Per la prima volta nella sua storia Volkswagen potrebbe chiudere un suo stabilimento in Europa. Ad essere in bilico è la fabbrica Audi (uno dei marchi del gruppo tedesco, ndr) di Bruxelles, dove lavorano 3mila persone. La casa automobilistica, per ora, parla di 2.600 licenziamenti nel giro di un anno. Accostando le due cifre si capisce quale sia il destino del sito. Secondo gli analisti del settore chiudere sarebbe “un passo importante nella giusta direzione”. Il governo belga tenta di scongiurare il peggio. Qui si produce il modello elettrico Q8 e-tron, le cui vendite sono scese dell’8,2% nei primi sei mesi dell’anno. Volkswagen ha anche ridotto le previsioni complessive sul ritorno operativo (in pratica quanto si guadagna per ogni auto venduta) che, per il 2024 si attende ora tra il 6,5% e il 7%, mentre in precedenza era tra il 7% e il 7,5%. Per le auto elettriche non è un buon momento. Lo slancio di qualche tempo fa si è in gran parte esaurito e le tempistiche per la transizione sembrano ora dilatarsi.

Ma quello che giunge dal Belgio è anche l’ennesimo segnale che mostra come i produttori europei siano rimasti spiazzati dalla concorrenza, soprattutto cinese, che si è ormai conquistata una posizione di leadership con vetture più competitive sul fronte dei prezzi e gamme più articolate. Il conseguimento del primato globale nel settore delle vetture elettriche è del resto un obiettivo scientemente perseguito dalla Cina da anni. Faceva parte del piano di politica industriale Made in China 2025, approvato dal governo nel 2015. A volte avere una politica industriale (e le risorse per supportarla) ha i suoi vantaggi. I governi europei provano a metterci una pezza con piani di incentivi e, più di recente, giocando timidamente la carta dei dazi. È vero che la Cina ha sussidiato le sue produzioni ma quella europea sembra un po’ una mossa della disperazione. I produttori cinesi hanno molti modi per aggirare le tariffe e se Pechino si arrabbiasse davvero potrebbe limitare l’accesso al suo mercato, il più grande al mondo, ai produttori europei. Sarebbe un colpo da k.o. soprattutto per le case tedesche che in Cina vendono molto. Non è un caso che Berlino sia molto contraria a questa politica Ue.

Secondo gli esperti il caso del sito di Bruxelles potrebbe essere il segnale di ” imminenti azioni di ristrutturazione nell’industria automobilistica europea nei prossimi anni”. Significa che altre chiusure, non solo di Volkswagen, seguiranno. In Italia Stellantis sta già lentamente dissanguando gli stabilimenti di Melfi e Mirafiori. In Germania Ford si appresta a serrare i battenti della fabbrica di Saarlouis dove, nel 2025, terminerà la produzione della Focus. Eppure, i gruppi europei, vengono da annate di grandi profitti, ottenuti però in un modo piuttosto semplice: si producono e vendono meno auto ma a prezzi più alti. Ora però la variabile Cina rischia di rovinare il gioco. Le chiusure dei marchi europei potrebbero essere in qualche misura compensate dalle aperture dei cinesi. Il colosso dell’elettrico Byd aprirà fabbriche in Ungheria e Turchia, dove il costo del lavoro è più basso e le tutele inferiori. Chery aprirà in Spagna. L’Italia dispone di una forza lavoro di alto livello ed esperta a costi non esorbitanti ma questo vantaggio si riduce con le motorizzazioni elettriche, il cui assemblaggio è molto più semplice.

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