di Roberto Iannuzzi *

L’operazione militare israeliana a Shujaiya (quartiere orientale di Gaza City), cominciata più di due settimane fa, si è trasformata da lunedì scorso in un nuovo attacco su vasta scala all’intera capitale della Striscia. I perentori ordini di evacuazione israeliani, che hanno riguardato il 70% dell’area urbana, hanno colto di sorpresa i circa 300.000 residenti rimasti a Gaza City, obbligandoli a una fuga precipitosa. Avendo Israele di nuovo posto sotto assedio praticamente l’intera città, gli sfollati sono rimasti intrappolati nella zona delle operazioni militari, sotto uno dei bombardamenti più violenti mai registratisi dall’inizio della guerra.

Il conflitto sembra destinato a non aver fine. Mentre Israele lanciava la sua offensiva a Rafah, nell’estremo lembo meridionale della Striscia al confine con l’Egitto, Hamas contrattaccava in diverse zone nel nord dell’enclave palestinese.

Malgrado l’immane devastazione compiuta da Israele a Gaza, Hamas e gli altri gruppi armati palestinesi sono tuttora vitali e militarmente operativi. Secondo fonti dell’intelligence Usa, il movimento islamico che controlla la Striscia disporrebbe ancora di 9-12.000 combattenti. Hamas sostiene di averne di più, e sarebbe stato addirittura in grado di reclutare nuovi uomini. Perfino il portavoce dell’esercito israeliano Daniel Hagari, suscitando le ire del premier Netanyahu, ha recentemente dichiarato che il gruppo palestinese non può essere eliminato militarmente.

Nel frattempo, tuttavia, oltre il 90% della popolazione di Gaza (pari a 1,9 milioni di persone) è stato costretto ad abbandonare le proprie abitazioni. Molti sono sfollati più e più volte all’interno della Striscia, costretti ripetutamente ad abbandonare i luoghi dove avevano trovato temporaneamente rifugio. Per la prima volta, l’Onu ha parlato esplicitamente di una “riduzione della popolazione” in corso a Gaza. Le Nazioni Unite stimano che nella Striscia vi siano attualmente 2,1 milioni di persone rispetto ai 2,3 che erano presenti all’inizio del conflitto. Secondo l’Autorità di Frontiera della Striscia, circa 110.000 palestinesi hanno lasciato Gaza per l’Egitto, attraverso il valico di Rafah. Sono coloro che hanno usufruito di permessi speciali, spesso pagando profumatamente i doganieri egiziani.

Le vittime dell’operazione militare israeliana sono ormai oltre 38.000, secondo il conteggio ufficiale. Come ha rilevato anche The Lancet, una delle riviste mediche più prestigiose al mondo, si tratta però di un numero probabilmente sottostimato, visto che ben più di 10.000 cadaveri devono tuttora essere estratti dalle macerie. A questa stima vanno poi aggiunte le morti indirette che, secondo The Lancet, solitamente superano dalle 3 alle 15 volte i decessi diretti, e sono causate dalle malattie, dalla distruzione delle infrastrutture sanitarie, dalla scarsità di cibo, acqua, e ricoveri. Sulla base di simili valutazioni, l’azione militare israeliana a Gaza potrebbe arrivare a produrre 186.000 morti, pari al 7-9% dell’intera popolazione della Striscia.

Non vi è alcuna prospettiva di un rapido miglioramento delle drammatiche condizioni di vita nell’enclave palestinese. Secondo dati della Banca Mondiale e dell’Onu, raccolti fra ottobre e gennaio, più del 60% delle abitazioni nella Striscia sono state distrutte o danneggiate. A maggio, la FAO e le Nazioni Unite stimavano che il 57% dei terreni coltivabili erano stati devastati dalle operazioni militari. A giugno, Save the Children riferiva che oltre 20.000 bambini a Gaza sono considerati “dispersi, scomparsi, detenuti, sepolti sotto le macerie o in fosse comuni”. Mentre a marzo, lo UN Mine Action Service (UNMAS) stimava che 37 milioni di tonnellate di detriti ricoprissero l’intera Striscia. Tali detriti sono disseminati di ordigni inesplosi (solitamente, circa il 10% di quelli sganciati), che richiederanno almeno 14 anni per essere rimossi.

L’esercito israeliano controlla direttamente circa il 26% del territorio di Gaza, dove sta costruendo basi militari, pavimentando strade, e creando infrastrutture che lasciano presagire un’occupazione militare a tempo indeterminato. Il governo Netanyahu sta mettendo a punto piani per la gestione a lungo termine dell’enclave palestinese, come quello che prevede la creazione di “bolle” o “isole” che dovranno ospitare i residenti della Striscia “non affiliati” a Hamas. Al di fuori di queste “riserve”, proseguiranno le operazioni militari contro il gruppo armato. Il piano prevede che i palestinesi che ripudieranno Hamas otterranno il diritto di vivere in queste “isole” e di ricostruire le proprie case.

Con il passare del tempo, singoli esponenti dell’Autorità Nazionale Palestinese che vivono a Gaza potranno essere coinvolti nell’amministrazione di queste aree. Il che lascia presagire anche il rischio di scontri, se non di una vera e propria guerra civile, fra palestinesi. In alcuni di questi piani, è prevista la presenza di una forza internazionale araba, eventualmente supervisionata dagli Usa, che sollevi le forze israeliane dallo svolgere compiti di polizia. Nel complesso, dunque, si prospetta per Gaza una guerra strisciante di lunga durata, all’ombra di una dura occupazione militare, nel quadro di una situazione umanitaria catastrofica con scarse prospettive di ricostruzione e di ritorno a una vita normale. Un inferno senza vie d’uscita, che continua ad alimentare i rischi di un’estensione del conflitto a livello regionale.

*Analista di politica internazionale, autore del libro “Il 7 ottobre tra verità e propaganda. L’attacco di Hamas e i punti oscuri della narrazione israeliana” (2024).

Twitter: @riannuzziGPC
https://robertoiannuzzi.substack.com/

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