Il suo nome potrebbe non dire molto per cui ricostruiamo la vicenda di questa donna scomparsa da Roma il 31 maggio del 1995
Come se fossero scatole cinesi, i delitti irrisolti spesso ne racchiudono altri in un intricato rimando di misteri. E può anche succedere che seguendo le tracce per risolvere un cold case si trovino verità inaspettate, che ne risolvono altri. Potrebbe essere questo il caso di Magdalenda Chindris che in questi giorni è tornata alla ribalta delle cronache, in vista di una possibile svolta sul suo oscuro destino grazie alle nuove tecnologie di investigazione. Ma il suo nome potrebbe non dire molto per cui ricostruiamo la vicenda di questa donna scomparsa da Roma il 31 maggio del 1995.
La scomparsa
Al momento della scomparsa, la 47enne di nazionalità rumena di elevata cultura e frequentatrice di salotti letterari indossava “pantaloni marroni di lana con una foratura all’altezza del cavallo, e scarpe marroni di pelle”: così si legge dalla scheda scomparsi di “Chi l’ha visto”, redatta nel giugno di quello stesso anno, il ’95. Magdalena Chindris era nata in Romania, ma da giovanissima si era trasferita in Italia. Era sposata con l’intellettuale Aldo Rosselli, nipote degli eroi antifascisti Carlo e Aldo, ammazzati in Francia nel 1937. Lui quel giorno, il 31 maggio, era a Firenze, dalla madre. Sembra che il matrimonio fosse già naufragato da un po’. Magdalena aveva anche una figlia di ventidue anni, Ester, che non si è mai rassegnata alla sua scomparsa e che oggi sta lottando per ottenere verità sulla sorte di sua madre.
Il “suicidio”
Quella della Chindris non fu una sparizione semplice bensì una vicenda costellata di dettagli talmente inquietanti che sembra la sceneggiatura di un thriller. Quel 31 maggio del ’95 fu proprio sua figlia Ester a trovare in casa della madre, un appartamento al centro di Roma, una scala al centro della stanza, il ventilatore staccato, una cravatta a mo’ di cappio e macchie di sangue sulle pareti. Tutto faceva pensare a un suicidio ma dalla scena mancava il corpo: Magdalena era scomparsa.
Le ipotesi e il collezionista di ossa
Si parlò di suicidio, con il corpo trasportato altrove da qualcuno, di omicidio depistato e camuffato da gesto estremo e di finto suicidio per ricominciare un’altra vita altrove. Se quest’ultima ipotesi fosse reale, oggi Magdalena avrebbe 76 anni. Per trovare un tassello più recente della vicenda dobbiamo passare al 20007 quando, a seguito della scomparsa di un anziano, Libero Ricci, le forze dell’ordine ritrovarono uno scheletro carbonizzato nel quartiere romano della Magliana, nelle vicinanze dei documenti del pensionato. Lo scheletro era nei pressi di un canneto andato in fiamme e aveva una particolarità: non era intero bensì composto dalle ossa di ben cinque persone. Si parlò all’epoca del “collezionista di ossa” della Magliana. Nessuno di loro, due maschi e tre femmine, era Ricci che risulta ancora scomparso e non poteva essere l’autore di quel macabro composto. I tecnici della “Circe”, laboratorio di analisi, grazie alla tecnica del carbonio 14 riuscirono a stabilire età e epoca del decesso dei possibili “proprietari” del teschio e (fonte: Il Corriere) e tra questi c’era un profilo compatibile con quello di Magdalena. Grazie alle nuove tecnologie investigative la Procura dovrebbe a breve chiarire ogni dubbio. Si sta valutando se disporre gli esami del Dna sul perone di questo insieme di ossa, per poi compararlo con il profilo genetico di Ester, la figlia di Magdalena. Ma c’è di più.
Katy e il mistero della bara rubata
Quello di Madgalena non è l’unico corpo, qualunque sia stato il suo destino, scomparso in quegli anni. Ed è sempre il Corriere a riportare che nei giorni scorsi, si è ipotizzato che la tibia destra del ribattezzato “penta-scheletro” potrebbe appartenere a Katy Skerl, la 17enne assassinata e ritrovata cadavere a Grotta ferrata nel gennaio del 1984. Del resto, la sua bara è stata trafugata dal Cimitero il Verano nel 2015, e questo rafforza l’ipotesi. Ma la bara trafugata di Kate non è l’unico legame con questa vicenda e quello della Skerl non è il solo cold case tirato in ballo dalla storia di Magdalena che ha dei punti oscuri in comune anche con la sparizione di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana scomparsa da Roma il 22 giugno del 1983. Quel legame consiste in un nome, quello di Marco Accetti, ambiguo coprotagonista di molte tragedie. Accetti, lo ricordiamo, fu il primo a segnalare nel 2015 il furto della bara di Kate e si è più volte autodenunciato anche come rapitore del sequestro di Emanuela Orlandi ma senza portare mai a nulla di concreto. Ma c’è un altro crimine per cui fu invece ritenuto colpevole: il fotografo romano fu condannato per omicidio colposo di Josè Garramon, il ragazzino uruguaiano morto investito a Ostia.
Manca solo un pezzo per chiudere il cerchio e tornare alla storia di Magdalena, ovvero al punto di partenza. Ebbene, proprio la Chindris, che conosceva bene Marco Accetti, confermò il suo alibi nel processo per la morte del piccolo Josè. La donna all’epoca testimoniò insieme al fotografo che sembra fosse anche il suo compagno dell’epoca, tale Gherardo Gherardi, di cui Accetti era cliente.