“Se non c’è acqua a sufficienza, questi signori delle autobotti dove la prendono?” si chiede Beppe Amato, responsabile risorse idriche per Legambiente. Una domanda che fa eco un po’ in tutta la Sicilia e che sta investendo le prefetture e le procure dell’Isola. L’emergenza siccità ha, infatti, dato il la al grande business dell’acqua: “Si consideri che alcune di queste ditte che hanno autobotti per ogni viaggio ricavano circa 100 euro, facendo più viaggi al giorno, almeno 10, e con più autobotti: in trenta giorni quindi si può calcolare un guadagno di almeno 30 mila euro”, spiega Claudio Guarneri, presidente di Aica, l’azienda idrica dei comuni agrigentini.

Ed è proprio ad Agrigento – una delle città a soffrire di più dell’emergenza siccità – che si sta dando una forte stretta al mercato nero dell’acqua. Sono state tante le riunioni in prefettura, alle quali era presente anche il capo della procura, Giovanni Di Leo, finalizzate a gestire un sistema che finora era completamente privo di regole. E dopo il far west, adesso, per potere rifornire i privati con autobotti, bisogna avere un certificato della prefettura che attesti che si è autorizzati al servizio, e che, di conseguenza, sia nota la provenienza dell’acqua. “Era necessario innanzitutto che fosse accertata la composizione di quest’acqua, una di questa autobotti aveva preso acqua da un fiume”, rimarca Guarneri.

La stretta però non è andata giù ai titolari delle ditte che un mese fa hanno inscenato una vera e propria serrata contro l’improvvisa regolamentazione. Una serrata durata addirittura una settimana, finché l’accordo tra Aica e ditte private è stato trovato. Uno stop al mercato nero dell’acqua? Non del tutto: solo lo scorso 3 luglio i carabinieri hanno elevato una multa di 3mila euro a un soggetto scovato mentre riforniva abusivamente con l’autobotte un condominio a Porto Empedocle. In alcune parti della Sicilia d’altronde il rifornimento idrico avviene da anni solo con le autobotti: è quello che le autorità hanno scovato a Sciacca, dove è emerso come molti privati non abbiano alcun allaccio alla rete idrica pubblica. “Quando vengono con le autobotti per rifornirsi da noi, unica fonte consentita adesso, diamo loro un modulo da consegnare agli abusivi perché possano essere censiti e inseriti nella rete”, spiega il presidente di Aica.

Che vi sia un mercato abusivo dell’acqua in Sicilia, d’altronde, è stato anche svelato da un’inchiesta della procura di Palermo, guidata da Maurizio De Lucia, che lo scorso gennaio ha portato all’arresto di 5 persone, tutte accusate di associazione mafiosa. E qual era il grande affare della famiglia mafiosa di Carini? Non era la droga, non le armi, né le estorsioni: attraverso una condotta idrica abusiva i vertici della famiglia mafiosa fornivano acqua per 115 famiglie. Succedeva ben prima dell’allarme siccità.

Intanto sono proprio le autobotti la risorsa più immediata per la crisi, mentre i dissalatori che potranno dare continuità del servizio anche in assenza di piogge sono considerate una soluzione troppo cara e perché ritornino in funzione quelli già esistenti ci vorranno ancora tra i 12 e i 18 mesi. Gli interventi più a lunga scadenza, invece, come la sistemazione della rete idrica per evitare le perdite che in alcune, registrano ritardi e in alcuni casi hanno portato anche a perdere finanziamenti.

Succede ad Agrigento dove i fondi per sistemare la rete idrica sono andati persi: “Erano previsti 49 milioni di euro disponibili per rifare l’intera rete idrica ridotta ad un colabrodo. Finanziamento disponibile, appalto celebrato, aggiudicazione avvenuta, lavori mai iniziati, soldi persi. Adesso il presidente della Regione (Renato Schifani, ndr) promette che verrà rifinanziata. Bene, lo speriamo, ma intanto possiamo registrare che a gestire la fase emergenziale sono quelli che non hanno saputo farlo con la fase ordinaria”, così rileva Giuseppe Riccobene, ingegnere e dirigente di Legambiente Sicilia, esperto in materia di gestione idrica. E con tutto questo la siccità c’entra pochissimo: “Agrigento vive, da sempre, un perenne disservizio. Da queste parti l’acqua viene distribuita ogni 7 o 10 giorni e dev’essere accumulata nelle cisterne sui tetti o interrate, per poter soddisfare le esigenze di ogni famiglia o di ogni esercizio commerciale ma all’orizzonte non si vede nessuno che sappia o voglia dare vita a un servizio che dia continuità”.

Intanto lo scorso martedì, cioè soltanto il 9 luglio, quando l’estate è ormai in fase avanzata, la presidenza della regione annunciava in un comunicato un intervento straordinario previsto per il giorno successivo su Ancipa, una delle grandi dighe che servono il centro Sicilia, un “intervento che rientra all’interno di un piano di manutenzione programmata per eliminare alcune delle perdite di acqua lungo la rete”. Ma dagli uffici della regione assicurano che non c’è nessuno ritardo. Anzi, tutto il contrario: su un piano di emergenza complessivo che è partito l’8 giugno, il 50 per cento – fanno sapere – o è stato completato o è in fase di completamento, mentre sono al lavoro su un secondo e terzo gruppo di interventi, per un totale complessivo di 68 milioni, questo per l’idropotabile, altra storia è ad uso irriguo dove l’emergenza è gestita dal ministero dell’Agricoltura.

Nel frattempo, altri finanziamenti verranno probabilmente dall’Ue, alla quale la regione si è rivolta per chiedere la “rimodulazione finanziaria del piano di sviluppo rurale 2014-2022”. Una rimodulazione, alla luce della nuova emergenza, che inserisca “da un lato gli interventi mirati a ridurre i rischi di inondazioni/alluvioni/esondazioni causati da piogge eccezionali (bombe d’acqua) e i rischi di esposizione ad alte temperature e a venti sciroccali che possono determinare la perdita del potenziale produttivo agricolo, e, dall’altro, gli interventi mirati, ad incrementare la captazione di risorse idriche utili ai fini irrigui”.

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