Giustizia & Impunità

Omicidio Piersanti Mattarella, lettera anonima alla famiglia con il nome del presunto killer

Un foglio formato A4 con sette righe scritte al computer in cui un anonimo, come apprende l’Adnkronos, scrive il nome del presunto killer dell’ex presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella, ucciso il 6 gennaio 1980, sotto la sua abitazione a Palermo. I figli dell’ex presidente della Regione hanno consegnato la lettera agli investigatori, in attesa di sviluppi. Sarà adesso la Procura di Palermo, guidata da Maurizio de Lucia, a tentare di fare luce su questo anonimo.

A distanza di 44 anni non si conoscono ancora i nomi dei killer che uccisero Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Si conoscono solo i nomi dei mandanti. “Cappuccio in testa, occhi color ghiaccio, passo ondeggiante, ballonzolante. Questa la descrizione del killer di Piersanti. C’è un ragazzo militante nero, ai tempi chiamato (…) per i suoi occhi di ghiaccio negli ambienti di destra. Si chiama (…) e corrisponde alla descrizione testuale e alle immagini. Assomiglia molto all’identikit. Dopo l’omicidio si trasferisce in (… )”. Sono state volutamente omessi, da chi scrive, il nome indicato, il soprannome e anche il luogo citato dall’anonimo per consentire agli inquirenti di potere svolgere il proprio lavoro serenamente.

L’inchiesta a Palermo – Nel 2018 la procura di Palermo ha riaperto l’inchiesta sull’omicidio del fratello del Presidente della Repubblica. Nuovi accertamenti attraverso complesse comparazioni fra reperti balistici. Uno dei reperti del processo celebrato a Palermo, la targa di un’auto del commando, sarebbe stata divisa in due dagli autori del furto e una parte fu poi ritrovata in un covo proprio dell’organizzazione terroristica neofascista dei Nar. Oggi l’inchiesta, ancora a un punto fermo, è coordinata dal Procuratore Maurizio de Lucia e dall’aggiunta Marzia Sabella. Anche a Bologna è o era aperta aperta un’inchiesta.

La vicenda giudiziaria sull’omicidio Mattarella è stata lunga e complessa. E non definitiva. Come mandanti sono stati condannati all’ergastolo i boss della commissione di Cosa nostra, da Totò Riina a Michele Greco, con gli altri esponenti della cupola, da Bernardo Provenzano a Bernardo Brusca, Pippo Calò, Francesco Madonia e Antonino Geraci. L’inchiesta, però, non è riuscita a identificare né i sicari né i presunti mandanti esterni, che il giudice Giovanni Falcone pensava di aver individuato in Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, poi entrambi assolti per il caso ma entrambi condannati (il primo in via definitiva) per la strage di Bologna.

La strage di Bologna – Nelle motivazioni della sentenza per la strage di Bologna – relativa ai mandanti – la corte affronta un capitolo in cui viene inserito il verbale di audizione di Falcone della seduta del 3 novembre 1988 della Commissione Parlamentare Antimafia: “Il problema di maggiore complessità per quanto riguarda l’omicidio Mattarella deriva dall’esistenza di indizi a carico anche di esponenti della destra eversiva quali Valerio Fioravanti. Posso dirla con estrema chiarezza perché risulta anche da dichiarazioni dibattimentali tali da parte di Cristiano Fioravanti che ha accusato il fratello, di avergli detto di essere stato lui stesso, insieme con Gilberto Cavallini, l’esecutore materiale dell’omicidio di Piersanti Mattarella. È quindi un’indagine estremamente complessa perché si tratta di capire se e in quale misura ‘la pista nera’ sia alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa. Il che potrebbe significare saldature e soprattutto la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani. Ci sono stati grossi problemi di prudenza in relazione a procedimenti in corso presso altre giurisdizioni, quale ad esempio il processo per la strage di Bologna in citi per parecchi punti la materia è coincidente. Ci sono collegamenti e coincidenze anche con il processo per la strage del treno Napoli- Firenze-Bologna che è attualmente al dibattimento, collegamenti che risalgono a certi passaggi del ‘golpe Borghese‘, di cui possiamo parlare perché se ne è già parlato nel dibattimento, in cui sicuramente era coinvolta la mafia siciliana. Ciò risulta dalle dichiarazioni convergenti, anche se inconsapevoli, di Buscetta, di Liggio di Calderone. Ci sono inoltre collegamenti con la presenza di Sindona, sono tutti fatti noti. Questi elementi comportano per l’omicidio Mattarella, se non si vorrà gestire burocraticamente questo processo, la necessità di una indagine molto approfondita che peraltro stiamo svolgendo e che prevediamo non si possa esaurire in tempi brevi”. La corte ricorda che “quella sull’omicidio Mattarella fu l’ultima indagine di rilievo condotta da Giovanni Falcone. Poco dopo fu delegittimato. Poi venne ucciso. Le sue tesi si persero.

L’identikit – Nella lettera anonima viene inviata anche l’identitikt che era stato realizzato e che è agli atti dell’indagine della Procura. Un fotofit, in bianco e nero, uno con gli occhiali e uno senza. “Anni 22-24 anni circa, statura m. 1,65, capelli castano chiari, bocca e naso regolari”. Una ricostruzione fotografica del viso dell’uomo che avrebbe ucciso Piersanti Mattarella. La pista dei giovani estremisti assoldati dalla mafia siciliana attraverso la Banda della Magliana era stata avvistata presto da Giovanni Falcone, che indagò Valerio ‘Giusva’ Fioravanti per omicidio. Era stata confermata dalla moglie di Piersanti, Irma Chiazzese, che riconobbe in Fioravanti l’uomo “dagli occhi di ghiaccio” che si era avvicinato al finestrino della Fiat 132 guidata da Piersanti e lo aveva freddato. Una tesi che era stata ribadita dal pluriomicida di destra Angelo Izzo, mostro del Circeo. Ma il vero rivelatore degli esecutori fascisti e primo accusatore del fratello Giusva fu Cristiano Fioravanti. A diversi pm, di Rovigo, Bologna, Firenze, Roma e Palermo, e in diversi interrogatori disse: “Mio fratello ha commesso un omicidio politico a Palermo, in presenza della moglie del politico, tra gennaio e marzo 1980”. Dettaglierà: “Mio fratello e Gilberto Cavallini hanno fatto quell’omicidio per ottenere favori per l’evasione di Concutelli dal carcere dell’Ucciardone”. Infine, liberandosi: “È stato Valerio a dirmi che avevano ucciso un politico siciliano…”. Salvo poi fare non confermarlo nelle successive fasi processuali.