Viviamo nell’era più tecnologica della storia dell’umanità ma anche una tra le meno dinamiche intellettualmente, possibile che man mano che le macchine diventano più intelligenti noi diventiamo più stupidi? Questa settimana sono andata ad una conferenza/cena di gala in un club privato londinese, la conferenziera (non faccio nomi) aveva un curriculum stellare con tanto di incarichi presso think tank a Washington DC, presentava la sua tesi sulla fine della globalizzazione, tesi enunciata in un libro che ha appena pubblicato. In sala c’erano avvocati, professori, economisti e così via, tutti membri dell’establishment britannico, confesso che le aspettative erano alte. Ma i risultati sono stati bassissimi.

Il discorso era pieno di banalità disarmanti, dopo aver spiegato il fenomeno della globalizzazione usando come esempio i prezzi della frutta nei supermercati del Regno di sua Maestà, la speaker è passata ad elogiare l’attuale politica anticinese dell’Occidente per concludere che tra qualche anno, quando rilanceremo la globalizzazione, lo faremo meglio perché incorporeremo al suo interno l’agenda verde.

L’evento mi ha fatto riflettere. In primis nessuno si è alzato ed ha lasciato la sala, per non offendere la speaker, l’istituzione che l’ha ingaggiata o semplicemente perché ancora non avevano servito il dolce? Neppure io, per timore di offendere la speaker l’ho fatto, e il motivo è che anche io sono vittima del politically correct; negli anni Ottanta, ai tempi della Thatcher, la sala si sarebbe svuotata. In secondo luogo, una decina di persone si sono sforzate di porre domande intelligenti che però hanno ricevuto risposte incongruenti; infine, uscendo dalla sala e origliando qualche commento negativo, mi sono resa conto che la conclusione del discorso aveva risvegliato una sorta di orgoglio occidentale, e cioè che la globalizzazione è un nostro prodotto e che al prossimo giro saremo noi e non io cinesi a guidarla, perché siamo noi i bravi, i buoni e gli intelligenti.

L’era della stupidità è caratterizzata dal senso di superiorità degli occidentali nei confronti del mondo, immagino che nella china discendente dell’Impero Romano circolavano gli stessi sentimenti e che gli inglesi prima di perdere l’impero Raj la pensassero nello stesso modo. La decadenza degli imperi produce sempre conati di superiorità ingiustificata.

Ma oggi, a differenza del passato, esistono elementi nuovi che influenzano il futuro e che potrebbero prolungare l’illusione di superiorità impedendoci di prendere coscienza dell’intontimento intellettuale legato alla decadenza dell’impero occidentale. Uno è l’algoritmo e l’altro è il politically correct. Ormai sono i primi a guidarci, dalla scelta del partner perfetto (alla mia età molti amici ed amiche single hanno messo la loro vita sentimentale nelle mani dell’algo ed i risultati, a sentir loro, sono fantastici), fino alle scelte dei consumatori ed alle previsioni politiche. Insomma, l’algoritmo è allo stesso tempo la bacchetta magica delle fatine e la sfera di cristallo delle chiromanti.

Ma è davvero così?

Sul piano della coppia vige la legge dei grandi numeri, l’algoritmo pesca in uno stagno ricchissimo e con un po’ di pazienza a tanto lavoro prima o poi il pesce esce. Sul piano del consumo l’algoritmo non solo è sensibile alle mode del momento, ma si adegua in tempo reale, ed anche qui tanto di cappello. Ma sul piano politico e sociale le cose non vanno così bene. Le proiezioni e previsioni spesso fanno cilecca, ad esempio l’elezione di Trump nel 2016, la Brexit, la recente sconfitta di Le Pen in Francia. Il motivo? La gente mente, ma la verità è che la gente ha sempre mentito solo che in passato questo elemento veniva mitigato dai sociologi, esistevano parametri creati dagli esseri umani che cercavano di quantificare l’errore. Oggi la fede cieca nell’algoritmo li ha messi da parte.

L’algoritmo è un prodotto occidentale, il mondo tecnologico in cui viviamo è giustamente considerato una conquista occidentale. Ma forse è anche un cavallo di Troia. L’algo necessariamente semplifica tutto, concettualmente non è in grado di cogliere le sfumature della società, e soprattutto non è strutturato per gestirne le contraddizioni. Se riflettiamo sull’andamento della politica e della cultura occidentale negli ultimi 30 anni, ci rendiamo conto che ci siamo mossi verso una rappresentazione della società dove vige la polarizzazione di pensiero tipica degli imperi in decadenza – non si fa mai autocritica, ci si autocelebra ma soprattutto non si canta mai fuori dal coro – e lo abbiamo fatto con una velocità storica impressionante, proprio grazie all’algoritmo.

La verità è che questa rappresentazione del reale con corrisponde alla verità perché oggi la gente mente molto di più che in passato perché condizionata dal ‘politically correct’. Anche se si nega l’evidenza, i fatti sono quelli che sono. Prendiamo il caso del presidente Biden, come è possibile che l’uomo più potente al mondo manifesti carenze cognitive serissime? Sono anni che questo succede ma solo ora se ne parla. Se Richard Nixon o John Kennedy avessero avuto comportamenti analoghi, il partito li avrebbe fermati al primo anno di governo e lo avrebbe fatto per un semplice motivo, la nazione non lo avrebbe tollerato. Oggi invece si tollera che tra vecchiaia e jet-lag il presidente ogni tanto perda lucidità. Anche chi chiede che rinunci alla rielezione lo fa in punta di piedi, elogiando i quattro anni della sua presidenza.

Nessuno si azzarda a criticare le decisioni prese durante questo periodo e ad attribuirle alle condizioni di salute di Biden, che dire dell’abbandono dell’Afghanistan ai Talebani; del conflitto in Ucraina che doveva essere lampo e che invece si trascina; dell’inutilità delle sanzioni contro la Russia; del supporto a Netanyahu, dopo il 7 ottobre, Biden è andato di persona a Tel Aviv per ribadirlo, evento unico nella storia americana; ed ancora, l’amministrazione Biden ha celebrato Sam Bankman-Fried, fino al suo arresto il più grosso donatore del Partito democratico (ha personalmente regalato a Biden 5 milioni di dollari), oggi riconosciuto come super-frodatore di criptovalute.

Nell’era della stupidità si dimentica che in nazioni come gli Stati Uniti, il presidente e la sua amministrazione hanno poteri pressoché assoluti, ad ogni cambio di guardia gli uffici dei vertici dell’amministrazione si svuotano per riempirsi di gente nuova, scelta dal presidente. Non solo il presidente deve essere lucidissimo e in perfetta forma, deve anche esserlo, possibilmente, più di chiunque altro.

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