Alex Marangon, il 25enne veneziano morto durante un ritiro sciamanico all’abbazia di Vidor in provincia di Treviso, i cui funerali si sono celebrati ieri, non ha assunto ayahuasca. Almeno secondo quanto raccontato dai due “curanderos” colombiani, Jhonni Benavides e Sebastian Castillos, che hanno partecipato al raduno, per tramite del loro avvocato, lo spagnolo Òscar Palet Santandreu.
Secondo quanto riportato dal legale, come scrive il Corriere della Sera, “i due curanderos il 30 giugno avevano altri impegni e sono andati via” senza sapere che Marangon fosse morto. In ogni caso “quella sera non è stata usata ayahuasca ma delle purghe, ovvero erbe non psichedeliche che inducono il vomito, per la purificazione di ciò che si ha dentro”. Purghe, specifica l’avvocato che “non sono per tutti”. A confermare se sia stata usata o meno la sostanza allucinogena, però, ci penseranno i test tossicologici che potrebbero raccontare una verità diversa rispetto a quella raccontata finora
I due che oggi sono “per prudenza in un luogo in cui si sentono protetti”, hanno parlato anche di Marangon, il cui corpo è stato trovato senza vita lungo il fiume Piave con diversi segni compatibili con un pestaggio, come costole rotte, ferita alla testa, un occhio nero, dicendo che durante la cerimonia era “nervoso e agitato” e che all’improvviso “è andato fuori dalla cappella vicino al braciere. Siamo tornati dentro ma, una volta fuori Alex è scappato nel bosco di corsa. Dopo poco tutti hanno sentito un tonfo e un grido secco”. Insomma per i due curandeos è stato un incidente. E nulla di più”.
Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, però, nel punto in cui i testimoni raccontano di aver visto Alex buttarsi, i vigili del fuoco, dopo un ulteriore sopralluogo, dicono di non aver trovato segni di caduta. La folta vegetazione che si trova 15 metri sotto al terrazzo e che copre un terrapieno che scivola ripidamente verso il Piave appare intatta: nessun ramo rotto, nessun segno del passaggio di un corpo. Una constatazione che sembra smentire le dichiarazioni dei testimoni.
Intanto la famiglia del giovane continua a chiedere verità. “I suoi assistiti, i due curanderos, sono in luogo sicuro, ma al sicuro da cosa, esattamente? L’autopsia è interpretazione di chi la fa? Sono stupito, è come dire che la matematica è un’opinione. Sono dispiaciuti e mandano le condoglianze? Provassero ad aiutare la Procura a risolvere il caso invece di nascondersi. Sono andati via perché avevano impegni o perché nessuno gli ha detto di restare?”, dice all’Ansa l’avvocato della famiglia, Stefano Tigani. In particolare Tigani si rivolge al collega spagnolo. Di fatto quello di Tigani è un invito ai due ‘curanderos’ ad uscire allo scoperto per spiegare ciò che sanno.