A che gioco sta giocando il governo nella partita albanese sui migranti? La domanda è d’obbligo perché, dopo una serie di rinvii, l’esecutivo si dice pronto all’operatività dal 10 di agosto, proprio quando la pubblica amministrazione sarà alle prese con le ferie, tribunali compresi. Del resto a giugno, in campagna elettorale per le europee, la premier Giorgia Meloni ne aveva fatto una questione di orgoglio, garantendo sulla partenza già dal primo agosto. Così, complici le ferie e nonostante la delicatezza di un’operazione ancora piena di incognite sul piano giuridico, a decidere del trattenimento dei richiedenti saranno anche giudici privi delle competenze previste dalla legge. E a valutare le domande d’asilo sarà uno sparuto numero di funzionari, appena assunti e senza formazione specifica. Scelta che, paventano da mesi gli stessi funzionari del ministero dell’Interno, “mette a repentaglio il processo decisionale e il diritto d’asilo”.

Il numero degli sbarchi sulle coste italiane è in calo: gli arrivi di maggio e giugno sono un terzo di quelli registrati negli stessi mesi del 2023, la metà rispetto al 2022. Nei primi dieci giorni di luglio il Viminale riporta 2.361 sbarchi per il 2024 e 6.161 per l’anno scorso. Quelle destinate al centro albanese di Gjader, quasi pronto a venti km dall’hotspot già allestito nel porto di Shenjin, saranno “esclusivamente persone imbarcate su mezzi delle autorità italiane all’esterno del mare territoriale della Repubblica o di altri Stati membri dell’Unione europea, anche a seguito di operazioni di soccorso”, precisa la legge di ratifica del Protocollo Italia-Albania. Senza peraltro chiarire il destino di minori, donne e persone vulnerabili, né superare difficoltà e rischi connessi alle operazioni di screening dei migranti, presumibilmente condotte direttamente in alto mare, a bordo delle navi. Quanti migranti verranno portati in Albania ad agosto? Difficile a dirsi. Ma l’operazione costa almeno 700 milioni di euro e i centri vanno riempiti. L’hotspot ha una capienza di 200 persone che, di volta in volta e dopo le operazioni di identificazione, saranno trasferite a Gjader, il centro di permanenza che inizialmente non potrà ospitarne più di mille.

La possibilità che a ferragosto la competente Questura di Roma debba produrre centinaia di decreti di trattenimento è reale. Questi vanno poi inoltrati all’autorità giudiziaria entro 48 ore e altrettante ne ha il giudice per convalidare o meno il trattenimento. Nel caso dei richiedenti asilo da trattenere in Albania la questione è ancor più delicata. Le stesse “procedure accelerate in frontiera” alle quali si vogliono sottoporre i richiedenti dei centri albanesi sono già state tentate l’anno scorso nell’hotspot di Pozzallo, in Sicilia, in base al cosiddetto decreto “Cutro” emesso del governo. I giudici della sezione specializzata di Catania hanno però ritenuto il decreto incompatibile con la normativa europea. Tenuti a disapplicarlo, hanno respinto le richieste di convalida e liberato i richiedenti. Ordinanze che il governo ha duramente attaccato e impugnato di fronte alla Cassazione che, a sua volta, ha rinviato alla Corte di giustizia Ue perché dirima la questione. Nell’attesa che si pronunci, per evitare che finisca così anche in Albania, il governo ha modificato il suo stesso decreto. Una correzione che tuttavia, secondo molti giuristi, non sana l’incompatibilità con le direttive europee e potrebbe non convincere i giudici chiamati a valutare i trattenimenti nei centri albanesi. Tanto che qualcuno, fuori e dentro i tribunali, sospetta che il governo non aspetti altro per poter scaricare sui magistrati il fallimento di un’operazione complicata e costosa.

E’ sotto questa stella, o spada di Damocle, che a metà agosto i giudici del Tribunale di Roma dovranno esprimersi sui primi trattenimenti in Albania. Trattandosi di privazione della libertà ai danni di richiedenti asilo, la legge stabilisce che la competenza esclusiva delle convalide spetti alle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea. La norma che le istituisce (dl 13/2017) vuole siano composte da giudici scelti “tra i magistrati dotati di specifiche competenze”, preferendo chi ha esperienza in materia, conosce l’inglese o il francese e prevedendo obbligatori corsi di aggiornamento. Insomma, un ruolo che non ammette improvvisazioni. Ma in Italia agosto è sinonimo di ferie e il Viminale ha preteso rassicurazioni nel caso di numeri ingenti. Per garantire lo svolgimento delle udienze di convalida nei tempi prescritti, il Tribunale di Roma ha stabilito, se necessario, di assegnarle anche a giudici esterni alla sezione specializza. E infatti nelle ultime settimane si sta facendo il possibile per cercare di formarli. “Non basterà”, spiega al Fatto un addetto ai lavori. “E’ solo il tentativo di non farli arrivare completamente digiuni“. A farne le spese può essere il diritto d’asilo: “Un giudice che non appartiene alla sezione specializzata potrebbe avere difficoltà a individuare le violazioni sperimentate dagli stranieri e dai loro difensori nella pratica, anche nell’accesso al diritto alla difesa”, avverte l’avvocata Giulia Crescini dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi).

Ad avere il fiato del Viminale sul collo sono da tempo anche le commissioni territoriali che esaminano le richieste di protezione internazionale, al punto che i funzionari, sotto organico e oberati di arretrati, hanno scioperato a più riprese nell’ultimo anno. Convalidato il trattenimento, per i richiedenti in Albania avrà inizio l’esame delle domande, che per le procedure “in frontiera” va completato entro 7 giorni. La competenza è della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma, già dotata di due nuove sezioni per una decina di funzionari ai quali se ne aggiungeranno altri sette a metà luglio, sul totale dei 45 previsti per far fronte all’accordo Italia-Albania. E non si tratta nemmeno di funzionari esperti, quelli entrati con il concorso del 2017, selezionati per titoli attraverso prove specifiche. “Abbiamo sostenuto un esame su diritto pubblico, internazionale pubblico, dell’Ue e legislazione nazionale ed europea nell’ambito della protezione internazionale“, spiega una di loro al Fatto. “E poi storia contemporanea, in particolare dei paesi extraeuropei, geografia politica ed economica, in particolare del continente africano e asiatico. Successivamente c’è stato un corso in inglese dell’Agenzia Ue per l’asilo (Euaa) su tecniche di intervista, valutazione delle prove, assessment, soggetti vulnerabili, minori, casi di esclusione, vittime di tratta”.

Percorso che per gli ultimi arrivati non c’è stato: sono stati assunti scorrendo le graduatorie dei concorsi aperti del Mef e dell’Inail, l’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. I primi sono arrivati a maggio, “totalmente digiuni e quindi affidati all’esperienza dei colleghi per l’affiancamento, oltre a un corso online”, riferisce Adelaide Benvenuto, coordinatrice Fp Cgil ministero dell’Interno. Quanto ai sette in arrivo, “andranno formati da zero, ci vorrà tempo”. Li aspettano le audizioni dei richiedenti in video-collegamento, che vanno preparate caso per caso, con lo studio necessario e possono durare diverse ore, anche a causa di limiti linguistici ma non solo. E poi la scrittura dei decreti che motivano l’accoglimento o il diniego della domanda, il loro inserimento nel sistema, le fasi di valutazione collegiali, l’eventuale contenzioso e, non ultimo, la pressione emotiva. A proposito di pressioni, i nuovi funzionari sono stati sistemati all’interno della sede del ministero. “Le disposizioni del Viminale parlano di 2 o 3 audizioni al giorno, ma è già troppo perfino per chi ha esperienza, anche perché deve sopperire alle carenze nell’organico del personale di supporto e segreteria”, spiega Benvenuto, che infatti non si stupisce se alcuni “già meditano di tornare al precedente impiego”. Il rischio che la macchina si inceppi esiste. Anzi, ce n’è più d’uno.

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