Abbiamo visto nei post precedenti di questa serie che le popolazioni umane differiscono per la frequenza statistica delle stesse caratteristiche genetiche, piuttosto che per la presenza esclusiva di caratteristiche specifiche (cioè non c’è un gene dei bianchi, uno dei gialli e uno dei neri) e che la relazione tra la popolazione e i suoi membri è di natura probabilistica. Pur con queste limitazioni, le popolazioni sono razze? La risposta a questa domanda è no, almeno rispetto al significato comunemente attribuito alla parola razza, per due ragioni. In questo post analizzerò la prima, nel prossimo la seconda.

La prima ragione è questa: la variabilità genetica interna alle popolazioni umane è enorme, mentre le differenze tra popolazioni sono piccole: gli italiani differiscono tra loro molto più di quanto la media degli italiani differisca dalla media di qualunque altra popolazione. Ma come si misurano la variabilità interna della popolazione e la differenza tra due popolazioni? Purtroppo questo problema richiede una matematica complessa; però è possibile illustrarne la soluzione ricorrendo ad esempi opportunamente semplificati.

Immaginiamo di selezionare a caso un campione di 1.000 italiani e uno di 1.000 ungheresi. Consideriamo di nuovo i gruppi sanguigni principali, ma introduciamo questa semplificazione: che siano soltanto due, zero e non-zero (che evidentemente riunisce A, B e AB). Il sottogruppo degli italiani include 460 individui zero e 540 non-zero; il sottogruppo degli ungheresi 320 zero e 680 non-zero; l’intero gruppo è costituito da 780 zero e 1220 non-zero. Quando abbiamo una sola variabile che può assumere due soli valori, renderla numerica e adatta all’analisi statistica è molto semplice: assegniamo un punteggio di 0 allo zero e un punteggio di 1 al non-zero. Il punteggio medio dell’intera popolazione è 1220/2000=0,61. Si chiama devianza statistica della popolazione la somma dei quadrati delle differenze dalla media per ogni individuo. Lo scarto dalla media per ogni individuo di gruppo sanguigno zero è 0-0,61=-0,61 e il suo quadrato è 0,372; lo scarto dalla media per ogni individuo non-zero è 1-0,61=0,39 e il suo quadrato è 0,152. La devianza totale risulta quindi 780×0,372 + 1220×0,152 = 475,8.

Cosa abbiamo guadagnato da questa analisi? Per ora ancora nulla, ma possiamo guadagnare moltissimo se calcoliamo la devianza interna ai due sottogruppi e la devianza tra i due sottogruppi. Per il sottogruppo degli italiani abbiamo i seguenti valori: media 0,54; devianza interna 460×0,2916 + 540×0,2116 = 248,4; per il sottogruppo degli ungheresi abbiamo: media 0,68; devianza interna 320×0,4624 + 680×0,1024 = 217,6. La somma delle devianze interne ai gruppi è 466.

La devianza tra i due sottogruppi è data dal quadrato dello scarto delle rispettive medie rispetto alla media dell’intera popolazione, moltiplicato per la numerosità del sottogruppo: scarto tra la media gli italiani e la media dell’intera popolazione: 0,54-0,61 = -0,07; quadrato dello scarto moltiplicato per numerosità: 1000×0,0049 = 4,9; valori per gli ungheresi: scarto dalla media 0,68-0,61 = 0,07; quadrato dello scarto per numerosità 1000×0,0049 = 4,9; la somma della devianza tra i gruppi è 9,8. La devianza totale della popolazione è data dalla somma delle devianze interne (within) ai sottogruppi e tra (between) i sottogruppi: 466+9,8 = 475,8.

Il risultato che abbiamo ottenuto ci dice che la devianza interna è molto grande rispetto alla devianza tra i gruppi: nel nostro esempio la devianza totale (475,8) è dovuta per il 98% (100×466/475,8) alla variabilità interna ai sottogruppi e soltanto per il 2% (100×9,8/475,8) alla differenza tra i gruppi. In tutti i gruppi e popolazioni umane questa proprietà è stata sempre verificata sperimentalmente: la variabilità interna ai gruppi rispetto a moltissimi marcatori genetici è sempre molto più grande della differenza tra i gruppi, che in genere si attesta intorno al 4% della devianza totale.

Per contro nelle razze ad esempio dei cani, i cui incroci sono rigorosamente selezionati, la devianza tra le razze “spiega” il 25-30% della devianza totale. Per una analisi statistica più rigorosa si può vedere questo articolo. Può sembrare che il 30% di devianza genetica tra le razze canine sia ancora poco, rispetto a un 70% di devianza interna alle razze; ma si deve considerare che l’allevatore accoppia un maschio che a guardarlo sembra un beagle, con una femmina che a guardarla sembra una beagle: seleziona caratteristiche visibili. L’allevatore non accoppia maschi e femmine che oltre ad assomigliarsi abbiano lo stesso gruppo sanguigno o siano uguali per altre caratteristiche genetiche non visibili: persino le razze dei cani sono geneticamente meno omogenee di quanto non sembri.

Scegliere quale livello di devianza tra i gruppi definisca una razza è arbitrario: noi potremmo tranquillamente sostenere che la soglia del 4% osservata comunemente tra le popolazioni umane definisce le razze. Però facendo in questo modo otterremmo migliaia di razze umane, non certo le cinque o sei comunemente nominate; se invece alziamo la soglia al 30% le razze umane scompaiono. Non esiste un valore soglia che divida l’umanità nelle razze comunemente intese: africani, caucasici, asiatici, etc.

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