A Bruxelles il tempo scorre più veloce che nelle altre capitali europee. Mancano solo pochi giorni alle votazioni nell’Eurocamera sulle nomine Ue. Sono ore frenetiche, di contatti e trattative, dichiarazioni e colpi di scena: tutti provano a strappare l’intesa più favorevole, stando ben attenti a non perdere tutto. E dopo il cordone sanitario annunciato da Manfred Weber nei confronti dei Patrioti d’Europa, il nuovo gruppo formato per volontà del premier ungherese, Viktor Orbán, è la candidata del Ppe, Ursula von der Leyen, a dare un chiaro indirizzo alle trattative e, sulla carta, anche alla linea del prossimo mandato al Berlaymont: “Con il gruppo Ecr non ci sarà una cooperazione strutturale”, ha annunciato, riportano fonti presenti all’incontro, nel corso della riunione con i liberali di Renew.

Verdi, Socialisti e Liberali: tutti con Ursula, a patto che lasci fuori i Conservatori
In questi giorni, la presidente della Commissione uscente ha iniziato il suo pellegrinaggio tra i vari partiti europei per presentare il suo programma, conoscere le loro esigenze e le loro richieste ma, soprattutto, per cercare un accordo che le permetta di ricevere il loro sostegno il 18 luglio, quando la Plenaria di Strasburgo dovrà votare a favore o meno sulla sua ricandidatura. Ha parlato ovviamente con la più importante famiglia europea, che è anche la sua, quella del Ppe. Ha raccolto le istanze dei Socialisti, martedì, e quelle dei Liberali, mercoledì. Tutti incontri che, raccontano i presenti, sono andati bene e dai quali emerge però una richiesta chiara da parte dei partiti che compongono l’ala sinistra della ‘maggioranza Ursula‘: vietato qualsiasi accordo con i Conservatori e con i Patrioti d’Europa.

Sui secondi non c’è alcun dubbio, dato che von der Leyen nemmeno li incontrerà prima del voto a Bruxelles, da quanto si apprende. Su Ecr il discorso si fa più complesso: la presidente della Commissione li vedrà il 16 luglio, il giorno delle prime votazioni in Parlamento, e questo lascia poco spazio alle contrattazioni. Da quanto trapela, si tratterà solo di un meeting per mettere il gruppo al corrente dei piani per la prossima legislatura, senza l’ambizione di stipulare accordi.

Anche perché a sinistra, come detto, hanno messo il veto. I Socialisti lo hanno esplicitato già dopo l’incontro con la leader del Berlaymont: “Chiusura ad ogni accordo con la destra estrema, Ecr, Patrioti ed Europa delle nazioni sovrane. Cercare i loro voti infatti avrebbe un prezzo sull’integrazione europea che non siamo disposti a pagare”, ha detto Camilla Laureti, eurodeputata del Pd e vicepresidente di S&D. Lo stesso vale per i liberali di Renew che, nonostante non votino compatti per l’opposizione dei repubblicani irlandesi di Fianna Fáil, considerano un eventuale accordo coi Conservatori una linea rossa. Da qui le rassicurazioni di von der Leyen.

Anche i Verdi, con i quali la Spitzenkandidatin del Ppe ha intrattenuto colloqui nei giorni scorsi, anche se non li ha ancora incontrati nel giro di meeting tra le famiglie europee, hanno posto la stessa condizione. Lo ha spiegato Angelo Bonelli in un’intervista a Repubblica: “Se si venisse a definire una maggioranza senza Meloni e i Patrioti, mettendo al centro le politiche sul clima, aumentando il fondo sociale per la transizione, un’alleanza che ribadisca i diritti umani e civili, la cosa non ci lascerà indifferenti. Serve un cordone sanitario a Bruxelles contro il gruppo dei Patrioti, con i quali Tajani in Italia governa, ma anche verso Meloni che rappresenta una destra aggressiva e pericolosa ma camuffata”.

Il pallottoliere di von der Leyen
Dopo i colloqui si deve tornare ai numeri perché anche all’interno del Ppe potrebbero emergere dei franchi tiratori contrari a un’intesa con i Verdi. Basta vedere cosa hanno ripetuto Tajani e Weber in queste settimane su una possibile alleanza a sinistra: no ai Verdi, sì a Ecr. Così, dopo gli ultimi stravolgimenti all’interno della nuova Plenaria, la maggioranza formata da Popolari, Liberali e Renew vale esattamente 400 seggi sui 361 necessari per ottenere la maggioranza. A questi vanno aggiunti i 3 seggi del Partito Democratico Civico del premier ceco Petr Fiala, che pur essendo in Ecr ha dato sostegno a von der Leyen già in sede di Consiglio Ue. Bisogna però anche togliere alcuni voti: come detto, i 4 dei liberali irlandesi, i 6 dei Repubblicani francesi, che da subito si sono opposti alla sua ricandidatura, i 4 del Partito Democratico Sloveno di Janez Janša e anche i 2 seggi del Movimento Civico-Contadino olandese. Il totale fa 387. In caso di accordo con i Verdi (53) si arriva così a un sostegno da 440 seggi, con uno scarto di 69. Non pochi, ma nemmeno una certezza assoluta.

Per questo le parole di von der Leyen non chiudono totalmente ai Conservatori, o a una parte di essi: “Non ci sarà una cooperazione strutturale con il gruppo Ecr”. Questo non vuol dire che non possano esserci intese singole con partiti nazionali, come quello di Giorgia Meloni con la quale von der Leyen nelle settimane passate ha intrattenuto colloqui bilaterali. I suoi voti le garantirebbero la riconferma, ma la politica tedesca dovrà studiare bene le sue mosse per non scatenare una rivolta alla sua sinistra.

Cosa fa Meloni? Blinda il commissario di peso o si tiene stretto Ecr?
Anche la presidente del Consiglio italiana dovrà calcolare bene la propria strategia. Il problema rimane lo stesso: con la nascita della nuova formazione dei patrioti d’Europa, alla sua destra si è creata un’alternativa che potrebbe interessare anche i suoi alleati, polacchi e baltici in primis. Manfred Weber ha provato a lanciarle un salvagente martedì, quando ha annunciato il cordone sanitario nei confronti dei Patrioti sugli incarichi al Parlamento Ue. Da questo punto di vista, quindi, Meloni può stare tranquilla: non subirà una perdita di incarichi in Parlamento in caso di fuga di alcuni partiti da Ecr. Ma in caso di sostegno a von der Leyen alcune conseguenze potrebbero esserci comunque: l’uscita di alcuni partiti, contrari al fatto che uno dei membri più importanti faccia accordi con una candidata che ha deciso di marginalizzare la sua stessa famiglia europea, provocherebbe una diminuzione del numero dei deputati. E questo si traduce in una minore influenza all’interno della Plenaria. Ma votare contro von der Leyen potrebbe avere conseguenze ancora più gravi se la tedesca dovesse comunque ottenere la fiducia: l’Italia rischierebbe di dover dire addio al commissario di peso tanto invocato.

X: @GianniRosini

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