Ne avevo avuto già sentore in questi mesi. E ancor più all’indomani del 30 giugno, giorno del primo turno delle legislative francesi, convocate da Macron dopo la disfatta del suo partito alle europee. In quest’ultima settimana, dopo i risultati del secondo turno del 7 luglio, i segnali sono ancor più netti. Il nemico, per il potere costituito, che si ammanta degli attributi di “liberale” e “democratico”, è la sinistra della rottura e della trasformazione. Non l’ultradestra.
In effetti, volgendo lo sguardo a soli pochi anni fa, il terrorismo finanziario che aveva per obiettivo disciplinare Syriza in Grecia – obiettivo conseguito con pieno successo – e la guerra sporca contro Podemos nello Stato spagnolo mostravano che potere economico, politico e mediatico hanno fatto e faranno di tutto per impedire che possa trovare applicazione un programma di rottura, democraticamente scelto dal popolo in libere elezioni.
Avete mai visto un simile “barrage” contro l’ultradestra che, dall’Austria all’Italia, per non parlare dei Paesi dell’Europa dell’Est, è arrivata al governo?
Proprio no. Il 10 luglio Libération ha rivelato che negli ultimi mesi Thierry Solère, consigliere di Macron, avrebbe ricevuto più volte presso la sua abitazione sia Marine Le Pen che Jordan Bardella, a volte alla presenza anche di Ministri del governo macronista.
E addirittura Le Monde riporta che Macron stesso avrebbe provato a sabotare la “desistenza”, contattando personalmente diversi candidati “per chiedere che si tenessero lontani dal nascente fronte repubblicano”.
Oggi, in Francia come nel resto del continente, il nemico è Mélenchon e tutto ciò che rappresenta. Da settimane, è iniziata – o, meglio, si è rafforzata – la demonizzazione del leader de La France Insoumise, forza egemone di quel Nouveau Front Populaire (NFP) che il 7 luglio ha ottenuto la maggioranza relativa al Parlamento di Parigi. L’obiettivo è isolare Mélenchon. Separarlo da una parte del popolo che l’ha votato e dagli altri partiti del NFP. Per raggiungere lo scopo bisogna diffondere la paura. E allora Mélenchon dev’essere dipinto come una sorta di mostro. Il potere mediatico “progressista” si è sbizzarrito, anche più dei gruppi dell’ultradestra.
Anche qui in Italia, per scongiurare che il “virus” di una sinistra della rottura e della trasformazione possa arrivare nel Belpaese. Così Mélenchon viene descritto come “impresentabile” (Libero, 11 luglio), “estremista” (Panebianco, Corriere della Sera, 11 luglio), “sovranista, euroscettico, filoputiniano, anche antisemita, a tratti” (Il Sole 24 Ore, 8 luglio), “tribuno scomodo” (Repubblica, 2 luglio), “putinista” (Merlo su La Repubblica, 10 luglio).
La France Insoumise fa paura per tre fondamentali ragioni: a) riconoscimento dello Stato palestinese; embargo militare contro Israele e denuncia del genocidio a Gaza; negoziati tra Ucraina e Russia; sostegno alle ribellioni dei popoli del Sahel; diminuzione delle spese militari: sono tutti obiettivi incompatibili con i diktat Nato cui l’ultradestra si sottomette invece senza problemi (basti guardare Meloni & Co.); b) abbassamento dell’età pensionabile a 60 anni; salario minimo di 1.600€ netti; tassazione del 90% sui redditi eccedenti i 400mila euro; imposta patrimoniale ecologica; tetto ai prezzi di alcuni generi di prima necessità: sono obiettivi incompatibili con l’austerità per le classi popolari imposta dal potere economico e politico; c) non si limita a propagandare queste posizioni, ma potrebbe concretamente applicarle, visto che ha la forza per poter governare la Francia.
Tra un governo del NFP a guida LFI e un governo del RN, in molti – a cominciare da Macron – avrebbero preferito il secondo. Come l’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard che, in merito al programma del NFP, scriveva: “può condurre solo alla catastrofe economica”.
E questo è l’altro punto di attacco dei liberisti di casa nostra. Mélenchon non sarebbe solo “antisemita” – accusa sputata senza mai portare un briciolo di prova di dichiarazioni o azioni di tale schifosa natura – ma la sua politica economica condurrebbe alla rovina.
Qui entra in gioco la dittatura del TINA (There Is No Alternative) di thatcheriana memoria. Non c’è alcuna alternativa all’esistente. È la naturalizzazione del capitalismo non come migliore dei mondi possibili, ma come unico possibile. Chissà perché il problema delle coperture si ponga solo quando si vogliono misure sociali, mai quando c’è da aumentare le spese militari o i regali e i sussidi al mondo delle imprese.
La forza di Mélenchon e de LFI sta nell’aver raccolto la sfida che da anni arriva dalle piazze del vicino d’Oltralpe. Lo stesso programma economico-sociale non è stato elaborato da qualche intellettuale al caldo di un caminetto, ma è piuttosto figlio delle istanze dei movimenti sociali francesi (dai Gilet Gialli all’enorme movimento contro la riforma delle pensioni di Macron, passando per le battaglie nelle banlieue e quelle ambientaliste di “Soulèvements de la Terre”). LFI in quelle piazze c’è stata, combattendo anche contro altre organizzazioni di “sinistra” che sostenevano l’agenda neoliberista di Mr. Macron.
La France Insoumise fa così paura che Macron sta sospendendo la democrazia. Anziché inginocchiarsi alla volontà popolare espressa attraverso il voto e conferire al NFP il mandato di formare un nuovo governo, rimane in attesa, nella speranza – cui nel frattempo lavora – che si formi un governo “tecnico” (ancora una volta il laboratorio Italia) che possa avallare la conventio ad excludendum nel confronti degli Insoumise.
È la dimostrazione che dinanzi alla sola eventualità di una transizione in senso socialista le classi dominanti europee sono pronte a sacrificare la democrazia formale. La stessa per cui dicono di battersi. Certo, fino a quando il popolo non “sbaglia” a votare.
Piuttosto che pensare alle forme da dare a una nuova accozzaglia per fermare l’ultradestra, l’urgenza è interrogarsi sui tratti di rottura e trasformazione che da anni permettono a LFI di ottenere enormi consensi. E sul fatto che oggi costruire questo tipo di opzione è la strada migliore per difendere la democrazia dai tentacoli degli stessi “liberali” di casa nostra.