Politica

La sinistra che piace alle élite è quella della ‘maggioranza Ursula’, gli elettori vanno altrove

Il livore dei mass media e dei politici liberaldemocratici e del cosiddetto riformismo contro Melenchon per il suo risultato in Francia è pari alla gioia con cui hanno accolto la vittoria di Starmer in Gran Bretagna. Trascuriamo la parte giocata dai sistemi elettorali, quelli che hanno fatto sì che in Gran Bretagna i laburisti raggiungessero una maggioranza schiacciante di seggi con una percentuale di voti inferiore a quella ottenuta da Le Pen in Francia. Mentre la destra italiana, che si lamenta del sistema francese, è al governo proprio per il sistema elettorale italiano voluto dal Pd.

La sostanza è che il Labour neoblairiano, cioè seguace di quel Tony Blair che dovrebbe essere sotto processo internazionale per guerra di aggressione, viene da noi presentato come la sola sinistra utile a sconfiggere davvero la destra; mentre ci si augura la rottura del Fronte Popolare con la France Insoumise posta ai margini, per realizzare anche in Francia una maggioranza riformista come quella britannica. Viceversa un governo del Fronte Popolare viene considerato peggiore di uno guidato da Le Pen.

Praticamente i commenti della élite italiana e dei suoi giornali echeggiano un vecchio terribile motto della classe dominante francese negli anni Trenta del secolo scorso: meglio Hitler del Fronte popolare.

Il quotidiano La Repubblica è stato in prima fila nel rilanciare questa rinnovata scelta del male minore a destra, nel nome della lotta all’antisemitismo, di cui è stato accusato Melenchon per le posizioni assunte a favore della Palestina e contro il genocidio israeliano, ma anche per l’antirazzismo, per l’anticolonialismo e il ripudio totale dell’Islamofobia, vero antisemitismo del ventunesimo secolo. Prima del secondo turno francese, La Repubblica ha dato grande risalto alla presa di posizione dell’intellettuale liberal conservatore Finkielkraut, che aveva dichiarato di preferire Le Pen a Melenchon. Lo stesso quotidiano aveva definito nei suoi titoli come antisemita LFI. Poi dopo il voto addirittura hanno scritto che la comunità ebraica era in angoscia per il risultato del Fronte Popolare.

L’accusa di antisemitismo contro la sinistra che sta con la Palestina ha unito liberal democratici reazionari e neofascisti, anzi ha legittimato questi ultimi. Le Pen ha fatto della lotta all’antisemitismo la sua prima bandiera e ha definito Melenchon esattamente come il quotidiano romano della famiglia Elkann-Agnelli. Persino Salvini avrebbe potuto usare La Repubblica per sostenere Le Pen.

Però la maggioranza del popolo francese non si è fatta imbrogliare da questi ultimi lasciti dello spirito di Vichy e, mentre Macron faceva cene con Bardella e Le Pen per trovare un accordo di coabitazione, ha votato contro l’estrema destra.

Invece in Gran Bretagna l’imbroglio ha funzionato. Jeremy Corbyn nelle passate elezioni aveva ottenuto più voti di Starmer, ma aveva di fronte un partito conservatore più forte, non ancora entrato nella crisi attuale. Se avesse mantenuto la leadership del Labour, oggi, che i conservatori sono crollati, Corbyn guiderebbe un governo britannico di vera sinistra. Per evitare questo l’establishment britannico, con il sostegno dalla peggiore destra filo israeliana, ha organizzato un golpe interno al Labour estromettendo Corbyn con la solita accusa di antisemismo.

Oramai è chiaro che questa accusa non solo serve a coprire il sostegno al genocidio israeliano, ma viene usata in Europa per selezionare una classe politica disposta alla guerra, all’economia di guerra e alle politiche liberiste di austerità.

Contro il programma economico del Fronte Popolare di Melenchon sono stati lanciati ancora più anatemi che sulla sua posizione sulla Palestina. La tassazione dei ricchi, la pensione a 60 anni cancellando la controriforma di Macron, il salario minimo a 1600 euro mensili netti sono stati considerati follie. Eppure queste non sono certo misure rivoluzionarie, ma semplicemente riforme di giustizia dopo anni di distruzione dei diritti sociali nel nome della competitività e dell’austerità. In Francia contro Macron ci sono stati giganteschi scioperi ed una mobilitazione di massa di settimane. Il programma del Fronte Popolare è semplicemente una risposta positiva a quelle lotte. Ma l’Europa liberaldemocratica è proprio questo che non vuole: che si diano risposte positive alle lotte sociali. L’Europa liberista attuale nasce dalla sconfitta del movimento operaio e della sinistra che lo rappresentava ed è disposta a qualsiasi cosa purché non si torni alla giustizia sociale.

La reazione contro il programma del Fronte Popolare accomuna i reazionari e i liberali, che anche se confliggono per i voti, sono sempre più vicini sulle questioni di fondo. Il rifiuto della guerra e del militarismo della Nato, il sostegno alla Palestina, l’eguaglianza sociale sono oggi incompatibili con il sistema di governo europeo. Quel sistema che si prepara a rieleggere a capo della Commissione Ue Ursula von der Leyen, reazionaria, guerrafondaia e complice di Netanyahu. La sinistra ammessa nel palazzo è quella che sta con la “maggioranza Ursula” e anche la destra viene sempre più selezionata sulla base dello stesso criterio. La maggioranza Ursula, liberale nella forma, reazionaria nella sostanza, è ciò che le élite considerano il meglio per se stesse in Europa.

Macron pensava di melonizzare Le Pen, facendola governare in ossequio alla Nato e all’austerità Ue, ma gli elettori hanno deciso diversamente. Anche in Gran Bretagna il successo del liberismo non è stato perfetto, perché Corbyn è stato rieletto in Parlamento, sconfiggendo sia i laburisti che i conservatori. Anche lì qualcosa è andato storto.

Nonostante trent’anni di politiche e dominio ideologico a senso unico, qua e là in Europa sta risorgendo una sinistra di sinistra. Lor signori non ci sono più abituati e vanno in confusione e rabbia. È solo l’inizio, ma è un segnale per il futuro. Un segnale che prima o poi si sentirà anche in Italia e allora sembreranno davvero ben misera cosa le alchimie dei campi, larghi nelle alleanze e ancora di più nei principi.