o più in generale persecutorio), il giudice dovrà valutare la legittimità della condotta alla luce dei criteri dettati dall’art. 2103 c.c. nel testo previgente alla riforma del 2015: “la cartina di tornasole della liceità della scelta, cioè, torna ad essere il depauperamento qualitativo della prestazione lavorativa ove essa sia mossa da intento vessatorio, ancorché giustificata e giustificabile sul piano organizzativo e comunque rispettosa formalmente del livello del ruolo precedentemente rivestiti dal dipendente” (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 12 marzo 2024, n. 2354, par. 15, cit.).
In questa non infrequente ipotesi, sarà l’art. 2087 c.c. a dettare le prescrizioni necessarie al datore di lavoro affinché adotti “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Eccoci arrivati allo snodo fondamentale, che consente oggi di leggere e disciplinare in modo innovativo l’annoso tema della modifica delle mansioni lavorative, in linea con la necessità di tutelare il lavoro rispetto agli ambienti nocivi e stressogeni (espressione di un’organizzazione disfunzionale dei fattori produttivi).
In questa nuova prospettiva, la modifica unilaterale delle mansioni da parte del datore di lavoro rivela una possibile pluralità di declinazioni sugli “assi portanti” delineati rispettivamente dall’art. 2103 c.c. e dall’art. 2087 c.c., e in particolare:
1. l’adibizione a mansioni conformi sia all’art. 2103 c.c. sia all’art. 2087 c.c., che quindi sia rispettosa tanto dei limiti dello ius variandi quanto della salute e della personalità morale del prestatore, evidentemente lecita;
2. l’adibizione a mansioni difformi sia dal paradigma dell’art. 2103 c.c. sia da quello dell’art. 2087 c.c., che si perfeziona nel caso in cui lo ius variandi datoriale, realizzato abusando dei limiti prescritti dalla disciplina codicistica, costituisca altresì strumento di un progetto persecutorio ai danni del dipendente, chiaramente illecita;
3. il mutamento di mansioni conforme al nuovo dettato dell’art. 2103 post Jobs Act ma contrario all’art. 2087 c.c. in quanto inserito in un contesto persecutorio o stressogeno, illecito come motivato dalla già citata sentenza del Consiglio di Stato;
4. il mutamento di mansioni difforme dai limiti dell’art. 2103 c.c. ma conforme alle cogenti esigenze di tutela della salute e della personalità morale del lavoratore e della lavoratrice protette dall’art. 2087 c.c., che può, entro precisi e rigorosi limiti, legittimare il potere datoriale.
Pensiamo alla terza ipotesi, ovverosia alla modifica delle mansioni apparentemente lecita in quanto attuata nei limiti dell’art. 2103 c.c., ma inserita in un contesto stressogeno espressione di un ambiente di lavoro nocivo e molesto: è il caso, ad esempio, del dipendente che pur nel formale rispetto del principio di “equivalenza”, venga adibito a mansioni incompatibili rispetto al proprio stato di salute perché esposto a una turnazione di lavoro disagevole. Ci troveremmo evidentemente nell’ambito di quei “comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi” (cfr. Cass. 31 gennaio 2024, n. 2870).
Spostiamo l’attenzione sulla quarta ipotesi, ovverosia sul mutamento di mansioni (eventualmente anche temporaneo) realizzato dal datore di lavoro violando i limiti dell’art. 2103 c.c., ma giustificato dall’esigenza di tutela della salute e della personalità morale del lavoratore o della lavoratrice, tenendo conto del dovere di affidare i compiti ai dipendenti in considerazione “delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza” (art. 18, lett. c d.lgs. n. 81/2008). Può essere il caso del lavoratore che, all’esito di una visita periodica di idoneità, non risulti temporaneamente nelle condizioni di svolgere un determinato tipo di compiti e venga pertanto provvisoriamente preposto, dopo un’attenta verifica all’interno dell’organizzazione che abbia rivelato l’assenza di mansioni equivalenti compatibili, allo svolgimento di mansioni immediatamente inferiori.
Siamo in definitiva di fronte a differenti scenari che definiscono i “quattro quadranti” del potere datoriale in materia di mutamento delle mansioni, coerenti con l’esigenza costituzionale di bilanciare l’iniziativa economica privata nel rispetto della salute, dell’ambiente, della sicurezza, della libertà e della dignità umana (cfr. art. 41 comma 2 Cost.).
* Avvocato giuslavorista, da anni si occupa di conflittualità lavorativa anche come redattore di diversi ddl in materia presentati nella scorsa legislatura. Autore di pubblicazioni sul tema della violenza e delle molestie lavorative, tra cui “Il lavoro Molesto”, 2021, scritto in collaborazione con Harald Ege.
Area pro labour
Giuristi per il lavoro
Lavoro & Precari - 10 Luglio 2024
Demansionamento a lavoro, i quattro quadranti del Consiglio di Stato picconano il Jobs Act
di Domenico Tambasco *
Mentre la politica discute sull’opportunità del referendum abrogativo del Jobs Act presentato dalla Cgil, una nuova “picconata” si abbatte sulla disciplina a suo tempo fortemente voluta dal governo Renzi (e già criticamente commentata su questo blog), stavolta da parte dei giudici di Palazzo Spada. Facciamo riferimento a una sentenza del Consiglio di Stato (sez. II, 12 marzo 2024, n. 2354) che, nel decidere la controversia tra un funzionario della Polizia e il Ministero dell’Interno, ha enunciato un importante principio in materia di modifica delle mansioni lavorative (cosiddetto ius variandi).
È opportuno premettere che uno dei fronti più caldi della riforma renziana fu proprio quello della disciplina delle mansioni di lavoro, oggetto di una vera e propria “deregulation” attraverso la novella apportata all’articolo 2103 del Codice civile dall’art. 3 d.lgs. 81/2015 (norma di cui abbiamo immediatamente segnalato alcuni possibili abusi, quali quelli oggetto di questo contributo).
In sintesi, se prima del 25 giugno 2015 (data di entrata in vigore del Jobs Act) il datore di lavoro poteva modificare unilateralmente le mansioni del lavoratore o della lavoratrice nei limiti dell’effettiva e sostanziale equivalenza del patrimonio di professionalità, dopo questa fatidica data il potere di determinazione datoriale della prestazione lavorativa ha visto notevolmente allargate le proprie maglie. Infatti, come riconosciuto dall’unanime giurisprudenza, “il nuovo testo dell’art. 2103 c.c. consente al datore di lavoro… di assumere quale parametro non più il concreto contenuto delle mansioni svolte in precedenza dal dipendente, bensì solamente le astratte previsioni del sistema di classificazione adottato dal contratto collettivo applicabile al rapporto non dovendosi più accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente”(cfr. Trib. Roma, sez. lav., 30 settembre 2015, n. 8195).
In linea di principio, sarebbe dunque spettato alla contrattazione collettiva (e quindi alla dialettica delle relazioni industriali) ridefinire a monte le classificazioni contrattuali in un’ottica di omogeneità professionale, in modo da far sì che lo spostamento del dipendente da un ruolo all’altro all’interno del medesimo livello e categoria legale di inquadramento fosse effettivamente (e non solo formalmente) riconducibile alle precedenti mansioni lavorative. Si trattava certamente di un’importante delega riconosciuta alle parti sociali che, purtroppo, di fatto non è stata quasi mai esercitata: chi volesse leggere le innumerevoli declaratorie dei contratti collettivi, infatti, raramente potrebbe scorgere un segno di discontinuità tra quelle ante e quelle post Jobs Act. Non è stata quindi tutta colpa del legislatore, almeno in questo caso.
Su questo terreno si innesta proprio la sentenza del Consiglio di Stato che, come detto, enuncia un innovativo principio di diritto frutto di una visione “sistemica”, svincolata da un’atomistica lettura dei fatti al contrario – purtroppo – molto frequente nella prassi giudiziale.
La pronuncia in commento, in particolare, afferma che laddove il mutamento unilaterale delle mansioni si inserisca in un contesto mobbizzante (o più in generale persecutorio), il giudice dovrà valutare la legittimità della condotta alla luce dei criteri dettati dall’art. 2103 c.c. nel testo previgente alla riforma del 2015: “la cartina di tornasole della liceità della scelta, cioè, torna ad essere il depauperamento qualitativo della prestazione lavorativa ove essa sia mossa da intento vessatorio, ancorché giustificata e giustificabile sul piano organizzativo e comunque rispettosa formalmente del livello del ruolo precedentemente rivestiti dal dipendente” (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 12 marzo 2024, n. 2354, par. 15, cit.).
In questa non infrequente ipotesi, sarà l’art. 2087 c.c. a dettare le prescrizioni necessarie al datore di lavoro affinché adotti “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Eccoci arrivati allo snodo fondamentale, che consente oggi di leggere e disciplinare in modo innovativo l’annoso tema della modifica delle mansioni lavorative, in linea con la necessità di tutelare il lavoro rispetto agli ambienti nocivi e stressogeni (espressione di un’organizzazione disfunzionale dei fattori produttivi).
In questa nuova prospettiva, la modifica unilaterale delle mansioni da parte del datore di lavoro rivela una possibile pluralità di declinazioni sugli “assi portanti” delineati rispettivamente dall’art. 2103 c.c. e dall’art. 2087 c.c., e in particolare:
1. l’adibizione a mansioni conformi sia all’art. 2103 c.c. sia all’art. 2087 c.c., che quindi sia rispettosa tanto dei limiti dello ius variandi quanto della salute e della personalità morale del prestatore, evidentemente lecita;
2. l’adibizione a mansioni difformi sia dal paradigma dell’art. 2103 c.c. sia da quello dell’art. 2087 c.c., che si perfeziona nel caso in cui lo ius variandi datoriale, realizzato abusando dei limiti prescritti dalla disciplina codicistica, costituisca altresì strumento di un progetto persecutorio ai danni del dipendente, chiaramente illecita;
3. il mutamento di mansioni conforme al nuovo dettato dell’art. 2103 post Jobs Act ma contrario all’art. 2087 c.c. in quanto inserito in un contesto persecutorio o stressogeno, illecito come motivato dalla già citata sentenza del Consiglio di Stato;
4. il mutamento di mansioni difforme dai limiti dell’art. 2103 c.c. ma conforme alle cogenti esigenze di tutela della salute e della personalità morale del lavoratore e della lavoratrice protette dall’art. 2087 c.c., che può, entro precisi e rigorosi limiti, legittimare il potere datoriale.
Pensiamo alla terza ipotesi, ovverosia alla modifica delle mansioni apparentemente lecita in quanto attuata nei limiti dell’art. 2103 c.c., ma inserita in un contesto stressogeno espressione di un ambiente di lavoro nocivo e molesto: è il caso, ad esempio, del dipendente che pur nel formale rispetto del principio di “equivalenza”, venga adibito a mansioni incompatibili rispetto al proprio stato di salute perché esposto a una turnazione di lavoro disagevole. Ci troveremmo evidentemente nell’ambito di quei “comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi” (cfr. Cass. 31 gennaio 2024, n. 2870).
Spostiamo l’attenzione sulla quarta ipotesi, ovverosia sul mutamento di mansioni (eventualmente anche temporaneo) realizzato dal datore di lavoro violando i limiti dell’art. 2103 c.c., ma giustificato dall’esigenza di tutela della salute e della personalità morale del lavoratore o della lavoratrice, tenendo conto del dovere di affidare i compiti ai dipendenti in considerazione “delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza” (art. 18, lett. c d.lgs. n. 81/2008). Può essere il caso del lavoratore che, all’esito di una visita periodica di idoneità, non risulti temporaneamente nelle condizioni di svolgere un determinato tipo di compiti e venga pertanto provvisoriamente preposto, dopo un’attenta verifica all’interno dell’organizzazione che abbia rivelato l’assenza di mansioni equivalenti compatibili, allo svolgimento di mansioni immediatamente inferiori.
Siamo in definitiva di fronte a differenti scenari che definiscono i “quattro quadranti” del potere datoriale in materia di mutamento delle mansioni, coerenti con l’esigenza costituzionale di bilanciare l’iniziativa economica privata nel rispetto della salute, dell’ambiente, della sicurezza, della libertà e della dignità umana (cfr. art. 41 comma 2 Cost.).
* Avvocato giuslavorista, da anni si occupa di conflittualità lavorativa anche come redattore di diversi ddl in materia presentati nella scorsa legislatura. Autore di pubblicazioni sul tema della violenza e delle molestie lavorative, tra cui “Il lavoro Molesto”, 2021, scritto in collaborazione con Harald Ege.
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Portuali tedeschi in sciopero per il rinnovo del contratto. Chiedono più soldi e migliori equilibri vita-lavoro
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Milano, 12 feb. (Adnkronos) - Il conto in Olanda dove sono stati sequestrati i soldi versati da Massimo Moratti, nell'ambito di una truffa in cui è stato usato il nome del ministro della Difesa Massimo Crosetto, risulta intestato a più persone straniere su cui ora sono in corso gli accertamenti per verificarne l'esistenza e anche per capire eventuali collegamenti con altri soggetti. E' quanto si apprende da fonti investigative.
In particolare, da quanto emerge, sul conto olandese risultano versati i 980mila euro della truffa al presidente di Saras, soldi che il gruppo avrebbe tentato di spostare altrove, ma la tempistica non ha giocato a loro favore e il 'congelamento' del denaro è arrivato prima.
In attesa degli esiti delle rogatorie, si attendono già domani, in procura a Milano si continua a lavorare anche sui numeri telefonici usati per mettere a segno i plurimi tentativi di truffa - ora usando il nome del ministro o del suo staff - nei confronti del gotha dell'imprenditoria e della finanza.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - Sicurezza negli stadi, contrasto alla criminalità e prevenzione dei comportamenti illeciti. Sono le tematiche al centro del tavolo presieduto dai ministri dell’Interno e per lo Sport e i giovani, Matteo Piantedosi e Andrea Abodi che hanno incontrato i presidenti di Figc Gabriele Gravina, Lega serie A, Ezio Simonelli, Lega nazionale professionisti serie B, Paolo Bedin, Lega italiana calcio professionistico, Matteo Marani, Lega nazionale dilettanti, Giancarlo Abete. Presenti anche il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, il capo della Polizia, Vittorio Pisani e il presidente dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive, Mario Improta.
La riunione è stata l’occasione per proseguire il confronto già avviato su proposte e iniziative da mettere in campo congiuntamente. L’obiettivo rimane quello di tutelare le tifoserie sane e di individuare in maniera chirurgica coloro che vanno allo stadio per attuare comportamenti criminali e violenti, assicurando un ambiente più sicuro e vivibile per tutti gli appassionati. Il tavolo ha anche discusso di azioni concrete per contrastare le scommesse illegali e per arginare il fenomeno della pirateria audiovisiva, sanzionando i fruitori dei contenuti illegali. Prossimo incontro tra un mese. Così una nota congiunta dei ministri dell'Interno e per lo Sport e i giovani.
Londra, 12 feb. (Adnkronos) - Non sarà consentito l'alcol ai Mondiali del 2034 in Arabia Saudita. Lo ha dichiarato l'ambasciatore saudita nel Regno Unito, il principe Khalid bin Bandar Al Saud. I tifosi che assisteranno al torneo non potranno trovare bevande alcoliche negli hotel, nei ristoranti o negli stadi. L'Arabia Saudita è un paese differente dal Qatar, dove l'alcol era disponibile in alcuni posti durante i Mondiali del 2022, e non ci saranno eccezioni per questo torneo. "Al momento, non consentiamo l'alcol", ha detto Al Saud a LBC.
"Ci si può divertire molto senza alcol, non è necessario al 100% e se vuoi bere dopo essere andato via, sei il benvenuto, ma al momento non abbiamo alcol. Un po' come il nostro clima, è un paese secco". L'Arabia Saudita è stata confermata come paese ospitante della Coppa del Mondo a dicembre, nonostante le preoccupazioni sui diritti umani. Alla domanda se i tifosi gay di calcio sarebbero stati al sicuro nel paese, Al Saud ha aggiunto: "Daremo il benvenuto a tutti in Arabia Saudita. Non è un evento saudita, è un evento mondiale. E in larga misura, daremo il benvenuto a chiunque voglia venire".
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - Le attiviste del Referendum Cittadinanza hanno lanciato un appello via social alle artiste e agli artisti che in questi giorni si esibiranno sul palco del Festival di Sanremo: dire Sì all’Italia che riconosce tutte le sue figlie e tutti i suoi figli direttamente dall’Ariston. La cantante Giorgia e Brunori Sas sono stati i primi a rispondere all'appello e, insieme alle attiviste di ActionAid Utibe Joseph e Kejsi Hodo, hanno cantato il celebre brano di Toto Cutugno L'Italiano.
Gli artisti, poi, hanno ricevuto in dono un ciuccio con un nastrino tricolore da portare con sé sul palco, come simbolo di tutti quei figli e figlie d'Italia che non hanno ancora il riconoscimento della cittadinanza. Il referendum cittadinanza ha ricevuto l'ok dalla Corte Costituzionale lo scorso 20 gennaio insieme agli altri 4 quesiti sul lavoro promossi dalla Cgil. Andrà al voto in primavera.
Dopo la bocciatura del quesito sull'Autonomia la sfida del quorum si fa più ardua, ed è per questo che i promotori partono proprio dal più popolare spettacolo televisivo italiano per richiamare l'attenzione del Paese sull'appuntamento referendario. Il referendum cittadinanza è stato promosso da +Europa, Possibile, Dalla Parte Giusta della Storia, ActionAid, Libera, Arci, Italiani senza Cittadinanza, Conngi, insieme a una grande rete di oltre 70 organizzazioni.
Milano, 12 feb. (Adnkronos) - La competenza territoriale si radica a Milano, da qualunque lato si inquadri la questione. Lo sostiene la Cassazione nelle motivazioni sul caso Visibilia che vede indagata, tra gli altri, la ministra del Turismo Daniela Santanchè con l'ipotesi di truffa aggravata all'Inps in relazione alla cassa integrazione nel periodo Covid. Nel provvedimento, che segue la decisione dello scorso 29 gennaio, si rigetta la richiesta della difesa di considerare singole ipotesi di truffa (e non una truffa continuata) e di radicare la competenza a Roma.
Per il collegio della seconda sezione penale presieduta da Anna Petruzzellis - chiamato a rispondere alla questione sollevata dalla giudice delle indagini preliminari di Milano Tiziana Gueli - dato che la procura meneghina ha rilevato che l'ultima erogazione dei contributi è stata pagata a un dipendente in una banca nel Milanese, "deve essere affermata la competenza territoriale del Tribunale di Milano". Nell'indagine, coordinata dai pubblici ministeri Maria Giuseppina Gravina e Luigi Luzi, risultano coinvolti 13 dipendenti delle due società indagate, Visibilia Concessionaria srl e Visibilia Editore spa, che sarebbero stati messi in cassa integrazione a zero ore senza saperlo (e quindi continuando a lavorare) causando un 'danno' di oltre 126 mila euro versati dall'Inps.
"La soluzione - si legge nella decisione della Cassazione - non cambia nel caso in cui si voglia ancorare la competenza territoriale al momento della richiesta della cassa integrazione, posto che dalla documentazione prodotta in atti risulta che la richiesta è stata inviata alla sede Inps di Milano e che sempre la sede Inps di Milano ha autorizzato la cassa integrazione". Infine, a rafforzare la competenza territoriale il fatto che "avendo le società sede a Milano, il delitto di truffa si è comunque consumato a Milano, al momento della acquisizione dell’ingiusto profitto da parte delle società, che si realizza in concomitanza con la percezione dei contributo da parte dei lavoratori". L'udienza preliminare sul caso Visibilia riprenderà come da calendario il 26 marzo prossimo.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - L'aula della Camera ha approvato la proposta di legge recante 'modifiche alla disciplina della Fondazione Ordine costantiniano di San Giorgio di Parma'. I voti favorevoli sono stati 140, 84 quelli contrari e 3 gli astenuti.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - "Ho visto Sanremo ieri sera, erano anni che non lo vedevo, ma sono rimasto sveglio fino alle 2 per vedermelo tutto. Mi è piaciuto per la qualità espressa, è una vetrina italiana vera. Come ha detto Jovanotti è un po’ come Natale, capodanno, carnevale". Filippo Ricci, direttore creativo della Stefano Ricci Spa, ha commentato così con l'Adnkronos la prima serata del 75esimo Festival di Sanremo e gli outfit del conduttore Carlo Conti creati dalla maison.
Che emozione è stata vedere Carlo Conti con i vostri abiti in apertura del 75esimo Festival della Canzone italiana?
"Siamo abituati a palcoscenici internazionali, ma è la prima volta che saliamo con rispetto sul palco dell'Ariston, tra l'altro con il conduttore e direttore, e quindi è stata una bella emozione. Ero un po' in apprensione che questo outfit gli tornasse bene addosso in una serata movimentata. E' fatto tutto al 100% in Italia, su misura per Carlo, e c'è stato dietro un lavoro di ricerca, insieme a lui, dei tessuti e della costruzione dei modelli in questi mesi, quindi è stato parte proattiva della ricerca e dello sviluppo degli outfit per queste cinque serate", ha spiegato Filippo Ricci.
Che idea avete avuto nello sviluppo degli outfit? Ne utilizzerà uno a serata?
"L'idea che abbiamo avuto, sin dall'inizio, è stata quella di fare un percorso di sartorialità. Noterete che sono tutti outfit abbastanza rigorosi, anche se la qualità dei tessuti conferisce un senso di morbidezza. L'idea era di dare un concetto di eleganza senza tempo perché Sanremo appartiene alla cultura del Paese. Poi ieri sera abbiamo giocato con il colore, il midnight blu, questo blu notte che è ben diverso dal classico nero, anche se ci saranno degli outfit scuri in seguito. Non conosco la sequenza, visto che la deciderà lui con il proprio staff ogni sera. Sono tutti pronti e a disposizione, con un nostro sarto dedicato dietro le quinte. Carlo ha più scelte, ma credo userà un outfit a serata perché da quello che ho visto ieri, nel movimento veloce tra uno spazio e l'altro credo che voglia mantenere un ritmo serrato per le tempistiche sceniche sue".
Quali emozioni ci sono state durante la prima serata del Festival?
"E' stato bello vedere Papa Francesco e ascoltare il suo messaggio, credo che sia la prima volta nella storia del Festival, quindi anche solo quella è stata un'immagine potente. Poi Jovanotti ha provocato una scarica d’energia positiva, da re dell'entertainment", ha spiegato il direttore creativo della Stefano Ricci Spa.
Carlo Conti era preoccupato di non riuscire a valorizzare la classe e la modernità degli smoking, ci è riuscito?
"Ci è riuscito assolutamente, ha un bel portamento, e gli ho detto 'sei proprio un bel modello'. E' un uomo che sa stare sul palcoscenico e vestire dei capi sartoriali. Quello di ieri non era un capo semplicissimo, è una giacca smoking in velluto blu, tra l'altro quello è un jersey di velluto, quindi più morbido, ma lo vestiva molto bene, con i tre pezzi, e sotto aveva un gilet in lana coordinato con il pantalone mohair. Abbiamo voluto fare proprio il tocco estremo di sartorialità con tutto il bordino in raso che è stato fatto su tutto il revere. L'idea era quella di rispettare un percorso abbastanza classico della sartorialità italiana e fiorentina, perché se si va a vedere la spalla, è una vecchia scuola fiorentina il modo di realizzarla in maniera morbida, quindi la giacca è molto leggera".
Queste sera la seconda serata con nuove sorprese?
"Gli abiti sono smoking oppure giacche da cocktail, quindi ci sarà un'alternanza dove Carlo ha possibilità di scelta anche tra cravatta o papillon. Ci hanno scritto in molti sui social, anche dall’estero a conferma di una vetrina internazionale come Sanremo, proprio per avere questa informazione, ed è molto divertente. La cosa interessante è che ci arrivano messaggi da tutto il mondo, perché è il Festival della canzone italiana, è italianissimo, ma lo guardano in America, lo guardano gli italo-americani, lo guardano in Sud America, lo guardano a Est, e comunque la visibilità internazionale è importante. Questo è un palcoscenico di italianità che richiama la musica italiana in generale ma non solo", ha spiegato Filippo Ricci la cui maison vende in tutto il mondo.
I nostri mercati principali?
"Noi produciamo tutto in Italia, ma in Italia vendiamo poco. Noi vendiamo a clienti in tutto il mondo, con le nostre 82 boutique e in Italia ne abbiamo due a Firenze dove è anche la sede dell'azienda, due a Milano, uno a Porto Cervo. Tra i mercati più importanti gli Stati Uniti, le capitali del continente europeo come Londra e Parigi, al Middle East, Dubai, fino alla Cina. A Carlo Conti abbiamo fornito tutto l'outfit, dalle scarpe, alle camicie, e abbiamo anche fatto diversi capi sportivi per le conferenze stampa e gli altri impegni del Festival. Dalle giacche in maglia sportive con le sneaker più casual e abbiamo lavorato insieme per fargli provare un po' di tessuti anche particolari"ha concluso Filippo Ricci. (di Emanuele Rizzi)