“Sono davvero così diverse le decine di dentifrici che troviamo sugli scaffali del supermercato? E gli ammorbidenti? Quanto un detersivo per i piatti può pulire più a fondo di un altro? Abbiamo davvero necessità di tutti quei flaconi? Ma soprattutto: viene prima il bisogno di lavare il parquet e il gres con due detergenti differenti o è il marketing che ce lo suggerisce in qualche modo?”. A queste domande risponde un libro acuto e interessante, scritto da due semiologhe, Ilaria Ventura Bordenca e Giorgia Costanzo, “Pulito! Branding pubblicità e culture dell’igiene” (Franco Angeli).
Dopo aver analizzato gli slogan delle aziende di detersivi e prodotti igienizzanti – “‘Bianco che più bianco non si può’, ‘Con Nelsen piatti, i piatti li può lavare lui’, ‘È più che pulito, è Powerpod’, ‘Basta faticare, inizia a swifferare’ – le due ricercatrici spiegano che, qualunque sia la nostra età, “di sicuro la pubblicità ha già provveduto a fornirci un immaginario di cosa sia il pulito, come riconoscerlo, perché è opportuno ricercarlo sempre, identificando il suo nemico, lo sporco”.
Se la comunicazione genera il bisogno – Tanto martellante e pervasivo è il marketing di prodotti per pulire, igienizzare, togliere macchie e anche lavarci che abbiamo finito per non accorgerci che la “società dei consumi ha finito per stravolgere la logica causale, al punto da invertire il flusso di pensiero”. In pratica, prodotto e comunicazione non sono più due cose distinte, ma due facce della stessa medaglia: la comunicazione genera un bisogno che non esiste.
Ma non è tutto: spot e pubblicità di saponi e dentifrici, spray antipolvere e detersivi per pavimenti, bagnoschiuma e aspirapolvere ci raccontano anche del modo in cui noi pensiamo il pulito e lo sporco e quindi anche il puro e l’impuro. I prodotti lavano via anche le sporcizie morali, come se una trasformazione esterna potesse anche trasformare la coscienza. Per il cultural branding odierno, le marche sono vere e proprie istanze comunicative portatrici di valori.
Più segmentazione, più prodotti – Entrare in supermercato e osservare la proliferazione di detergenti per il viso, deodoranti, saponi intimi e bagnoschiuma porta a chiedersi – notano le due autrici – se sia così necessario usare saponi diversi sulle varie parti del corpo, perché in altri termini è difficile concepire un prodotto che vada bene per igiene della bocca e per i capelli, per il corpo e la casa.
Di fatto, la segmentazione consente, oltre che moltiplicare i prodotti, di costruire una successione regolata di gesti e movimenti che determina ciò che so può fare e ciò che non si può fare, un insieme di regole morali che costruiscono specifici sistemi di valori. Il mercato è pieno di prodotti che vanno usati insieme ad altri, secondo un preciso ordine (basti pensare alla cosiddetta skincare), o di prodotto che non vanno mai combinati con altri, dando vita routine igieniche sempre più articolate.
Allo stesso modo, anche le macchine per pulire acquistano funzioni sempre più specializzate, dalle bocchette per spazzolare il cane agli aspiratori specifici per materassi. Anche qui, si chiedono le autrici, “i diversi tipi di sporco (peli, capelli, acari, briciole, virus) sono un nemico per il solo fatto di essere nell’ambiente o anche perché le tecnologie pulenti sono progettate per eliminarli nel modo più efficiente possibile?”. Forse, rispondono, entrambe le cose.
“È pulito! È ancora sporco”: l’isotopia della battaglia – Ma c’è soprattutto una dinamica inquietante che le tecnologie delle pulizie inducono nelle persone: “Da un lato eliminano l’ansia del nemico invisibile e, mentre lo fanno, la creano per la caccia successiva. Rassicurano sull’aspirazione di virus e batteri, così come ricordano che sono ovunque, in un ritmo di euforie (è pulito!) e disforie (è ancora sporco)!).
Il mondo delle pulizie è ancora oggi dominato dal tema della sorveglianza. In particolare, si tratta dell’isotopia della battaglia, ossia di una caccia, di un inseguimento continuo dello sporco. una vera e propria lotta alla sporcizia”. Dove in palio c’è la purezza, dunque, anche, “la salvezza dell’anima”.
Anche il cambio dei materiali racconta di un passaggio culturale. Per diverso tempo, alcuni prodotti igienici sono stati in polvere. L’arrivo dei detergenti liquidi è una grande trasformazione, così come lo è l’arrivo della schiuma, “segno di delicatezza, corposità, idratazione, nutrimento e relax”.
Tanto oggi questi materiali caratterizzano la contemporaneità che i prodotti che vogliono proporsi come “antichi” e “naturali” si presentano sotto forma di materiali ruvidi e in polvere (come lo shampoo solido). Ma, affermano le esperte, anche questo resta, pur sempre, marketing. “Questa retorica della naturalità – spiega Ilaria Ventura Bordenca – è diventata un modo comune e diffuso di vendere prodotti, con una proliferazione di imballaggi che sembrano carta o hanno comunque un effetto, cartonato, grezzo, che dovrebbero essere più sostenibili. Di fatto però i prodotti non si riducono, ma si crea un nuovo mercato all’interno del quale ci sono determinate logiche commerciali. Quindi, appunto, detersivi con colori più lievi, che comunicano una minore aggressività rispetto al rosso e al blu”.
Resta, insomma, la moltiplicazione impressionante di prodotti specifici, da cui appare assai difficile tornare indietro. “Forse”, conclude la semiologa Ventura Bordenca, “dovrebbero essere le stesse aziende a tornare indietro, a riproporre logiche diverse, ad esempio un prodotto unico per corpo e capelli. Vero è che a loro non conviene e dunque forse l’unica strada sarebbe quella di una grande presa di coscienza collettiva. Chissà dunque se riusciremo a salvarci”.