Quello che non si può mostrare sono gli odori. Un misto di sudore, umidità e miasmi quotidiani che peggiora con il caldo e rende invivibili le celle d’estate. Hanno provato a darne conto i detenuti del carcere di Brescia Canton Monbello – Nerio Fischione che, secondo i dati pubblicati dal Ministero della Giustizia, ospita 377 persone a fronte di una capienza regolamentare di 182 posti. “Siamo in 15 per un solo bagno, c’è sempre la fila – scrivono in una lettera – un uomo di 74 anni non ha fatto in tempo a dire che ne aveva bisogno con urgenza e ha impregnato il materasso di liquame e urina. Si è sentito umiliato e indifeso”. Il testo, che un gruppo ha consegnato alla garante per i diritti dei detenuti di Brescia Luisa Ravagnani, contiene rivendicazioni su igiene di base, esposizione a malattie, tensione generata dal sovraffollamento, e chiede alla politica di intervenire. “Non vogliamo lamentarci ma far partire da qui una riflessione e innescare un ragionamento virtuoso”, scrivono i reclusi.

Liberazione anticipata e articolo 35 ter – Due le proposte rivolte ai parlamentari per migliorare le condizioni nelle celle: la prima è velocizzare l’iter di liberazione anticipata, che oggi prevede una riduzione di 45 giorni per ogni semestre di pena scontata, previa valutazione dei requisiti da parte di un magistrato di sorveglianza. Su questo tema è intervenuto il decreto Carcere sicuro, che ha modificato la procedura di calcolo dei benefici. Finora il recluso presentava un’istanza per chiedere il computo dello sconto eventuale. Con il decreto le riduzioni per buona condotta saranno già indicate nell’ordine di esecuzione della sentenza di condanna. Questo aiuta ad avere fin dall’inizio un’idea di quale vantaggio si potrà avere in caso di comportamento esemplare, ma non accelera concretamente l’iter. I detenuti di Brescia chiedono di migliorare soprattutto i tempi di ottenimento: “In media oggi serve un anno per ottenere la riduzione perché i tribunali sono sommersi dalle pratiche e il decreto appena approvato dal ministro della Giustizia non pare accorciare questo periodo, né introduce novità significative per far calare i numeri”, dice a ilfattoquotidiano.it Luisa Ravagnani. In secondo luogo, dal carcere di Brescia si chiede di applicare in automatico l’articolo 35 ter dell’ordinamento penitenziario, una misura risarcitoria inserita nell’ordinamento nazionale dopo la sentenza Torreggiani, con cui la Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) ha condannato lo Stato italiano per le condizioni inadeguate dei penitenziari. L’articolo 35 ter prevede uno sconto di pena di un giorno per ogni dieci di detenzione trascorsa in sovraffollamento ed è concesso a prescindere dalla condotta. “Al Nerio Fischione il sovraffollamento c’è da 15 anni ma i detenuti chiedono di considerare il 35 ter almeno per gli ultimi due, perché dal periodo post pandemico i numeri sono tornati a crescere”, spiega Ravagnani.

Il tema del sovraffollamento – I problemi del carcere di Brescia riflettono quelli della maggior parte dei penitenziari italiani, con strutture rovinate da muffa, cimici e mancanza d’acqua, come dimostrano le proteste dei ristretti di Sollicciano, a Firenze, dove si è tolto la vita a 20 anni Ben Sassi Fedi. A stare male sono gli stessi operatori e le forze di polizia penitenziaria, presenti in numero ridotto, che a fatica riescono a mantenere l’equilibrio nelle strutture. “Pensiamo sia umanamente avvilente per gli agenti dover sciogliere un nodo che un detenuto esanime si è stretto al collo ponendo fine alla sua esistenza”, si legge nella lettera. Finora sono 54 i detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno al 5 luglio, secondo l’ultimo report del Garante nazionale per i diritti dei detenuti. Ma la conta dei suicidi esprime solo in parte il disagio che aumenta. “A me che entro in carcere ogni settimana per il servizio di sportello giuridico sembra una polveriera che può esplodere da un momento all’altro si adotti la soluzione che si preferisce, purché sia tempestiva nel diminuire sensibilmente il numero delle persone recluse”, spiega a ilfattoquotidiano.it Claudia Pecorella, professoressa ordinaria di Diritto penale all’Università Milano Bicocca. L’urgenza è richiesta proprio dalle complicazioni che il periodo estivo implica per i penitenziari. “I mesi di luglio e agosto sono i peggiori per chi vive in carcere – dice Pecorella – sia per le alte temperature sia perché gran parte delle attività organizzate all’interno si ferma e si riducono le occasioni di incontro e dialogo con l’esterno che spesso sono quelle che danno la forza di resistere”.

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