“Gaza, l’Onu rivede al ribasso il numero delle vittime fra donne e bambini” è il titolo di un articolo apparso su Repubblica qualche mese fa. Secondo l’autore le Nazioni Unite avrebbero dimezzato le stime delle vittime identificate tra i bambini e le donne a Gaza. Sul sito di Nicola Porro, si rincarava la dose con un articolo intitolato: “Sorpresa, i numeri di Hamas erano fake”. Il sito Informazione.it riprendeva lo stesso articolo. Qualche tempo prima queste uscite erano state precedute da un editoriale apparso su Pagine Ebraiche intitolato: “Perché i numeri sui decessi non corrispondono al vero”. Anche sul Sussidiario.net si è ribadita l’ipotesi del dimezzamento dei dati chiedendo addirittura le dimissioni di Guterres, reo di essersi fidato dei dati di Hamas.
Come saranno giunti alla conclusione che i dati di mortalità a Gaza sono fake questi “organi di informazione”? Difficile capirlo. Testate mediatiche internazionali e alcuni ricercatori scettici avevano già contribuito a diffondere la stessa ipotesi nei mesi precedenti. L’idea dei dati inaffidabili era infatti già stata proposta in un editoriale apparso sul sito del Council of Foreign Relations e testate giornalistiche come Fox News. Sul tema si erano pronunciati anche alcuni ricercatori come il professor Abraham Wyner della Wharton School of Business dell’Università della Pennsylvania, il quale ha affermato che i dati sulle vittime fornite dalle Nazioni Unite e dal Ministero della Salute di Gaza erano, a suo parere, pieni di errori e distorsioni. Allo stesso modo, Gabriel Epstein, ricercatore dell’Istituto di Washington ha etichettato i dati di mortalità a Gaza come “completamente inaffidabili”.
Fortunatamente, come nei casi della pandemia e del cambiamento climatico, argomenti di rilevanza globale spesso attirano l’attenzione di esperti del settore, in questo caso esperti in salute pubblica ed epidemiologia. Chi meglio di loro è in grado di confutare le argomentazioni avanzate dai media mainstream o da sedicenti influencer sui social media?
Mesi fa tre ricercatori della John Hopkins Bloomberg School of Public Health hanno condotto uno studio pubblicato su The Lancet, che dimostrava inequivocabilmente che i dati del Ministero della Salute di Gaza non erano soggetti a sovrastime dei tassi di mortalità. Nel loro studio, i ricercatori hanno esaminato meticolosamente i dati del Ministero della Salute di Gaza, confrontandoli con i dati di una fonte alternativa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (Unrwa). I risultati non hanno rivelato alcuna indicazione di tassi di mortalità gonfiati. Inoltre, gli autori hanno sottolineato che il Ministero della Salute di Gaza ha costantemente fornito dati accurati sulla mortalità durante i precedenti conflitti, con discrepanze minime (dall’1-5% al 3-8%) rispetto alle analisi indipendenti condotte dalle Nazioni Unite.
Pochi giorni fa è uscito un editoriale sempre su The Lancet pubblicato da tre esperti in salute pubblica ed epidemiologia: Martin McKee, professore della London School of Hygiene and Tropical Medicine, Salim Yusuf, professore al Population Health Research Institute della McMaster University in Canada e Rasha Khatib, un ricercatore senior dell’Advocate Aurora Research Institute di Milwaukee e dell’Institute of Community and Public Health, Birzeit University in Palestina. Come sottolineato nell’articolo, nonostante la raccolta dei dati a Gaza sia sempre più difficile a causa della distruzione di gran parte delle infrastrutture, la stima di 37.396 morti causate dall’invasione israeliana sono affidabili.
Tuttavia, come ribadiscono i ricercatori, i conflitti armati hanno anche notevoli implicazioni indirette sulla salute che vanno ben oltre le uccisioni causate direttamente dalla violenza. Esistono infatti ragionevoli argomentazioni scientifiche per aspettarsi che i decessi indiretti per cause quali malattie riproduttive, trasmissibili e non trasmissibili siano e saranno molto elevati, data l’intensità del conflitto, la distruzione delle infrastrutture sanitarie, la grave carenza di cibo, acqua, case, l’incapacità della popolazione di fuggire in luoghi sicuri e la perdita di aiuti e finanziamenti all’Unrwa, una delle pochissime organizzazioni umanitarie ancora attive nella Striscia di Gaza.
Come spiegano i ricercatori, nei conflitti recenti, le morti indirette, causate da fame, mancato accesso ai servizi sanitari, mancanza di acqua e altre forme di deprivazione materiale, vanno da tre a 15 volte il numero di morti dirette causate dalla violenza. Gli autori dell’articolo spiegano che, applicando una stima prudente di quattro morti indirette per ogni morte diretta ai 37.396 decessi già riportati, non è irragionevole concludere che l’attuale conflitto a Gaza abbia causato fino a 186.000 morti dirette e indirette. Si tratta in pratica nel 7-9% della popolazione totale della Striscia di Gaza.
Richard Horton, direttore di The Lancet, facendo riferimento alla situazione sanitaria a Gaza, ha citato il ministro della Salute della Palestina, il quale ha affermato: “È vero che c’è un genocidio a Gaza” [12] In una precedente pubblicazione sempre su The Lancet, il Direttore dell’Ospedale Al-Shifa, in un commento intitolato “Fermate subito il ‘genocidio’ ha esortato il mondo “a non tacere di fronte all’uccisione dei civili”.