Il decreto sulle liste d’attesa nella sanità va rivisto. A protestare contro la scelta del ministro della Salute Orazio Schillaci questa volta sono i presidenti di Regione leghisti, seguiti a ruota dai colleghi di altre aree politiche. Intravedendo una norma che va in direzione contraria rispetto all’autonomia differenziata, appena licenziata dal Parlamento, a criticare la scelta del governo sono Massimiliano Fedriga, Attilio Fontana e Luca Zaia. Una posizione – quella degli uomini alla guida di Friulia-Venezia Giulia, Lombardia e Veneto – che dà corpo alla tensione interna alla maggioranza. Al centro delle proteste c’è l’articolo 2 del testo che istituisce una specie di ispettorato interno al ministero, chiamato a inviare controlli nelle Regioni per verificare l’applicazione delle disposizioni taglia-coda con la possibilità anche di sanzionare i direttori generali delle Asl inadempienti, arrivando fino alla sostituzione.

Una norma che, secondo Zaia, “lede l’autonomia delle Regioni e mette in discussione tutto l’impianto del tema delle competenze”. Il presidente del Veneto si augura che “sia semplicemente una vista”. Anche perché, si fa notare, le attese per le urgenze sono azzerate, mentre le prestazioni differite si sono ridotte dell’83% e quelle programmate – da erogare entro 3 mesi – del 62%. “Proponiamo nuclei di controllo e valutazione all’interno delle singole Regioni – spiega Fedriga, che è anche presidente della Conferenza delle Regioni – e che poi il ministero controlli le Regioni sul raggiungimento degli obiettivi”. La richiesta, insomma, è quella di lasciare le verifiche sulle Asl in mano alle Regioni, evitando quello che viene vissuto come un “commissariamento”.

Se il decreto sulle liste di attesa verrà approvato così com’è, si apprende, quasi tutte le Regioni sarebbero pronte a presentare ricorso ritenendo che il decreto e l’art.2 in particolare ne leda le competenze. Le Regioni, viene fatto osservare dagli enti locali, finirebbero in una tenaglia: da un lato un intervento per risolvere eventuali problemi che rischierebbe di avviare lunghi contenziosi e dall’altro, la necessità di intervenire dopo le indicazioni dell’autorità centrale. La risolutezza degli enti regionali è palese: in sede di Conferenza delle Regioni, tranne il Lazio, hanno tutte votato contro il decreto così com’è. In altre parole, le Regioni concordano con il monitoraggio ma articolato in in modo che ci sia una condivisione. In questo senso c’è la volontà di lavorare insieme per arrivare a una soluzione.

In ambienti politici, insomma, è palpabile la preoccupazione che attraverso una legge ordinaria si possano esercitare competenze che sono invece regionali. Di fronte alle posizioni dei propri governatori, la Lega alla fine ha presentato un emendamento al decreto al Senato per chiedere lo stralcio dell’articolo. Ma Palazzo Chigi non ne vuole sapere – come fa notare La Stampa – e ha fatto arrivare a Schillaci, attraverso il sottosegretario Alfredo Mantovano, l’indicazione di dare parere contrario alla richiesta del Carroccio. Alla fine, la strada potrebbe essere quella della mediazione con il ritiro dell’emendamento da parte della Lega e la presentazione di una seconda richiesta di modifica, questa volta concordata. È lo stesso Fedriga a lasciare aperta una porta: “Condividiamo l’obiettivo di combattere le liste d’attesa: è una priorità delle Regioni e non solo del governo – afferma – Ci auguriamo che nella conversione del decreto si possa giungere a un’intesa”.

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