di Fabio Valentini, Mountain Wilderness Italia
“Bisogna combattere lo spopolamento della montagna!”, è una delle frasi più ricorrenti di politici ed amministratori locali.
Nel 1700 i montanari dell’Appennino centro-settentrionale risultavano meno poveri dei contadini e dei braccianti di pianura, anche grazie a forme di tutela e di protezione delle risorse a livello locale rappresentate dall’istituzione dei beni comuni. Le radici storiche della crisi delle aree interne affondano nel secondo Ottocento, quando inizia lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali per fronteggiare l’aumento demografico ampliando le coltivazioni e tagliando alberi, con la conseguenza di effetti devastanti sull’assetto idrogeologico dell’ambiente montano. Il veloce progresso economico della pianura ha quindi spinto i montanari a migrare verso i centri urbani favorendo il progressivo spopolamento, che ha raggiunto l’apice nei primi due decenni del secondo dopoguerra quando il sistema montano si è trovato impossibilitato a sostenere i nuovi modelli di vita emersi con il boom economico.
Si può ben capire come un processo avviato da centinaia di anni sia difficilmente arrestabile in tempi brevi, figuriamoci poi se le politiche individuate per contrastare lo spopolamento insistono su quegli stessi modelli di sfruttamento delle risorse che hanno dato origine al fenomeno. Eppure le statistiche ci dicono che si registra una seppur minima inversione di tendenza, in alcune aree i borghi e i territori appenninici vengono riabitati; vere e proprie forme di resistenza, spesso purtroppo sfiancate dal mancato supporto delle istituzioni sotto forma di forniture di servizi e di riassetto idrogeologico del territorio.
Un esempio è rappresentato da Calice al Cornoviglio, un piccolo comune della provincia di La Spezia al confine con la Toscana. Si tratta di un territorio completamente montano, che conta circa mille abitanti sparsi su diverse frazioni distanti tra loro alcuni chilometri. Le strade di accesso sono sovente soggette a frane, che rendono isolati i nuclei abitativi, ed anche la disastrosa alluvione del 2011 ha colpito duro. Questo territorio risulta avere diverse strade ma in pratica nessuna è transitabile, non è consentito il transito dei mezzi pubblici, gli anziani sforniti di automobile non possono spostarsi da un borgo a un altro, bambini e ragazzi non possono andare a scuola in città perciò sono in didattica a distanza. C’è un solo negozio di generi alimentari che cerca di aiutare con consegne a domicilio, non ci sono farmacie ma un servizio della Croce Rossa che in determinati giorni provvede alla distribuzione di farmaci; il medico generico viene due volte alla settimana per una popolazione residente di circa 350 persone nelle aree più interne, prevalentemente anziani e con la presenza di alcuni centenari; manca un servizio di guardia medica, l’ambulanza viene dal paese di Brugnato e impiega almeno 30 minuti per arrivare e un’ora e 30 circa per raggiungere l’ospedale a La Spezia, strade permettendo.
Il Comune di Calice è finanziariamente in crisi, al momento non è in grado di programmare alcun intervento e si affida alla Regione per gestire le emergenze.
Ma la gente non molla e non rinnega le proprie tradizioni; sono terre ricche di storia. L’economia locale si basa prevalentemente sull’agricoltura e sulla pastorizia, con punte di eccellenza legate alla produzione di miele: qui c’è il primo museo dell’apicoltura aperto in Liguria nel 2000, con aziende che hanno ottenuto importanti riconoscimenti. Per questo ha destato allarme il progetto di installazione su terreno privato di un’antenna 5G nella frazione Santa Maria, l’inquinamento elettromagnetico viene ritenuto causa di un potenziale pericolo.
Forme di progresso aggressive e poco rispettose del territorio, lotte politiche sulla pelle dei residenti, mancanza di pianificazione territoriale e amministratori che magari consigliano gli abitanti di trovarsi una nuova situazione abitativa in zone con servizi più accessibili, gettando la spugna. I cittadini, scoraggiati dalle risposte delle istituzioni, si rivolgono alle associazioni di volontariato chiedendo aiuto: ma che cosa possono fare?
Possiamo informare, uscire dalle cronache locali, portare a conoscenza dell’opinione pubblica che esistono gravi problemi irrisolti e sacche di resistenza che non si accontentano dei proclami elettorali, che chiedono di non essere considerati cittadini di serie b e di avere -pur nelle diverse proporzioni- le stesse opportunità di chi vive ad esempio in quella riviera che all’opposto soffre di overtourism e dove confluiscono soldi che forse andrebbero redistribuiti.