“Viviamo a Gaza in una situazione tragica, mangiamo quasi niente e beviamo esclusivamente acqua salata, mio figlio ha una rara forma di distrofia muscolare e non ci sono a disposizione in tutta la Striscia strutture mediche per aiutare in particolare le persone non autosufficienti. Il nostro sogno è raggiungere l’Italia, passando per l’Egitto dove la nonna si è già trasferita, per avere la speranza di ricevere cure e trattamenti sanitari idonei”. La testimonianza rilasciata a Ilfattoquotidiano.it è di Khawla Jamil Al-Wahiddi, madre di Ahmed, 17 anni con distrofia dei cingoli Lgmd2e. La situazione delle persone con disabilità nel corso della guerra di Gaza, in assenza di corridoi umanitari dedicati, è drammatica e per loro le evacuazioni restano difficilissime, quasi impossibili.
“Non c’è neanche l’elettricità per caricare le batterie della carrozzina di mio figlio che ha necessità di utilizzare ogni giorno per spostarsi e viviamo in mezzo agli insetti che possono portare anche gravi malattie infettive per cui soffriamo disperatamente ogni secondo per le persone che muoiono accanto a noi”, racconta Khawla Jamil. La segnalazione della storia che vede coinvolto questo ragazzo con disabilità motoria è arrivata al Fatto.it da Beatrice Vola, presidentessa della Fondazione Ets Gruppo Familiari Beta-sarcoglicanopatie (GFB) di Talamona (Sondrio).
Vola ha conosciuto la famiglia di Ahmed nel 2021 durante una video chiamata su Zoom perché fa parte di un gruppo di altre famiglie palestinesi e arabe creato all’interno della Fondazione GFB. In quell’occasione la madre aveva inviato a Vola la diagnosi della patologia di Ahmed, fatta in un ospedale di Gerusalemme, che certificava di avere una malattia neuromuscolare degenerativa rara. “Ci hanno chiesto di aiutarli a fuggire e mettersi al sicuro e cosi il 20 maggio abbiamo organizzato e fatto partire una raccolta fondi intitolata “Fuga da Gaza” per un futuro migliore in Italia dove Ahmed potrebbe essere inserito in una sperimentazione all’avanguardia per la sua distrofia muscolare dei cingoli”, spiega Vola.
Ahmed fino all’anno scorso riusciva a camminare abbastanza bene, ma negli ultimi mesi ha iniziato ad avere molte più difficoltà e ha cominciato a usare quasi sempre la carrozzina per muoversi. Poi è arrivata la guerra a Gaza che ha stravolto anche la sua vita, già in condizione di fragilità crescente. “Il 12 maggio 2024 la sua famiglia ci ha comunicato che la loro casa è stata bombardata e distrutta, il nonno di Ahmed è morto. Tutti i componenti arabi del GFB con cui siamo a contatto sono molto preoccupati per il suo stato di salute che sta peggiorando”, dice Vola.
La vita in quel contesto devastato dal conflitto con Israele è durissima per tutti, ancora più estrema per chi ha una patologia grave. La famiglia di Ahmed è composta da 5 persone. I genitori pagano circa 2mila dollari di affitto al mese per una dimora di 50 metri quadrati e vendono tutto ciò che possiedono per saldare i conti ogni trenta giorni. “Nella Striscia non ci sono istituzioni che aiutano nello specifico le persone con disabilità o forniscono servizi idonei. Ciò influisce pesantemente sui pazienti e vediamo peggiorare la qualità di vita in generale delle persone non autosufficienti che qui sopravvivono giorno per giorno nell’estrema incertezza di vedere calare la sera ancora respirando”, denuncia al Fatto.it la donna.
“A seguito della guerra, per la malattia di mio figlio nessuno finora ci ha dato una mano, non abbiamo sostegni e assistenza sociosanitaria né da parte delle istituzioni legate ad Hamas né da qualche altra organizzazione di volontariato sociale, non esistono associazioni, neanche internazionali, operative a Gaza che difendono nello specifico le persone disabili”. Ora l’unico pensiero della famiglia di Ahmed è quello di abbandonare la loro terra distrutta dagli ordigni e dai missili. Il giovane palestinese ha realizzato circa un mese fa un video-appello, pubblicato sul canale YouTube della Fondazione GFB, per chiedere di aiutarlo nella sua evacuazione. Khawla Jamil Al-Wahiddi aspira ad arrivare in Italia insieme alla sua famiglia “affinché mio figlio possa vivere in condizioni adatte a tutte le sue esigenze particolari. Vogliamo ringraziare la Fondazione GFB per tutto quello che sta facendo in nostro soccorso”. Oggi Ahmed per uscire di casa è supportato dal suo unico fratello che lo porta in spalla ogni giorno dal terzo piano al piano terra.
Cosa occorre adesso al ragazzo? “Tra le varie cose quello di cui Ahmed ha bisogno”, dice la madre molto preoccupata, “sono diversi nuovi caricabatterie per mantenere operativa la sua carrozzina elettrica il più a lungo possibile, un mezzo che gli permetta di salire e scendere le scale in modo adeguato anziché essere ogni volta trasportato a braccia, cibo che gli consenta di ottenere benefici per la salute in modo che possa sopravvivere”. Intanto la sopravvivenza è sempre più complicata e assai precaria. “Ahmed da giorni soffre di alcune gravi complicazioni dovute all’interruzione delle cure e alla grave malnutrizione di cui soffriamo nel nord della città di Gaza, infatti viviamo praticamente quasi solo di acqua salata”, racconta la madre.
Ahmed, nonostante la sua giovane età e il contesto in cui è costretto a vivere, non rinuncia a sperare e si rivolge direttamente all’Onu attraverso Ilfattoquotidiano.it: “Chiedo per favore alle Nazioni Unite di avere voce in capitolo nel garantire il più in fretta possibile l’evacuazione in sicurezza e protezione per le persone con disabilità non autosufficienti”. Secondo le statistiche ufficiali del Palestinian Census Bureau, prima del conflitto circa 50mila persone a Gaza, ovvero il 2,4% della popolazione complessiva, avevano una disabilità di tipo motorio, sensoriale, psichico, intellettivo o relazionale.
Infine il giovane palestinese auspica l’intervento della comunità internazionale affinché assuma una posizione ferma nel prendere una decisione vincolante per porre fine a questa sanguinosa guerra. “Ogni momento davanti ai nostri occhi vediamo morire delle persone. Io, come paziente, perdo il mio corpo magro ogni giorno. Sono diventato pelle e ossa, malnutrito e la mia malattia è progredita notevolmente. Chiedo – continua Ahmed – che qualcuno si accorga di noi persone con disabilità di Gaza e corra in nostro aiuto. Io sto morendo lentamente. Chiedo di ascoltare queste mie parole con grande attenzione e compassione. Fermate la cascata di sangue. Aiutatemi a fuggire da qui”, conclude.