Pratica lecita o potenziale doping? L'inchiesta di Escape Collective che scuote il Tour de France
Rebreathing è la parola che da alcuni giorni sta scuotendo sotto traccia l’armonia del Tour de France 2024. Tutto nasce da un articolo pubblicato su uno dei siti internazionali maggiormente affermati sul ciclismo, Escape Collective. L’inchiesta firmata da Ronan Mc Laughlin, con il contributo di Caley Fretz, Jonny Long, Iain Treloar e Joe Lindsey, rivela che alcune squadre del Tour de France stanno utilizzando una pratica controversa e potenzialmente pericolosa: l’inalazione di monossido di carbonio (CO) per ottimizzare l’allenamento in altitudine. Almeno tre squadre, tra cui l’UAE Team Emirates della maglia gialla Tadej Pogacar, la Visma-Lease a Bike del secondo in classifica Jonas Vingegaard e la Israel-Premier Tech, hanno accesso a un costoso dispositivo chiamato rebreather di monossido di carbonio, che permette il dosaggio preciso del gas nei polmoni.
Che cos’è il rebreathing?
Questa tecnica, sebbene nuova nel ciclismo, è conosciuta da decenni e viene utilizzata in contesti medici e scientifici. Nel contesto sportivo, i dispositivi di rebreathing di CO hanno due usi potenziali: come strumento di misurazione per monitorare accuratamente i valori del sangue e ottimizzare i benefici dell’allenamento in alture. Oppure, e qui nascono i dubbi, come metodo di inalazione per migliorare le prestazioni, una pratica tossica che avrebbe il beneficio dal punto di vista delle prestazioni di aumentare la capacità aerobica. Sono subito d’obbligo due precisazioni. La prima: l’inalazione di CO non ufficialmente vietata dalla WADA (l’agenzia Mondiale Antidoping), anche se potrebbe confliggere con le regole sull’alterazione artificiale del sangue. La seconda: non ci sono prove concrete che le squadre stiano utilizzando l’inalazione di CO per migliorare le prestazioni.
Le rassicurazioni delle squadre
La preoccupazione di alcuni addetti ai lavoratori, racconta l’articolo di Escape Collective, è che avendo a disposizione il rebreather, l’utilizzo di questo macchinario per inalare monossido di carbonio possa essere imminente o già in corso da parte di alcuni team. Le squadre Visma, UAE e IPT hanno tuttavia confermato a Escape Collective di utilizzare il rebreather di CO esclusivamente per scopi di misurazione. Mathieu Heijboer, responsabile della performance di Visma, ha dichiarato che il team di Vingegaard lavora con Bent Rønnestad, professore all’Università Inland Norway e esperto di fisiologia dell’altitudine, per eseguire misurazioni all’inizio e alla fine dei campi di allenamento ad alta quota. Un portavoce di Israel-Premier Tech ha confermato che il loro uso del Detalo Blood Volume Analyzer è limitato alla misurazione degli effetti dell’allenamento in altitudine. Adriano Rotunno, direttore medico dell’UAE di Pogacar, ha sottolineato che il CO rebreathing è un metodo diagnostico utilizzato per comprendere la fisiologia degli atleti, senza alcun fine di miglioramento delle prestazioni.
La linea sottile tra pratica lecita e potenzialmente dopante
Tuttavia, la ricerca suggerisce che l’inalazione di CO può offrire benefici simili all’allenamento in altitudine, inducendo ipossia (una condizione di privazione di ossigeno) e prolungando o sostituendo i benefici dell’allenamento in altura. La distinzione tra l’uso del rebreather di CO per misurazione e per miglioramento delle prestazioni è sottile, ma cruciale. L’inalazione di CO per miglioramento delle prestazioni richiederebbe dosi più frequenti, aumentando il rischio di esposizione. Carsten Lundby, CEO di Detalo e consulente per IPT, ha evidenziato a Escape Collective che l’uso di CO per migliorare le prestazioni è pericoloso e non etico. Ha anche sottolineato che la differenza tra misurazione e miglioramento delle prestazioni risiede principalmente nella frequenza delle dosi: la misurazione viene effettuata normalmente prima e dopo il periodo di allenamento ad alta quota, mentre il miglioramento delle prestazioni richiederebbe un utilizzo del rebreather molto più frequente.
Perché utilizzare il rebreathing: la “superaltitudine”
Visma-Lease a Bike ha sviluppato una serie di tecniche avanzate di allenamento in alta quota, definite “superaltitudine“, per massimizzare i benefici di questo tipo di pratica. Questo approccio include dormire in tende ipobariche mentre si vive già in alta quota, per simulare altitudini ancora più elevate. Inoltre, gli atleti vengono spostati tra diverse località di alta quota durante un singolo blocco di allenamento, iniziando l’allenamento a una certa altitudine e poi trasferendosi in una località ancora più alta per la fase finale del blocco. Le squadre stanno anche combinando altri tipi di allenamento, come l’allenamento ad alte temperature insieme all’allenamento in altitudine. Tuttavia, questo tipo di pratiche possono essere estremamente stressanti per il corpo e non tutti i ciclisti ne traggono lo stesso beneficio. Gli atleti infatti possono avere una risposta fisiologica completamente opposta: la misurazione accurata dei benefici dell’allenamento in altitudine richiede appunto l’utilizzo del rebreather. Far fare il rebreathing di CO ai propri corridori permetterebbe quindi ai team di ottimizzare gli allenamenti in altura.
I timori degli esperti e il silenzio della WADA
Nonostante l’uso del rebreather di CO sia legale e utilizzato ufficialmente solo per scopi di misurazione, la prossimità della ricerca sui benefici delle prestazioni e il potenziale uso abusivo preoccupano ovviamente la comunità scientifica e in parte anche alcuni addetti ai lavori del ciclismo. Lundby ha recentemente firmato insieme ad altri esperti una lettera al Journal of Applied Physiology, definendo l’inalazione di CO per miglioramento delle prestazioni un “approccio totalmente tossico“. L’inalazione di CO per migliorare le prestazioni presenta rischi significativi per la salute, inclusi possibili danni neurologici. La preoccupazione è che l’uso di dosi elevate potrebbe portare a gravi problemi di salute o morte, simili agli abusi di eritropoietina (EPO) che hanno segnato il ciclismo negli anni ’90. La WADA e l’Unione Ciclistica Internazionale (UCI) non hanno risposto alle richieste di commento da parte di Escape Collective sull’eventuale regolamentazione di questa pratica. Ad oggi, conclude l’inchiesta, il controllo sull’uso del Rebreathing dipendere di fatto dall’etica dei singoli team e atleti. Ma la storia dello sport, non solo del ciclismo, insegna che per arrivare al successo l’etica viene spesso dimenticata.