Domenica sera, ho pianto. Io la scienziata politica che avrebbe dato poche ore dopo un’analisi argomentata e razionale della situazione. Ho pianto quando alle 20h della scorsa domenica 7 luglio, sono apparsi i risultati del secondo turno: Nuovo Fronte Popolare arrivato primo e estrema destra al terzo posto, dietro ai macroniani.
Le lacrime sono zampillate come uno singhiozzo di commozione. In un secondo si sono scontrate questa speranza folle di farcela alla quale non credevo più, la tensione accumulata negli ultimi giorni di non fare mai abbastanza e l’allontanarsi della paura – che mi aveva preso la pancia – di vedere il mio paese sprofondare sotto un governo razzista, machista, autoritario e reazionario. E ho pensato a quelli che hanno lottato in Italia, in Argentina e anche in Brasile. Ho pensato alla speranza che avevano messo in noi.
Ce l’abbiamo fatta! In tre settimane la sinistra è riuscita a mettere fine a una lunga divisione interna per presentare candidature e programmi unificati, fare campagna in condizioni così inedite e precarie, e mobilitare, mobilitare, mobilitare per conquistare credibilità.
Nessuno delle decine di sondaggi pubblicati in quelle tre settimane annunciava questa possibilità. A tal punto che anche noi, partigiani più fedeli della sinistra, non ci credevamo quasi più. “Considerando i risultati del primo turno, il Nuovo Fronte popolare non è in grado di vincere l’elezione del 7 luglio”, affermava il comunicato del partito macroniano Renaissance, la sera del primo turno il 30 giugno. Assieme a loro, tutta la stampa ribadiva che l’estrema destra avrebbe vinto, come un mantra inesorabile.
Stavolta non voglio parlare di politica fredda, di correlazione di forze, di programmi, di strategie. Vi voglio parlare di tutti coloro che hanno permesso questa vittoria. Sappiamo che sarebbe stata ancora più difficile senza la desistenza dei macroniani per fare fronte comune contra l’estrema destra. Ma nonostante questo, la vittoria l’abbiamo conquistata!
Vi voglio parlare della centinaia di convogli organizzati in tutta Francia per portare militanti residenti in zone in cui la sinistra era sicura di vincere verso zone in cui l’estrema destra era forte. Una cassa comune lanciata online ha raccolto più di 40.000 euro per pagare biglietti di treno e litri di benzina. Circa duemila persone hanno partecipato a questi convogli. Una organizzazione inedita, portata avanti da militanti della società civile, tra le quali molte femministe.
Tanti che hanno partecipato non avevano mai fatto parte di nessuna organizzazione politica, non avevano mai volantinato, mai difeso un programma. Si sono coinvolti perché quello era un momento storico.
Io ho fatto parte di uno di questi convogli e ve ne voglio parlare. Partita da Parigi con una decina di persone, ho passato due giorni a Limoges per contribuire alla vittoria di una giovane deputata. Un volantinaggio davanti al supermercato, un’azione in un quartiere periferico per suonare ad ogni porta e parlare con chi ci apriva, poi di nuovo volantinaggio in un altro quartiere residenziale da conquistare. Parlare con chiunque: “Avete previsto di votare il 7 luglio?”, “Come si vede lei in una Francia governata dal Rassemblement national?”. Distribuire volantini, iniziare una discussione, provare a capire quali erano le preoccupazioni di quelle persone, trovare gli argomenti, lasciare parlare l’istinto.
Non è semplice far cambiare idea a qualcuno. Spesso non basta solo una discussione. Ma a volte succede. Vi racconto di questo signore che ci apre la porta un pomeriggio dicendo che lui non votava più da anni, che i politici sono tutti uguali e che non credeva che le cose sarebbero cambiate così tanto con il RN al governo. Sembrava una di quelli frasi fatte che si ripetono con così tanta frequenza, che non ci si ferma più per capirne il senso. Per alcuni secondi mi ha zittita. Mi sono detto che non serviva insistere perché era già convinto. Poi ho provato: “Ma lei cosa pensa che farebbe l’estrema destra se vincesse le elezioni?”. Senza crederci si è aperta una porta. E questo stesso signore si è messo a parlare del razzismo contro i migranti, di Gaza, della precarietà sociale. E mi ha guardata negli occhi dicendo: andrò a votare domenica, e sarà grazie a lei.
Le ore di camminate, il dolore nei piedi, nella schiena sotto il peso dello zaino pieno di volantini caricato dalla mattina, tutto questo era scomparso sotto l’effetto di questa piccola frase. Un “sì” conquistato in più! Poi, un altro, e ancora un altro. Piccole luci accese qui e là, che sono diventante un bellissimo fuoco d’artificio. La forza del parlarci, di rompere le muraglie.
Poi vi voglio parlare di una giovane donna incontrata sulle scale di un palazzone di periferia. Avrà avuto 25 anni, stava badando ai suoi due bimbi piccoli. Portava il velo. Insieme a lei, cinque altre donne sedute come lei, di tutte le generazioni. Abbiamo parlato a lungo. Lei mi ha detto: “Io non ci credo a quello che fanno con noi. Io sono nata qui. Ho il velo, e allora? Vedi qui, siamo tutte di origine diverse: Marocco, Siria, Macedonia. E andiamo tutte d’accordo”. E mi racconta che da quando hanno annunciato le elezioni, non faceva che parlarne con amici, parenti, per farli andare a votare. Per la paura di vedere l’estrema destra governare.
Sappiamo che l’estrema destra è ancora qui, forte e in espansione. Sappiamo che sarà difficilissimo applicare integralmente il programma del Nuovo Fronte popolare nel governo che si sta disegnando. Ma al di là di tutto questo, non dimentichiamo quanto questa vittoria elettorale è gigante. Per quello che rappresenta nel mondo: per la possibilità di continuare a credere alla speranza, per la fiducia che possiamo continuare a tessere tra le migliaia di persone anonime che hanno reso possibile questa vittoria.