Sono ormai più di 30 anni, dagli anni ’90 allo scoppio della pandemia e fino ai giorni nostri, che un insistito tentativo di rallentare o bloccare deliberatamente l’azione per il clima porta la vita sul nostro pianeta a virare bruscamente verso limiti invalicabili di conservazione e riproduzione della vita, che si manifestano di anno in anno in modalità imprevedibilmente peggiori. Un coacervo di interessi, una irresponsabilità delle classi dirigenti, un ruolo complice di gran parte dei media e l’invasione dell’economia di guerra accelerano il degrado della biosfera e provano a depotenziare sul nascere la reazione delle nuove generazioni e delle popolazioni maggiormente esposte.

Prendo spunto da una recentissima pubblicazione della Oxford University Press che traccia una documentazione dello sviluppo e della natura delle attività di ostruzione climatica estesa a tutta Europa. In essa – per lo specifico del caso italiano – hanno redatto osservazioni di grande interesse Marco Grasso, Stella Levantesi e Serena Beqja. Qui riprendo alcune loro analisi, integrate da mie brevi considerazioni a supporto delle loro allarmate denunce.

Secondo l’European Severe Weather Database, il Paese ha subito 3.191 eventi meteorologici estremi nel 2022, rispetto ai 2.072 dell’anno precedente e ai 380 del 2010. Intanto, in un crescendo disastroso per il 2023 e il primo semestre del 2024, la già tiepida transizione verso “net zero al 2050” è stata ulteriormente diluita dalla coalizione di destra alla guida del Paese, che, nel Pniec in approvazione, ha ridotto dal 40 al 30% il proprio contributo agli obiettivi di Parigi.

Una ricostruzione delle azioni di blando contrasto alle emissioni viene esaminata dai tre ricercatori in diverse fasi. La sottovalutazione va ricercata fin dalla fine del secolo scorso nel ruolo di Eni, partecipata dal governo e dalla Banca Depositi e Prestiti, che, nella limitata consapevolezza del cambiamento climatico da parte dei cittadini, ha insistentemente negato il contributo umano al riscaldamento terrestre. Il compito di cancellare la questione dal dibattito pubblico è stato affidato ai media mainstream, mentre la narrativa berlusconiana relegava il clima ai margini di qualsiasi necessità di azione.

Dal primo decennio del nuovo millennio fino agli anni che precedettero la pandemia, nonostante il risveglio delle nuove generazioni e la forza e l’insistenza del messaggio di Greta Thunberg e di papa Francesco, anche i governi successivi, come quelli di Renzi e poi di Draghi, liberavano incentivi per la combustione di biomasse e inceneritori, togliendo sostegni alle rinnovabili e favorendo ulteriori attività estrattive di fossili sul territorio e nei mari nazionali.

Tuttavia, verso la fine del primo ventennio, maturava una maggiore consapevolezza popolare a cui veniva contrapposta un’ostruzione climatica che gli autori citati definiscono frutto di convergenza “tra attori politici, istituzionali, mediatici, commerciali e finanziari”. Sono tuttavia gli anni in cui si dà avvio alla contesa per la riconversione a rinnovabili del carbone (a Civitavecchia in particolare) e in cui si organizzano i comitati territoriali e nazionali contro la riconversione a gas delle centrali. Sono gli stessi anni in cui la narrazione della Laudato si’ di Francesco attecchisce a sprazzi, senza l’accompagnamento di una azione sufficientemente diffusa, mentre le lobby di influenza politica che agiscono sul piano nazionale ed europeo a sostegno di attività di espansione di petrolio e gas dispiegano il massimo impegno. La partita si rende più esplicita e conflittuale: numerosissime sono le manifestazioni territoriali pubbliche, tanto che, tra gennaio e giugno 2021, Eni e Snam si sono incontrati più di cento volte con i ministri italiani e i responsabili Ue, presentandosi come facilitatori della transizione energetica a tutto gas.

La guerra in Ucraina intanto muta volto al corso del gas che, anziché viaggiare in condotte, viene trasportato liquido e ad altissimi costi ambientali da navi che approdano dagli oceani alle coste italiane accolte da metaniere in rada.

E’ bene considerare come l’ideologia della destra contribuisca al negazionismo e al ritardo imposto alla conversione energetica, mantenendo i sussidi per i fossili, facilitandone le infrastrutture, consentendo trivellazioni in deroga, attaccando gli attivisti climatici e imponendo loro pene sotto la specie di reati di nuova formulazione. Soprattutto, viene frenata la realizzazione di impianti rinnovabili creando l’illusione di essere prossimi a soluzioni improbabili e ambientalmente nocive, come la prospettiva di un fantomatico ritorno al nucleare da fissione disseminato sui territori in impianti di ridotta dimensione che il ministro Pichetto Fratin ipotizza a regime già nella cornice del nuovo Pniec.

Nel paper citato e riportato per frammenti, si fa ampio riferimento ad accademici e ad istituzioni finanziarie e di ricerca schierate a difesa del comparto fossile. Qui voglio ricordare il ruolo precipuo delle banche come Unicredit e Intesa San Paolo e il ruolo rilevantissimo di Sace, l’agenzia per il credito all’esportazione, nel garantire nel mondo investimenti e attività ad alta intensità di carbonio.

Da ultimo, è interessante notare – come fanno gli autori – che l’impostazione discorsiva negazionista ha continuato a identificare l’Ipcc come l’epicentro della scienza climatica inventata e a rappresentare falsamente i suoi rapporti, in particolare quelli riguardanti gli obiettivi su cui devono convergere i governi.

Per concludere, aggiungo dalla mia esperienza diretta l’insufficiente ascolto ottenuto nell’Occidente cristiano dall’insistente e sofferta comunicazione di papa Francesco, che, non a caso, nell’esortazione recente Laudate Deum allude alla pesantissima responsabilità degli stili di vita e dei consumi di quegli stessi Paesi che, alleati in guerra, sono disposti a elevare in maniera consistente la percentuale della loro spesa militare, mentre ancora non decolla il fondo verso i Paesi poveri per difendere le loro terre dalla minaccia climatica.

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