Il luogo chiave del giallo sulla morte di Alex Marangon non è più il greto del fiume Piave dove il cadavere del 25enne di Marcon è stato ritrovato dopo giorni di ricerche. Ora le indagini si sono spostare definitivamente sul terrazzamento di pietra che chiude il giardino davanti all’abbazia di Vidor e sulla scarpata sottostante, una parete alta 15 metri, ripidissima, ricoperta da un groviglio di piante, che finisce nel Piave. Sono i posti dove stamane è iniziato il sopralluogo dei vigili del fuoco voluto dalla Procura per chiarire ulteriormente cosa sia accaduto al barista veneziano, scomparso il 30 giugno ritrovato cadavere in un isolotto del fiume Piave alle Grave di Ciano il 2 luglio. All’opera una decina di vigili del fuoco del nucleo speleofluviale e i tecnici specializzati, che stanno lavorando con i droni provenienti da Treviso e da altri compartimenti della regione, oltre ai Carabinieri.

L’obiettivo è quello di scandagliare, con l’ausilio di lunghe scale e dell’occhio dei droni, proprio il terrazzamento e la scarpata che costeggia l’abbazia. Cosa si cerca? Tracce ematiche o di altro tipo e verificare la reale traiettoria di caduta per spiegare con certezza se Alex sia scivolato involontariamente o, viceversa, sia stato gettato da qualcuno dei presenti al rito sciamanico. Tutto ciò perché è tornata ad essere percorribile l’ipotesi della caduta, intenzionale o meno. Da qui l’incarico dato dalla Procura della Repubblica di Treviso: individuare eventuali segni provocati da impatti o rotolamenti come rami spezzati, terra o ciottoli spostati dalla propria sede e deformazioni da impatto al suolo. Anche perché nel frattempo non hanno al momento dato esito le ricerche di elementi che confortino l’altra pista, quella di un omicidio commesso da sconosciuti utilizzando corpi contundenti come pietre o bastoni. Nel teatro esaminato in questi giorni, del resto, non sono stati trovati oggetti idonei a far risalire le lesioni riscontrate dall’autopsia ad una dinamica di questo genere, pur rimanendo valida l’ipotesi prevalente dell’omicidio volontario.

Ha ipotizzato il gesto volontario compiuto da qualcuno dei partecipanti al rito l’avvocato Nicodemo Gentile, uno dei legali dei familiari del barista. “Più che buttarsi – dichiara – è stato lanciato da qualcuno da un terrapieno“. Per questo i legali seguiranno “con la massima attenzione e con dei propri consulenti tutti gli accertamenti e i sopralluoghi che verranno fatti. Anche perché è necessario capire – aggiunge – se ci sono delle situazioni che possono far dire che Alex è caduto o si è buttato da quel terrapieno, se ci sono alberi spezzati, rami, foglie o segni ematici”. Nel caso Alex fosse precipitato per cause indipendenti dalla sua volontà o da suoi imprudenti movimenti nel buio, il reato da contestare contro ignoti diventerebbe quello di morte come conseguenza di altro reato. Ovvero esattamente l’ipotesi formulata nelle prime ore dopo il ritrovamento del cadavere. Il ragazzo, cioè, fuggendo da qualche minaccia o privo di lucidità per l’assunzione di sostanze stupefacenti, non avrebbe considerato il limite del dirupo, precipitando e morendo di lì a poco per le ferite contro le rocce dell’alveo torrentizio del fiume. Per questa ragione sono particolarmente attesi gli esiti dell’esame tossicologico del sangue e dei tessuti prelevati dal corpo di Alex, i quali non saranno tuttavia disponibili prima di un mese. Interessanti, il tal senso, le parole che qualche membro del gruppo avrebbe pronunciato poche ore dopo il fatto e riportate da testimoni, secondo le quali vi sarebbe stata la consapevolezza della morte del ragazzo con ampio anticipo rispetto al ritrovamento del corpo. Su questo aspetto sono in corso accertamenti per verificare la fondatezza della testimonianza.

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