A poco più di un mese e mezzo dalla notizia dell’inchiesta della Procura di Milano, emergono nuovi elementi sulla ipotizzata corruzione nell’ambito dei servizi digitali delle Olimpiadi Milano-Cortina. Agli atti dell’inchiesta ci sono intercettazioni che i pm hanno depositato in vista dell’udienza davanti al Tribunale del Riesame che si è tenuta oggi (10 luglio) e le annotazioni della Guardia di Finanza sulle segnalazioni che l’ad riceveva per le assunzioni. L’ex dirigente della Fondazione Milano Cortina 2026 Massimiliano Zuco in alcune intercettazioni si è riferito “esplicitamente a verosimili fenomeni corruttivi”, ponendo “l’attenzione su un giro di ‘mazzette’ che coinvolgerebbe quantomeno un dirigente di Deloitte”, la società che aveva preso l’appalto sui servizi digitali, dopo che era stato tolto alla Quibyt, società dell’imprenditore Luca Tomassini, anche lui indagato. Ma non solo: spuntano le segnalazioni che riguardavano Lorenzo La Russa, figlio del presidente del Senato, e Livia Draghi, nipote dell’ex premier Mario Draghi.
“Il giro di mazzette” – In un’annotazione delle Fiamme gialle, come riporta l’Ansa, infatti, si parla della “seconda gara per i servizi digitali”, previa “‘estromissione’ di Quibyt”, e del “ruolo di Deloitte”, a cui fu affidata “tale fornitura” sotto la “gestione Varnier”, ossia dell’ad Andrea Varnier. Gli investigatori fanno notare come Deloitte Consulting “fosse già in rapporti economici attivi con la Fondazione” con un “contratto di sponsorizzazione” da 21 milioni di euro. Gli inquirenti in relazione a questi rapporti e all’appalto per i servizi digitali, come si legge, indagano su un “presunto giro di mazzette”.
In alcune intercettazioni di aprile tra Zuco e Tomassini, il primo parla anche “dell’ampio potere discrezionale dell’attuale” ad della Fondazione Varnier. “È super appoggiato ma è super appoggiato per uno scopo politico – dice – controllare Malagò, evitare che passano certe strategie“. E fa riferimento al “maggior costo – annotano i detective della Guardia di finanza – per la Fondazione di quattro milioni di euro, dovuti dall’Ente a Deloitte per produrre ex novo il sito e conseguentemente gestirlo”. Zuco dice: “Si butta trentamila euro e spendine quattro per far contenta Deloitte, ma come si fa…”. E ancora: “Tutto sto giro qua si tiene intorno a Deloitte”. Parla di un “giro di mazzette” e indica anche il nome, riportato negli atti, di un “dirigente” di Deloitte. Nelle carte, tra l’altro, ci sono intercettazioni, sempre di aprile, anche di altri responsabili della Fondazione. Uno di questi dice: “Preferisco il vecchio sito che il nuovo bacato, con la quale facciamo una figuraccia”. E lo definisce “impresentabile”.
“Fenomeni clientelari e assenteismo” – Uno dei capitoli dell’annotazione delle Fiamme Gialle riguarda i “dipendenti della Fondazione” e si intitola “fenomeni clientelari e assenteismo senza alcun tipo di controllo interno”. Atti da cui emerge, come scrive le Fiamme, che “i candidati presso la Fondazione, sotto il mandato di Novari, erano individuati prima ancora della selezione”. E che il “personale era individuato da Novari e Malagò”. Una responsabile delle risorse umane, sentita come teste nell’inchiesta, ha parlato anche dell’assunzione nell’ente di Lorenzo La Russa, uno dei figli del presidente del Senato: “Vi era la situazione di tale La Russa Lorenzo – ha messo a verbale – che non ho mai capito di cosa si occupasse in fondazione e che vedevo raramente al lavoro, il quale, a fine 2021, si candidò e fu eletto come rappresentante civico nel consiglio comunale di Milano. Ciò ha fatto sorgere dei dubbi sulla conciliabilità contemporanea dei due ruoli ricoperti”. Esattamente La Russa fu eletto per Fratelli d’Italia consigliere del Municipio 1.
Per la testimone “non vi era un sistema per controllare l’operatività del singolo dipendente” e “di fatto la situazione così concepita concedeva al personale poco diligente di imboscarsi”. Agli atti, tra l’altro, c’è anche un’intercettazione del 19 aprile scorso tra Andrea Vernier, attuale ad della Fondazione, e Malagò, nella quale il primo “si lamenta del fatto che Antonio Marano non svolga le proprie mansioni sebbene pagato e beneficiario persino di un benefit non contrattualizzato”, ossia una macchina “con autista a spese della Fondazione”. Vernier, come si legge negli atti, diceva: “Lui già non fa un caz.. farà ancora meno”. E Malagò: “Comunque io ci parlo davanti a te, gli dico ‘Antò noi dobbiamo essere … essere adesso più realisti del re”.
C’è poi un insolito episodio che riguarda Livia Draghi, nipote dell’ex premier. È “quantomeno singolare” come il presidente del Coni Giovanni Malagò “investa Draghi Livia”, che sarebbe stata assunta nella Fondazione Milano Cortina 2026 “su indicazione” dello stesso Malagò, “di un potere maggiore rispetto a quello di Novari”, l’ex ad, “al quale suggerisce di seguire le indicazioni di una sua sottoposta“. Nell’informativa del 25 giugno scorso la Gdf, coordinata dall’aggiunta Tiziana Siciliano e dai pm Francesco Cajani e Alessandro Gobbis, riporta numerose intercettazioni e stralci di verbali. Come quello di Vicenzo Novari – indagato e interrogato dai pm – il quale spiega che “il presidente Malagò mi segnalò il curriculum di Livia Draghi (…) precisandomi che ovviamente era un curriculum da valutare con attenzione”, ma che “la decisione sarebbe stata solo mia” e “vidi che quella persona lì era esattamente quello che stavo cercando”. Agli atti anche un’intercettazione nella quale Novari, parlando con la moglie, dice: “Malagò mi aveva detto ‘stai a sentì la Draghi!’ … ‘fregatene di tutto il restò”. In sostanza, riassume la Gdf, Novari raccontava al telefono che “Malagò gli aveva indicato di seguire le indicazioni di Livia Draghi“, la quale “non vedeva di buon occhio l’assunzione della sorella” di un dirigente Rai. Livia Draghi è stata assunta nel 2020 dalla Fondazione con un contratto a tempo indeterminato firmato da Novari e una retribuzione lorda annua di circa 63mila euro.