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La sostenibile leggerezza del Coldplay: vi raccontiamo il live di Roma (uno show futuribile, paraculo ma non troppo)

Un’agenda programmatica per ridisegnare il pianeta però facendo una festa della madonna. Avanti senza incertezze verso la meta, l’umanità è attesa da sorti magnifiche e progressive, la scaletta è una medicina omeopatica, la scenografia iperuranica, con le sfere dei corpi celesti a galleggiare sullo stadio

di Stefano Mannucci
La sostenibile leggerezza del Coldplay: vi raccontiamo il live di Roma (uno show futuribile, paraculo ma non troppo)

Avete voluto i Coldplay? Pedalate. In fondo al prato dell’Olimpico trovate le bici che producono elettricità, servono a ricaricare l’energia per il palco. In alternativa, si può saltare sui tappeti ergodinamici, anche quella è tutta corrente green. Il concerto di Chris Martin & Co. non è gym a buon mercato, bensì un formidabile laboratorio creativo dove l’ultrapop immagina un mondo che (ancora) non c’è.

La sostenibile leggerezza della musica dei quattro londinesi è la colonna sonora di un’agenda programmatica per ridisegnare il pianeta. Però facendo una festa della madonna, perché qui a Roma, in questo poker di live, è come ovunque: uno show sontuoso, tecnologicamente futuribile, inclusivo, paraculo ma non troppo, e una mezza tacca di retorica ci sta, per fare un pieno di buonumore. I Coldplay eseguono un inno alla gioia che dura due ore, una botta di vita in cui si macina e si gode senza controindicazioni depressive. Avanti senza incertezze verso la meta, l’umanità è attesa da sorti magnifiche e progressive, la scaletta è una medicina omeopatica, la scenografia iperuranica, con le sfere dei corpi celesti a galleggiare sullo stadio: anche se sai che sono palloni ti vengono in mente Dante e Platone, scorgi universi esplorabili da James Webb, una Terra possibilmente da salvare.

Come? I Coldplay, affiancatori dell’eco-lobby Global Citizen, ti informano che per ogni biglietto venduto in questo Music of the Spheres World Tour verrà ripiantato un albero; che parte del ricavato sarà devoluta per le operazioni di ripulitura degli oceani, e persino il loro prossimo album, in uscita il 4 ottobre, verrà realizzato in un vinile ottenuto dal riciclo di bottiglie di plastica. Il disco si intitolerà “Moon Music” e sarà, nelle intenzioni, il penultimo della carriera. Sì, perché anche loro, da superstar, si sono resi conto che non valga la pena – finanziariamente – di spremere l’ultima vena di creatività quando i dischi vendono poco.

Gli artistoni campano con dei megatour infiniti o quasi: ovvio, qui scatta il paradosso, perché le carovane internazionali di rock e pop inquinano, e allora ci si sposta su bus e tir elettrici, in certi casi si evitano gli aerei. Così, a quanto pare, le emissioni di anidride carbonica vengono drasticamente ridotte. Come sia, vietato fermarsi: a ogni concerto la band incassa 6 milioni di euro, in parte reinvestiti per uno spettacolo senza pari, a livello di resa. Agli spettatori vengono consegnati braccialetti che producono segnali luminosi variamente colorati, e l’effetto visto dalle tribune è dannatamente suggestivo. Poi ci sono gli occhialetti per illudersi che dei cuori pulsanti siano sospesi in aria, disvelati da un prodigio atmosferico. Inevitabile l’accenno alla pace: Chris indossa nastrini con i colori dell’Ucraina, e visto che il pubblico arriva da ogni dove serve una citazione per la Palestina, Israele, la Russia e tutti i teatri di conflitto.

Il sostegno alla comunità LGBTQ+? Il frontman si mette sulle spalle una bandiera arcobaleno. Sentirsi poco accettati in terrra straniera? Ecco le maschere da animali strani, da incontrare su qualche galassia. La fratellanza mondiale? Questa è l’istanza più corposa: Martin il “buonista evoluto” la mette in campo sottolineando che tutti i 63mila presenti sono un’unica famiglia, e i quattro sul palco ne fanno parte. Quando tira su un’adolescente, l’emozionatissima Rebecca, per cantare insieme “Magic” (la ragazza l’aveva richiesta con un cartello) ti viene voglia di abbracciarli tutti e due, tanto è credibile e potente quell’empatia.

E quando il cantante invita in passerella un tizio che ha addosso la pettorina da steward, ci metti un po’ per capire che è solo un godibile trucco di scena, il ragazzo balla come un professionista. Però chi se ne frega, questa è una festa vera, emendata dalle tossine di certi divi maledetti. Non c’è veleno, attorno ai Coldplay. La malinconia va lasciata all’ingresso. Con “Viva la vida”, che è la canzone più richiesta per i funerali, potrebbe davvero resuscitare il de cuius, almeno per un live. E nel tempo di “Fix you” speri sul serio che certe ubbie dello spirito possano essere soffiate via: Martin la scrisse quando all’allora moglie Gwyneth Paltrow morì l’adorato padre. Oggi invece il Nostro fa le serenate (vedi il nuovo singolo “feelslikeimfallinginlove”) alla sua innamorata Dakota Johnson, ultima in un carnet sentimentale dove si pescano solo attrici (c’era stata pure la liaison con Jennifer Lawrence).

Alla prima dell’Olimpico, in questo impareggiabile “Son èt lumiere” per grandi e piccini, dove anche un vip come Roger Federer si è beccato la schitarrata improvvisata in qualità di “tennista più bravo e più bello” (in tribuna anche Dybala, Alessia Marcuzzi, Elisa) è mancato solo l’omaggio a qualche canzone capitolina. Ma queste restano serate da Roma Capoccia, senza se e senza ma.

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