Cronaca

Bracciante indiano morto nelle campagne di Taranto: il datore di lavoro era già stato arrestato ed è a processo per caporalato

Non è la prima volta che l’ombra del caporalato si staglia su Giovanni Giannico, l’imprenditore agricolo di Laterza, nel Tarantino, ora indagato per la morte del bracciante indiano Rajwinder Sidhu Singh, 38enne deceduto il 26 maggio scorso. Dalle indagini della procura di Taranto e dei carabinieri è emerso che l’uomo era già stato arrestato nel […]

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Non è la prima volta che l’ombra del caporalato si staglia su Giovanni Giannico, l’imprenditore agricolo di Laterza, nel Tarantino, ora indagato per la morte del bracciante indiano Rajwinder Sidhu Singh, 38enne deceduto il 26 maggio scorso. Dalle indagini della procura di Taranto e dei carabinieri è emerso che l’uomo era già stato arrestato nel 2020 per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. A rivelarlo è la Gazzetta del Mezzogiorno. All’epoca, un’operazione della task force anti-caporalato aveva svelato che quattro cittadini indiani erano costretti a lavorare in condizioni di sfruttamento per circa 12 ore al giorno nelle campagne di Laterza.

In quell’occasione, Giannico e un 59enne indiano erano stati arrestati rispettivamente come “soggetto utilizzatore” e “oggetto-caporale”. Le ammende e le sanzioni amministrative imposte a Giannico superavano i 30mila euro e il processo di primo grado contro di lui per quei fatti è tuttora in corso davanti alla giudice del Tribunale di Taranto Federica Furio ma ora, a suo carico, si aggiungono le accuse per la morte di Rajwinder Sidhu Singh. Giannico ora deve infatti rispondere non solo dei reati di omicidio colposo e caporalato, ma anche dell’accusa di violazione delle norme sull’immigrazione clandestina. La sua posizione si complica ulteriormente, mentre la comunità attende giustizia per Singh.

Il 38enne di origini indiane viveva a Laterza da qualche anno e lavorava in un grande allevamento di bovini senza un regolare contratto di lavoro né un permesso di soggiorno. Era sposato e padre di due figli, ma in Italia viveva da solo, potendo contare solo sul sostegno di un fratello residente nel Foggiano. La sua famiglia, ignara di tutto, lo attendeva a Pangiab, nello Stato federato del nord-ovest dell’India, ma il 26 maggio, il suo corpo senza vita è stato portato all’ospedale San Pio di Castellaneta da Giannico con mezzi privati. L’imprenditore aveva dichiarato di aver trovato l’operaio privo di conoscenza nel suo terreno, ma il personale sanitario ha subito dubitato della sua versione e ha allertato i carabinieri.

Secondo il racconto di Giannico, Singh era svenuto e aveva perso conoscenza. Tuttavia, i medici hanno notato discrepanze tra le condizioni del corpo e la versione fornita dall’imprenditore. I carabinieri del Reparto Operativo, guidati dal tenente colonnello Francesco Marziello e dal maggiore Gennaro De Gabriele, hanno quindi condotto ulteriori accertamenti. La procura, rappresentata dal procuratore Eugenia Pontassuglia e dal sostituto Filomena Di Tursi, ha disposto un’autopsia per chiarire le cause e l’ora del decesso. I primi risultati confermerebbero i sospetti.