I vigili del fuoco che nel 2011 rilasciarono la certificazione antincendio per la Torre dei Moro, il grattacielo milanese di 18 piani distrutto da un maxi rogo nel 2021, non potevano conoscere la “pericolosità” e la “inadeguatezza” del materiale con cui erano state rivestite le facciate, a forma di “vele“. Così la giudice di Milano Ileana Ramundo motiva la sentenza con cui ha prosciolto i due vigili del fuoco Mario Abate e Luciano Propana, oltre al responsabile tecnico del cantiere della torre, Crescenzo Panico e Giacomo Passera, della ditta Zambonini. Sono solo alcune delle 18 persone che risultavano indagate nell’atto di conclusione inchiesta per disastro colposo depositato dalla Procura nel settembre 2022. Per quello che la gup definisce “un incendio di portata colossale“, caratterizzato da una “repentinità di propagazione rispetto alla quale può dirsi scongiurato un tragico epilogo per pura casualità”, sono state rinviate a giudizio, lo scorso giugno, 13 persone, mentre quattro, appunto, sono state prosciolte.
La gup nelle motivazioni descrive un contesto “caratterizzato da omissioni e passaggi equivoci su aspetti non certo secondari”, cioè la “realizzazione delle ‘vele’ ed il materiale impiegato”. In un passaggio cruciale delle 20 pagine di motivazioni la giudice scrive: “La modifica dei pannelli delle finiture delle vele da fibrocemento ad alluminio” venne “inserita con una correzione apposta manualmente priva di firma e data”. In questo modo la scritta originale sarebbe stata “parzialmente cancellata” e la parola del materiale sostituita. L’alluminio, sottolinea la gup, è un “materiale che con le alte temperature si è praticamente sciolto“.
La decisione della società committente di impiegare “un elemento così innovativo dal punto di vista tecnologico“, ossia “le vele” delle facciate”, come osserva la giudice, “sarebbe dovuta essere accompagnata da uno scrupoloso studio teso ad accertare se le prescrizioni normative allora vigenti fossero effettivamente sufficienti a garantire la sicurezza antincendio dello stabile”. Inoltre, si legge ancora, “la confusione ingenerata dagli equivoci riferimenti” ad altri pannelli con un nome simile, ma “una differenza sostanziale quanto alla resistenza al fuoco”, avrebbe impedito ai due funzionari dei vigili del fuoco di “cogliere l’effettiva pericolosità e inadeguatezza dei materiali impiegati”.
Tra i rinviati a giudizio, per i quali il processo per disastro colposo comincerà il 30 settembre, ci sono il costruttore Alberto Moro, la moglie Stefania Grunzweig, amministratrice della Polo srl, committente e venditrice degli appartamenti, cinque responsabili della Zambonini spa, che si occupò dei lavori delle “vele” della facciata e alcuni della ditta che commercializzava in Italia i pannelli Larson, prodotti dalla spagnola Alucoil che, stando alle indagini della pm Marina Petruzzella, erano “altamente infiammabili“. E a processo figurano anche due spagnoli, in qualità di legale rappresentante e di export manager di Alucoil.