di Domenico Tambasco *
Mentre la politica discute sull’opportunità del referendum abrogativo del Jobs Act presentato dalla Cgil, una nuova “picconata” si abbatte sulla disciplina a suo tempo fortemente voluta dal governo Renzi (e già criticamente commentata su questo blog), stavolta da parte dei giudici di Palazzo Spada. Facciamo riferimento a una sentenza del Consiglio di Stato (sez. II, 12 marzo 2024, n. 2354) che, nel decidere la controversia tra un funzionario della Polizia e il Ministero dell’Interno, ha enunciato un importante principio in materia di modifica delle mansioni lavorative (cosiddetto ius variandi).
È opportuno premettere che uno dei fronti più caldi della riforma renziana fu proprio quello della disciplina delle mansioni di lavoro, oggetto di una vera e propria “deregulation” attraverso la novella apportata all’articolo 2103 del Codice civile dall’art. 3 d.lgs. 81/2015 (norma di cui abbiamo immediatamente segnalato alcuni possibili abusi, quali quelli oggetto di questo contributo).
In sintesi, se prima del 25 giugno 2015 (data di entrata in vigore del Jobs Act) il datore di lavoro poteva modificare unilateralmente le mansioni del lavoratore o della lavoratrice nei limiti dell’effettiva e sostanziale equivalenza del patrimonio di professionalità, dopo questa fatidica data il potere di determinazione datoriale della prestazione lavorativa ha visto notevolmente allargate le proprie maglie. Infatti, come riconosciuto dall’unanime giurisprudenza, “il nuovo testo dell’art. 2103 c.c. consente al datore di lavoro… di assumere quale parametro non più il concreto contenuto delle mansioni svolte in precedenza dal dipendente, bensì solamente le astratte previsioni del sistema di classificazione adottato dal contratto collettivo applicabile al rapporto non dovendosi più accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente”(cfr. Trib. Roma, sez. lav., 30 settembre 2015, n. 8195).
In linea di principio, sarebbe dunque spettato alla contrattazione collettiva (e quindi alla dialettica delle relazioni industriali) ridefinire a monte le classificazioni contrattuali in un’ottica di omogeneità professionale, in modo da far sì che lo spostamento del dipendente da un ruolo all’altro all’interno del medesimo livello e categoria legale di inquadramento fosse effettivamente (e non solo formalmente) riconducibile alle precedenti mansioni lavorative. Si trattava certamente di un’importante delega riconosciuta alle parti sociali che, purtroppo, di fatto non è stata quasi mai esercitata: chi volesse leggere le innumerevoli declaratorie dei contratti collettivi, infatti, raramente potrebbe scorgere un segno di discontinuità tra quelle ante e quelle post Jobs Act. Non è stata quindi tutta colpa del legislatore, almeno in questo caso.
Su questo terreno si innesta proprio la sentenza del Consiglio di Stato che, come detto, enuncia un innovativo principio di diritto frutto di una visione “sistemica”, svincolata da un’atomistica lettura dei fatti al contrario – purtroppo – molto frequente nella prassi giudiziale.
La pronuncia in commento, in particolare, afferma che laddove il mutamento unilaterale delle mansioni si inserisca in un contesto mobbizzante (o più in generale persecutorio), il giudice dovrà valutare la legittimità della condotta alla luce dei criteri dettati dall’art. 2103 c.c. nel testo previgente alla riforma del 2015: “la cartina di tornasole della liceità della scelta, cioè, torna ad essere il depauperamento qualitativo della prestazione lavorativa ove essa sia mossa da intento vessatorio, ancorché giustificata e giustificabile sul piano organizzativo e comunque rispettosa formalmente del livello del ruolo precedentemente rivestiti dal dipendente” (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 12 marzo 2024, n. 2354, par. 15, cit.).
In questa non infrequente ipotesi, sarà l’art. 2087 c.c. a dettare le prescrizioni necessarie al datore di lavoro affinché adotti “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Eccoci arrivati allo snodo fondamentale, che consente oggi di leggere e disciplinare in modo innovativo l’annoso tema della modifica delle mansioni lavorative, in linea con la necessità di tutelare il lavoro rispetto agli ambienti nocivi e stressogeni (espressione di un’organizzazione disfunzionale dei fattori produttivi).
In questa nuova prospettiva, la modifica unilaterale delle mansioni da parte del datore di lavoro rivela una possibile pluralità di declinazioni sugli “assi portanti” delineati rispettivamente dall’art. 2103 c.c. e dall’art. 2087 c.c., e in particolare:
1. l’adibizione a mansioni conformi sia all’art. 2103 c.c. sia all’art. 2087 c.c., che quindi sia rispettosa tanto dei limiti dello ius variandi quanto della salute e della personalità morale del prestatore, evidentemente lecita;
2. l’adibizione a mansioni difformi sia dal paradigma dell’art. 2103 c.c. sia da quello dell’art. 2087 c.c., che si perfeziona nel caso in cui lo ius variandi datoriale, realizzato abusando dei limiti prescritti dalla disciplina codicistica, costituisca altresì strumento di un progetto persecutorio ai danni del dipendente, chiaramente illecita;
3. il mutamento di mansioni conforme al nuovo dettato dell’art. 2103 post Jobs Act ma contrario all’art. 2087 c.c. in quanto inserito in un contesto persecutorio o stressogeno, illecito come motivato dalla già citata sentenza del Consiglio di Stato;
4. il mutamento di mansioni difforme dai limiti dell’art. 2103 c.c. ma conforme alle cogenti esigenze di tutela della salute e della personalità morale del lavoratore e della lavoratrice protette dall’art. 2087 c.c., che può, entro precisi e rigorosi limiti, legittimare il potere datoriale.
Pensiamo alla terza ipotesi, ovverosia alla modifica delle mansioni apparentemente lecita in quanto attuata nei limiti dell’art. 2103 c.c., ma inserita in un contesto stressogeno espressione di un ambiente di lavoro nocivo e molesto: è il caso, ad esempio, del dipendente che pur nel formale rispetto del principio di “equivalenza”, venga adibito a mansioni incompatibili rispetto al proprio stato di salute perché esposto a una turnazione di lavoro disagevole. Ci troveremmo evidentemente nell’ambito di quei “comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi” (cfr. Cass. 31 gennaio 2024, n. 2870).
Spostiamo l’attenzione sulla quarta ipotesi, ovverosia sul mutamento di mansioni (eventualmente anche temporaneo) realizzato dal datore di lavoro violando i limiti dell’art. 2103 c.c., ma giustificato dall’esigenza di tutela della salute e della personalità morale del lavoratore o della lavoratrice, tenendo conto del dovere di affidare i compiti ai dipendenti in considerazione “delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza” (art. 18, lett. c d.lgs. n. 81/2008). Può essere il caso del lavoratore che, all’esito di una visita periodica di idoneità, non risulti temporaneamente nelle condizioni di svolgere un determinato tipo di compiti e venga pertanto provvisoriamente preposto, dopo un’attenta verifica all’interno dell’organizzazione che abbia rivelato l’assenza di mansioni equivalenti compatibili, allo svolgimento di mansioni immediatamente inferiori.
Siamo in definitiva di fronte a differenti scenari che definiscono i “quattro quadranti” del potere datoriale in materia di mutamento delle mansioni, coerenti con l’esigenza costituzionale di bilanciare l’iniziativa economica privata nel rispetto della salute, dell’ambiente, della sicurezza, della libertà e della dignità umana (cfr. art. 41 comma 2 Cost.).
* Avvocato giuslavorista, da anni si occupa di conflittualità lavorativa anche come redattore di diversi ddl in materia presentati nella scorsa legislatura. Autore di pubblicazioni sul tema della violenza e delle molestie lavorative, tra cui “Il lavoro Molesto”, 2021, scritto in collaborazione con Harald Ege.
Area pro labour
Giuristi per il lavoro
Lavoro & Precari - 10 Luglio 2024
Demansionamento a lavoro, i quattro quadranti del Consiglio di Stato picconano il Jobs Act
di Domenico Tambasco *
Mentre la politica discute sull’opportunità del referendum abrogativo del Jobs Act presentato dalla Cgil, una nuova “picconata” si abbatte sulla disciplina a suo tempo fortemente voluta dal governo Renzi (e già criticamente commentata su questo blog), stavolta da parte dei giudici di Palazzo Spada. Facciamo riferimento a una sentenza del Consiglio di Stato (sez. II, 12 marzo 2024, n. 2354) che, nel decidere la controversia tra un funzionario della Polizia e il Ministero dell’Interno, ha enunciato un importante principio in materia di modifica delle mansioni lavorative (cosiddetto ius variandi).
È opportuno premettere che uno dei fronti più caldi della riforma renziana fu proprio quello della disciplina delle mansioni di lavoro, oggetto di una vera e propria “deregulation” attraverso la novella apportata all’articolo 2103 del Codice civile dall’art. 3 d.lgs. 81/2015 (norma di cui abbiamo immediatamente segnalato alcuni possibili abusi, quali quelli oggetto di questo contributo).
In sintesi, se prima del 25 giugno 2015 (data di entrata in vigore del Jobs Act) il datore di lavoro poteva modificare unilateralmente le mansioni del lavoratore o della lavoratrice nei limiti dell’effettiva e sostanziale equivalenza del patrimonio di professionalità, dopo questa fatidica data il potere di determinazione datoriale della prestazione lavorativa ha visto notevolmente allargate le proprie maglie. Infatti, come riconosciuto dall’unanime giurisprudenza, “il nuovo testo dell’art. 2103 c.c. consente al datore di lavoro… di assumere quale parametro non più il concreto contenuto delle mansioni svolte in precedenza dal dipendente, bensì solamente le astratte previsioni del sistema di classificazione adottato dal contratto collettivo applicabile al rapporto non dovendosi più accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente”(cfr. Trib. Roma, sez. lav., 30 settembre 2015, n. 8195).
In linea di principio, sarebbe dunque spettato alla contrattazione collettiva (e quindi alla dialettica delle relazioni industriali) ridefinire a monte le classificazioni contrattuali in un’ottica di omogeneità professionale, in modo da far sì che lo spostamento del dipendente da un ruolo all’altro all’interno del medesimo livello e categoria legale di inquadramento fosse effettivamente (e non solo formalmente) riconducibile alle precedenti mansioni lavorative. Si trattava certamente di un’importante delega riconosciuta alle parti sociali che, purtroppo, di fatto non è stata quasi mai esercitata: chi volesse leggere le innumerevoli declaratorie dei contratti collettivi, infatti, raramente potrebbe scorgere un segno di discontinuità tra quelle ante e quelle post Jobs Act. Non è stata quindi tutta colpa del legislatore, almeno in questo caso.
Su questo terreno si innesta proprio la sentenza del Consiglio di Stato che, come detto, enuncia un innovativo principio di diritto frutto di una visione “sistemica”, svincolata da un’atomistica lettura dei fatti al contrario – purtroppo – molto frequente nella prassi giudiziale.
La pronuncia in commento, in particolare, afferma che laddove il mutamento unilaterale delle mansioni si inserisca in un contesto mobbizzante (o più in generale persecutorio), il giudice dovrà valutare la legittimità della condotta alla luce dei criteri dettati dall’art. 2103 c.c. nel testo previgente alla riforma del 2015: “la cartina di tornasole della liceità della scelta, cioè, torna ad essere il depauperamento qualitativo della prestazione lavorativa ove essa sia mossa da intento vessatorio, ancorché giustificata e giustificabile sul piano organizzativo e comunque rispettosa formalmente del livello del ruolo precedentemente rivestiti dal dipendente” (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 12 marzo 2024, n. 2354, par. 15, cit.).
In questa non infrequente ipotesi, sarà l’art. 2087 c.c. a dettare le prescrizioni necessarie al datore di lavoro affinché adotti “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Eccoci arrivati allo snodo fondamentale, che consente oggi di leggere e disciplinare in modo innovativo l’annoso tema della modifica delle mansioni lavorative, in linea con la necessità di tutelare il lavoro rispetto agli ambienti nocivi e stressogeni (espressione di un’organizzazione disfunzionale dei fattori produttivi).
In questa nuova prospettiva, la modifica unilaterale delle mansioni da parte del datore di lavoro rivela una possibile pluralità di declinazioni sugli “assi portanti” delineati rispettivamente dall’art. 2103 c.c. e dall’art. 2087 c.c., e in particolare:
1. l’adibizione a mansioni conformi sia all’art. 2103 c.c. sia all’art. 2087 c.c., che quindi sia rispettosa tanto dei limiti dello ius variandi quanto della salute e della personalità morale del prestatore, evidentemente lecita;
2. l’adibizione a mansioni difformi sia dal paradigma dell’art. 2103 c.c. sia da quello dell’art. 2087 c.c., che si perfeziona nel caso in cui lo ius variandi datoriale, realizzato abusando dei limiti prescritti dalla disciplina codicistica, costituisca altresì strumento di un progetto persecutorio ai danni del dipendente, chiaramente illecita;
3. il mutamento di mansioni conforme al nuovo dettato dell’art. 2103 post Jobs Act ma contrario all’art. 2087 c.c. in quanto inserito in un contesto persecutorio o stressogeno, illecito come motivato dalla già citata sentenza del Consiglio di Stato;
4. il mutamento di mansioni difforme dai limiti dell’art. 2103 c.c. ma conforme alle cogenti esigenze di tutela della salute e della personalità morale del lavoratore e della lavoratrice protette dall’art. 2087 c.c., che può, entro precisi e rigorosi limiti, legittimare il potere datoriale.
Pensiamo alla terza ipotesi, ovverosia alla modifica delle mansioni apparentemente lecita in quanto attuata nei limiti dell’art. 2103 c.c., ma inserita in un contesto stressogeno espressione di un ambiente di lavoro nocivo e molesto: è il caso, ad esempio, del dipendente che pur nel formale rispetto del principio di “equivalenza”, venga adibito a mansioni incompatibili rispetto al proprio stato di salute perché esposto a una turnazione di lavoro disagevole. Ci troveremmo evidentemente nell’ambito di quei “comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi” (cfr. Cass. 31 gennaio 2024, n. 2870).
Spostiamo l’attenzione sulla quarta ipotesi, ovverosia sul mutamento di mansioni (eventualmente anche temporaneo) realizzato dal datore di lavoro violando i limiti dell’art. 2103 c.c., ma giustificato dall’esigenza di tutela della salute e della personalità morale del lavoratore o della lavoratrice, tenendo conto del dovere di affidare i compiti ai dipendenti in considerazione “delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza” (art. 18, lett. c d.lgs. n. 81/2008). Può essere il caso del lavoratore che, all’esito di una visita periodica di idoneità, non risulti temporaneamente nelle condizioni di svolgere un determinato tipo di compiti e venga pertanto provvisoriamente preposto, dopo un’attenta verifica all’interno dell’organizzazione che abbia rivelato l’assenza di mansioni equivalenti compatibili, allo svolgimento di mansioni immediatamente inferiori.
Siamo in definitiva di fronte a differenti scenari che definiscono i “quattro quadranti” del potere datoriale in materia di mutamento delle mansioni, coerenti con l’esigenza costituzionale di bilanciare l’iniziativa economica privata nel rispetto della salute, dell’ambiente, della sicurezza, della libertà e della dignità umana (cfr. art. 41 comma 2 Cost.).
* Avvocato giuslavorista, da anni si occupa di conflittualità lavorativa anche come redattore di diversi ddl in materia presentati nella scorsa legislatura. Autore di pubblicazioni sul tema della violenza e delle molestie lavorative, tra cui “Il lavoro Molesto”, 2021, scritto in collaborazione con Harald Ege.
Articolo Successivo
Portuali tedeschi in sciopero per il rinnovo del contratto. Chiedono più soldi e migliori equilibri vita-lavoro
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Politica
Il Csm si spacca su Lo Voi: i laici di destra vogliono l’incompatibilità del magistrato del caso Almasri. La denuncia del Dis a Perugia
Sport
“Pista da bob di Cortina? Il Fatto diceva che non si sarebbe mai fatta”: Salvini attacca, ma lo stop al progetto iniziale era stato annunciato dal suo governo
Cronaca
Truffa telefonica con il nome di Crosetto: tra i bersagli anche Moratti, Della Valle e Armani
Roma, 8 feb. (Adnkronos) - - “Questa destra è davvero senza limiti e freni. Prima hanno tentato in ogni modo -persino con incredibili pressioni sul ministro dell’Interno- di usare la commissione Antimafia per sciogliere il Comune di Bari e attaccare la Regione, alla vigilia di importanti elezioni comunali ed europee. Questo attacco è miseramente fallito, e a certificare il rigore e la trasparenza delle amministrazioni guidate da De Caro ed Emiliano, oltre che gli interessati, sono stati i cittadini, sia alle Europee che alle Comunali. Ora di nuovo, dopo che la Commissione d’accesso, come previsto, ha escluso ogni ipotesi di provvedimenti verso il Comune di Bari, limitandosi a provvedimenti verso due partecipate, ecco gli immancabili esponenti pugliesi della destra, a partire dall’immancabile D’Attis, tentare di usare ancora la commissione Antimafia per gravi speculazioni partitiche. Non consentiremo queste manovre, questo uso spregiudicato delle istituzioni senza alcun rispetto per la comunità barese e quella pugliese e per esponenti politici e istituzionali che nella propria vita e nel proprio mandato si sono sempre battuti contro malaffare e criminalità”. Così il senatore Walter Verini, capogruppo Pd in commissione Antimafia.
Roma, 8 feb. (Adnkronos) - "Ecco l’ennesimo sfregio alla memoria: la Foiba di Basovizza vandalizzata alla vigilia del Giorno del Ricordo. Un atto inaudito, vile e irrispettoso, che oltraggia la storia e calpesta il dolore dei martiri delle Foibe. Nessuna vernice potrà mai cancellare la verità". Lo scrive sui social Maria Teresa Bellucci, viceministro del Lavoro e delle Politiche sociali.
Roma, 8 feb. (Adnkronos) - "Il 10 febbraio si celebra il Giorno del Ricordo e questa mattina la Foiba di Basovizza è stata vigliaccamente vandalizzata. Questo luogo simbolo della memoria nazionale è un monito contro l'odio e le tragedie del passato. Oltraggiarlo significa non solo calpestare il ricordo delle vittime, ma offendere la nostra storia, l’intero Paese. La memoria va preservata, non calpestata!”. Lo afferma il ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo.
Roma, 8 feb. (Adnkronos) - "L’atto vandalico alla foiba di Basovizza lascia sgomenti. Un oltraggio alla memoria di tanti italiani innocenti che sono stati vittima della barbarie titina. A pochi giorni dalle celebrazioni del Giorno del Ricordo, voglio ricordare il faticoso percorso che ha portato oggi a riconoscere quella triste pagina di storia a lungo dimenticata, e alla costruzione di una memoria condivisa sui fatti del secondo dopoguerra. Ma non saranno questi gesti inaccettabili e da condannare da parte di tutti , a riportarci indietro nel tempo”. Lo afferma Ettore Rosato, vicesegretario di Azione.
Roma, 8 feb. (Adnkronos) - "Le vergognose scritte apparse nella notte alla foiba di Basovizza -a poche ore dal Giorno del Ricordo- ci ricordano che il riconoscimento della crudeltà di questo dramma ancora non è condiviso da tutti i cittadini italiani. Non possiamo accettarlo. Le foibe hanno rappresentato un pagina buia della nostra storia -per troppo tempo nascosta- in cui migliaia di uomini, donne e bambini sono stati perseguitati e uccisi in nome della follia comunista". Lo afferma il deputato di Fratelli d'Italia e presidente della commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone.
"Anche quest'anno -grazie ad una risoluzione della commissione Cultura della Camera del 2023 e all'impegno del presidente Meloni, del ministro Abodi e delle Ferrovie dello Stato- partirà da Trieste -ricorda- 'Il Treno del Ricordo' per mantenere viva la memoria dell’esodo giuliano-istriano-fiumano-dalmata, che lo scorso anno ha avuto un enorme successo con lunghissime file nelle stazioni italiane delle più grandi città italiane. Dobbiamo continuare questo percorso di riconoscimento e di sensibilizzazione della terribile strage delle Foibe e restituire queste pagine strappate della nostra storia alla Nazione, per evitare che episodi come quelli di questa notte si ripetano".
Roma, 8 feb. (Adnkronos) - "Se fosse confermata la notizia del commissariamento di tre aziende municipalizzate su quattro del Comune di Bari, si avrebbe la dimostrazione della gravità, dello 'stato di emergenza' sul fronte della legalità in cui si è trovato il capoluogo pugliese. Anni e anni di silenzi e omessi controlli. Il sindaco Decaro deteneva la delega alle municipalizzate: dove era quando la mafia si appropriava della gestione di queste società pubbliche come un cancro? Ci sono responsabilità politiche pesantissime. Se confermata la notizia delle società, avremmo l’ulteriore dimostrazione della cura e dell’attenzione del Governo verso Bari e i baresi: il commissariamento di tutto il Comune avrebbe delle conseguenze disastrose e il bollino rosso delle infiltrazioni mafiose verrebbe posto, così, senza investire tutta la comunità”. Lo affermano i parlamentari pugliesi di Forza Italia Dario Damiani, Rita Dalla Chiesa, Andrea Caroppo, Giandiego Gatta, Vito De Palma, Giorgio Lovecchio e Antonio Trevisi.
Roma, 8 feb. (Adnkronos) - "L’oltraggio ai caduti è un atto vile che vuole seppellire ancora la memoria. Ricordare le vittime italiane è fondamentale per costruire un futuro di pace tra i popoli. Non possiamo permettere che la storia venga distorta, dimenticata e oltraggiata. Ferma condanna per l’ignobile atto di vandalizzazione della foiba di Basovizza". Così il ministro del Turismo, Daniela Santanchè.