Giovanni Di Lorenzo resta a Napoli. Lo ha chiarito con una lettera ai tifosi divulgata dal sito ufficiale della società. La fine di una telenovela sgraziata andata in scena tra la fine della disastrosa stagione azzurra e l’altrettanto disastroso Europeo dell’Italia. La fine, sì, perché il capitano dello Scudetto ha chiarito nella lettera che resterà a Napoli, sebbene i toni emozionali, i richiami a Pino Daniele e alle nuove parole d’ordine di Antonio Conte (“amma faticà”) non convincano fino in fondo. Anzi, lasciano ancora perplessità sulla gestione di una delle innumerevoli scorie di una stagione tossica.

È una pezza “e’mille culuri”, restando nell’ambito delle citazioni di Pino Daniele, quella che mette la società con la lettera, tentando di sfruttare la scia del nuovo entusiasmo che si è trascinato dietro Conte, chiamato prima di tutto, assieme al nuovo direttore sportivo Giovanna Manna, appunto a mettere pezze sui disastri della scorsa stagione. Di Lorenzo aveva rinnovato per cinque anni nello scorso agosto, dopo l’annata Scudetto, di fatto legandosi a vita al Napoli vista la scadenza al 2028, quando il terzino avrà 35 anni: di lì a qualche mese nel matrimonio a vita però qualcosa è andato storto, tant’è che sono partite dichiarazioni sibilline dell’agente, Mario Giuffredi, già nel gennaio 2024. In quel caso ci sarà la rettifica: “Sono stato male interpretato”.

Inequivocabili le dichiarazioni di fine campionato, sempre dell’agente, che annuncia l’addio certo del suo assistito. Dichiarazioni per le quali Giuffredi, peraltro napoletano doc, finisce nel mirino della tifoseria che gli dedica uno striscione affatto benevolo. Nella lettera infatti il capitano del Napoli ci tiene a scagionare il procuratore: “È mio amico, ha percepito il disagio e svolto il suo lavoro”, tradotto “ero io a voler andar via, non lui a volermi portar via”. Bene, ciò che manca, e che in realtà sarebbe fondamentale sapere, è il perché il capitano dello Scudetto del Napoli, privilegio toccato prima che a Di Lorenzo solo ed esclusivamente a Maradona, decida dopo il rinnovo a vita, dopo lo Scudetto, e dopo tutta una serie di benefit che per quanto appena detto saranno eterni, decida di punto in bianco di andar via da Napoli.

Nella lettera il tutto è affidato a un banale passaggio: “Sentivo la vostra insoddisfazione nei miei confronti e, come ha detto il Presidente, avevo avuto la percezione di essere stato abbandonato dalla società”. È plausibile che un calciatore maturo, che indossa la fascia di capitano anche per le sue doti umane, che ha appena messo la firma su un evento storico, “esploda” per i risultati negativi o per le critiche ricevute? Se una stagione negativa, contingenza piuttosto comune nel calcio, porta tali terremoti le perplessità aumentano: Maldini è quello che è andato a rialzare tutti i compagni dopo la finale Champions di Istanbul, Del Piero è sceso in B con la Juventus dopo il terremoto di Calciopoli, Baresi idem col Milan e Zanetti ha messo la faccia su anni di delusioni dell’Inter prima di vincere tutto. Insomma, si è capitani nei momenti negativi più che nelle vittorie.

E se i risultati negativi sono un po’ poco per spingere il capitano dello Scudetto a chiedere di andar via è evidente che le motivazioni sono diverse e che probabilmente (e in maniera legittima) si preferisca ometterle. Stona il metodo, tuttavia: la bomba deflagrata del capitano che annuncia (o meglio, fa annunciare) l’abbandono della nave, l’espediente narrativo del lieto fine con letterina d’amore e parole studiate: “Non vedo l’ora di ricominciare. Perché mi sento uno di voi. Essere il capitano del terzo scudetto, il primo senza Diego, non è solo un onore: è una responsabilità. Non potevo andar via così”. Insomma, la pezza a una situazione partita male e gestita peggio: pezza che forse non sarebbe neppure servita granché, che in fin dei conti maschere da leone e belle parole nel pallone servono veramente a poco.

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