“La situazione adesso sta migliorando, ma abbiamo vissuto una crisi idrica terrificante, tra le più gravi degli ultimi 50 anni. Mediamente l’acqua arriva ogni 5-7 giorni, però ci sono delle zone dove supera anche i 20 giorni, perché non c’è il flusso continuo di acqua h24”. Sono le parole di Claudio Guarneri, direttore generale dell’Azienda Idrica Comuni Agrigentini (Aica) che fotografano la situazione surreale in cui versano alcune zone della Sicilia. Il forte caldo, l’assenza di piogge e le scelte della politica hanno reso sempre più arido il centro dell’isola, dove si convive da anni la siccità, nonostante i giacimenti d’acqua ci siano, tanto che persino il lago di Pergusa (Enna) ormai è quasi scomparso.

Gli interventi del prefetto – In questa emergenza senza fine, è stato decisivo l’intervento del prefetto Agrigento, Filippo Romano, che con due atti ha cercato di scongiurare il collasso. Per prima cosa (13 giugno) ha sospeso fino al prossimo 30 settembre le tre centrali idroelettriche di Enel: San Carlo (comune di Burgio), Favara e Poggiodiana (entrambe a Caltabellotta), in quanto “l’attuale grave siccità ha notevolmente ridotto la possibilità di attingimento dal bacino Gammauta” e che “gli agricoltori interessati alle suddette forniture paventano, da tempo, il concreto rischio di disseccamento delle colture irrigue”, viste le “esigenze dell’agricoltura siano da ritenere, nell’attuale contingenza, prevalenti rispetto a quelle della produzione di energia elettrica”. Pochi giorni fa invece (6 luglio), ha requisito le “reti in uso alla Voltano Spa”, società formata da alcuni comuni della provincia di Agrigento, che gestisce una parte della rete idrica, affidandola invece all’Aica, un’azienda consortile formata da tutti i comuni della provincia e che gestisce il servizio idrico integrato. Questo perché Voltano ha un debito nei confronti di Siciliacque, la società mista suddivisa tra Italgas (75%) e Regione Sicilia (25%), che ha in mano 13 acquedotti e 6 invasi artificiali nell’isola, e quindi possiede l’acqua e i giacimenti. Siciliacque ha deciso di interrompere l’erogazione a Voltano, che a sua volta ha bloccato il servizio, ma così facendo “ostacola – scrive il prefetto Romano nel suo atto – la distribuzione dell’acqua anche da parte degli operatori che svolgono il servizio di rifornimento con autobotti”.

Decreti ingiuntivi e crisi idrica – Ma come siamo arrivati a questo punto? Secondo l’amministratore unico di Voltano, Giancarlo Rosano, non avrebbe inciso la “morosità nei riguardi di Siciliacque” che ha un esposizione “debitoria già in parte sanata e con un residuo di poco meno di 100.000 euro oggetto di un piano di rientro”. Eppure la rete è finita sotto la gestione di Aica, che a sua volta deve 18 milioni di euro a Siciliacque, che ha già presentato un decreto ingiuntivo. “Abbiamo un decreto ingiuntivo dovuto ad alcuni comuni che hanno degli arretrati da pagare, e delle difficoltà per la riscossione dai cittadini”, spiega Guarneri. E qui c’è tutto il paradosso agrigentino. “Non abbiamo una fornitura idrica h24 come in tutta Italia, e non abbiamo la tecnologia e i contatori per tutti i cittadini, quindi non siamo nelle condizioni di diminuire il flusso al minimo per chi non paga, e non potendo interrompere la fornitura, perché andremmo incontro all’interruzione di pubblico servizio, diamo acqua anche a cittadini morosi e non paganti”, aggiunge Guarneri. “Abbiamo impugnato il decreto perché contestiamo la somma, in più riteniamo che Siciliacque non può rivenderci a costi esorbitanti la stessa acqua che prende dal nostro stesso territorio – aggiunge Guarneri -, adesso grazie al recupero di alcuni pozzi, arriveremo a risparmiare 4-5 milioni di euro annui, e potremo avere l’acqua a costi minori, rispetto ai 0,69 centesimi a metro cubo pagati a Siciliacque”.

Risse, autobotti e bar chiusi – Aica ha iniziato a perseguire i cittadini morosi, ai quali saranno inviati i decreti ingiuntivi. Nel frattempo è in cantiere un progetto per la mappatura con i contatori di tutte le utenze. Per far fronte all’ennesima crisi idrica, nell’isola si è tornato a parlare del ripristino dei tre dissalatori di Gela, Porto Empedocle e Trapani, diventate negli anni le ennesime cattedrali nel deserto. La regione punta ad investire 90 milioni di euro per rilanciare il servizio, aggiungendo che per il “piano da 20 milioni di euro” stanziato “per l’emergenza idrica in Sicilia, circa il 50% delle opere previste è stato portato a termine o è già in corso di ultimazione”. Eppure, nell’agrigentino si sono vissuti momenti di grande tensione. Cittadini inferociti per l’assenza dell’acqua in casa, bar e ristoranti chiusi, b&b che hanno dovuto scusarsi con i turisti. Sono andati in escandescenza anche i proprietari delle autobotti private. Un autista è stato picchiato da alcuni colleghi mentre cercava di rifornirsi in uno dei diversi punti di prelievo dell’acqua indicato dall’Aica. Diverse le sanzioni emesse a chi forniva acqua senza autorizzazioni e senza analisi, o per averla prelevata illegalmente da torrenti o pozzi privati. “Nella disperazione il cittadino vuole l’acqua e si rivolge a chiunque, anche a proprietari di autobotti non convenzionati con noi, sulla quale c’è la dubbia provenienza dell’acqua, senza analisi. Il paradosso che Voltano in alcune zone fornisce l’acqua a flusso continuo (h24) e dieci metri più avanti altri utenti devono attendere una settimana per prendere l’acqua”, spiega Guarneri.

Stop alle centrali Enel – Altra situazione paradossale riguarda il territorio nord-ovest della provincia agrigentina. In questa zona scorre il fiume Sosio-Verdura, che attraversa diversi comuni prima di sfociare nel Mediterraneo. Però lungo il suo passaggio, l’acqua finisce nelle centrali idroelettriche dell’Enel, prima a San Carlo, nel comune di Burgio, poi in quelle di Favara e Poggiodiana, entrambi a Caltabellotta. Da oltre sei mesi, il comitato “Insieme per l’acqua” lamenta che il fiume per confluire nella centrale “San Carlo”, non defluisce invece nella diga Castello, tramite la bretella “Gammauta” costata 20 milioni di vecchie lire, che servirebbe da invaso per gli agricoltori, soprattutto per l’arancia rossa doc di Ribera, e per la cittadinanza. “Siamo riusciti purtroppo in ritardo a far bloccare la produzione idroelettrica dell’Enel, grazie all’intervento del prefetto Romano, una cosa mai vista in cinquant’anni, considerato che l’Enel ha in esercizio tre centrali idroelettriche lungo il fiume Verdura, per via di concessioni amministrative rilasciate negli anni ’50”, spiega Francesco Micalizzi, componente del comitato Insieme per l’acqua. Una situazione emergenziale, che ha portato numerose aziende sul lastrico. “Qui è già collassata un’economia. Abbaiamo come cani disperati da mesi, nella più totale sordità di tutta la classe politica di governo, il presidente Schifani e l’assessore Di Mauro non hanno mai risposto a tutte le nostre pec. La produzione dell’Enel ha impedito o ha rappresentato l’alibi per il mancato trasferimento dell’acqua alla diga Castello per caduta naturale”, aggiunge Micalizzi.

Collaborazione di Enel – L’azienda dell’energia, contattata da ilfattoquotidiano.it, fa sapere che ha dato seguito alle disposizioni prefettizie, nel pieno rispetto del proprio ruolo di azienda attenta alle esigenze delle comunità e dei territori in cui opera. Inoltre aggiunge che collabora attivamente e in piena sintonia con l’autorità di Bacino, la Regione siciliana e il commissario regionale per l’emergenza idrica, e che avrebbe garantito sin dal 18 marzo 2024 i trasferimenti delle acque dalla diga di Gammauta verso l’invaso Castello, in piena collaborazione con le autorità competenti. Dopo il provvedimento prefettizio, Enel spiega che la centrale di San Carlo sul fiume Sosio Verdura, oltre che le centrali di Favara e Poggiodiana, sono ferme per consentire i necessari trasferimenti delle risorse idriche.

“Gli agrigentini accettano tutto” – “L’acqua si è persa in mare, perché l’Enel ha operato indisturbatamente facendola scendere da San Carlo a Poggiodiana, anziché una parte indirizzarla nella diga Castello per uso civile e agricolo – spiega Micalizzi -, a Ribera gli agrumeti sono in sofferenza, non avendo ricevuto ancora neppure la prima irrigazione, mentre in questo stesso periodo dovremmo essere già alla terza”. “Questa parte della Sicilia è ricca di acque, e se si fosse attivato l’adduttore Gammauta, sottraendo al Mediterraneo anche solo il 10% delle acque fluviali, oggi non avremmo vissuto questo disastro”, dice Micalizzi. Purtroppo sembra esserci anche tanta rassegnazione, nella terra che ha dato i natali agli illustri scrittori Pirandello, Sciaccia e Tomasi di Lampedusa. “L’agrigentino è propenso a restare in silenzio e accettare tutto. Qui si certifica la morte di un territorio e si continua a rimanere in rigoroso silenzio. Cambiare tutto per non cambiare niente, e in Sicilia nulla è più duraturo e permanente del precario e provvisorio. In questo modo la classe politica si garantisce di governare come viceré, e alla popolazione di vivere da sottosviluppati”.

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