Osannati da molti come gli autori di punta tra le nuove leve del cinema italiano, Damiano e Fabio D’Innocenzo dopo 3 film scritti e diretti più altri 4 solo sceneggiati, si sono appena misurati con un nuovo e più insidioso animale narrativo: la serie tv. Dostoevskij, un poliziesco violento e intimista in 6 episodi prodotto da Sky è un progetto molto originale anche nel suo lancio. Sarà sulla piattaforma fondata da Rupert Murdoch solo intorno a novembre, ma durante l’attesa degli abbonati Sky, Vision lo distribuisce nelle sale in 2 atti come fossero 2 film a sé stanti, ognuno di 2 ore e mezza, unicamente in una finestra evento dall’11 al 17 luglio. Una divisione che potrebbe ricordare vagamente quelle di Kill Bill 1 e 2, Loro e Loro 2, o forse a Esterno Notte Parte I e II.
Proprio quest’ultimo titolo fu definito sia serie a 6 episodi che film diviso in 2 parti a seconda dell’occasione di presentarlo in concorso a festival, in tv, in piattaforma o in sala appunto. In realtà Vision Distribution aveva già rilasciato in sala tra maggio e giugno L’arte della gioia, prima serie diretta da Valeria Golino, sempre destinata a Sky, che ha avuto sorti d’incasso più pingui seppur con un modello distributivo diverso e soprattutto un periodo meno difficile per il cinema rispetto all’attuale estate piena.
Con Dostoevskij si è cercato di approfittare del biglietto ridotto di Cinema Revolution, l’iniziativa ministeriale per stimolare la circolazione estiva del pubblico in sala con biglietti a 3,50 euro per tutti i film italiani ed europei fino a settembre inoltrato. Peccato aver voluto tentare il tiro nei giorni più caldi dell’anno, quando le sale tendono a respirare dandosi più che altro arie condizionate. L’unico film realmente forte di queste settimane è Inside Out 2, che lunedì 15 superava 40 milioni di euro incassati in totale e 455mila solo domenica 14, mentre il secondo nella classifica giornaliera (sempre dati di lunedì) è stato un altro americano, Fly to me to moon con Scarlett Johansson, che solo domenica ha incassato 56mila euro (214mila totali). Uno stacco già siderale. Poi uno scivolo sempre più scomodo per i titoli a seguire.
I D’Innocenzo con Dostoevskij Parte I si erano piazzati al 6° posto giornaliero con un incasso totale di 50mila euro e con la Parte II al 9° con 22mila totali. Insomma, fino a lunedì l’impegnativa corsa di marketing, social e passaparola ha fruttato un “binge-watching da sala cinematografica” (operazione così definita dagli stessi autori) da poco più di 70mila euro con 2 film. Questi i dati riguardanti domenica 14. Lunedì 15 luglio i 70mila d’incasso sono diventati 90mila e i posti in classifica giornaliera 8° e 10°. Con una curva così poco favorevole come potrà andare martedì e mercoledì? I D’Innocenzo non sono ancora garanzia d’incassi forti (il periodo Covid pesa come un sasso), ma per presenza e premi festivalieri internazionali, sperimentazione e audacia autoriale sono una certezza. Soltanto America Latina, loro opera terza, aveva corso per il Leone d’Oro a Venezia e incassato un Nastro d’Argento.
Ma veniamo alla serie dove Filippo Timi si trasforma con maestria in un poliziotto dipendente da psicofarmaci e con tendenze suicide rimandate solo dall’ossessione per un serial killer imperscrutabile. Una scia di morti efferate che Fabio e Damiano ci mostrano in scatti fotografici impietosi. La tragicità dell’esistenza di questo sbirro che tradisce pure tendenze omofobe lo aiuta a soprannominare quel killer scrivano Dostoevskij. Profondamente carnale la fotografia in pellicola a 16mm, con la sua naturale puntinatura e inquadrature scomode a stimolare disagio ci riporta ad atmosfere sospese fra Trilogia degli Animali di Dario Argento e noir europei d’annata.
Il rapporto con la figlia tossicodipendente interpretata da Carlotta Gamba ci sprofonda in un sordido turbine d’incomunicabilità. Terzo incomodo, il poliziotto giovane e sveglio di Gabriel Montesi darà ulteriore filo da torcere a quello squattrinato e incostante di Timi. Entrambi attori esplosivi generano alcuni bei cortocircuiti esistenziali. I D’Innocenzo sono capaci di ammantare di fascinazione lo squallore, calcano la regia fino a una colonscopia, ci portano spesso al bagno con il protagonista e abbattendo tabù pur già palleggiati dal Nymphomaniac di Von Trier in una scena non anticipabile finiscono per costruire un poliziesco estremamente intimo, respingente, ma allo stesso tempo ipnotico e controverso. E pur con i suoi alti e bassi l’esperienza val la pena di quel biglietto da 7 euro e 5 ore di visione da prendere come una roulette cinefila.
Niente male il concept visivo sulla provincia anonima e isolata, landa deprimente dei fatti narrati. Un centro Italia non ben definito e scarno con interni decadenti un po’ ovunque. Un anti-estetismo cinico (per TV e cinema) che diventa estetica a sua volta. Niente male pure le divise dei poliziotti, diverse dalle nostre, quasi di un altro paese, quasi distopiche. Peccato che organizzazione e modus operandi di questo strano comando di polizia sembrino abbastanza illogici producendo incoerenze investigative e narrative vietate nel genere poliziesco. Ok i poliziotti non allineati e problematici, ma qui addirittura si scontrano con i colleghi sbirri di un altro comando neanche fossero guerrieri della notte pentiti. S’inciampa poi in alcuni dialoghi carenti dove si ha l’impressione che i fratelli autori abbiano dedicato più attenzione alle lettere fiume del killer che a certi speech tra poliziotti davvero surreali. Si aprono anche sottili crepacci nella sceneggiatura insieme a passaggi che riguardano pure un twist sulla figlia.
Ma nel flusso decadentista ordito dai gemelli più griffati di Roma queste pecche tendono a confondersi. Continueranno ad essere amati e pure odiati i D’Innocenzo, nuovi poeti maledetti del nostro cinema, però alcuni strafalcioni restano eccome. Insieme al loro talento, non dimentichiamolo. Sulla scrittura sarà venuto da sorvolare anche alla critica estera estasiata, però gli autori D’Innocenzo per quest’avventura avevano bisogno di uno sceneggiatore/showrunner che li aiutasse a quadrare un po’ il tutto. Giusto le rifiniture per tappare quei sottili crepacci. Peccato, perché materiale e potenziale per fare davvero un True Detective italiano c’erano eccome. Un conto è correre i 100 metri da velocisti, ma il fondo è altra disciplina.