Secondo il Codacons il fulcro della questione sta nell’uso delle apparecchiature per il trattamento delle acque che può avere “ripercussioni sul fronte sanitario"
L’allarme è lanciato dal Codacons con un appello rivolto a tutti i ristoratori della Sardegna. Il motivo dell’allerta? L’impiego nei locali pubblici della regione di acque trattate o filtrate destinate ai clienti. Vediamo perché potrebbe essere fonte di problemi.
Trattamenti che impoveriscono l’acqua
“Negli ultimi anni si è registrata nei ristoranti della Sardegna una crescente diffusione di dispositivi destinati al trattamento di acque finalizzate al consumo umano”, spiega il Codacons. “Trattamenti che non hanno lo scopo di rendere potabile un’acqua che non lo sia già morfologicamente, ma di consentire modifiche nelle caratteristiche organolettiche, ossia di ‘raffinare’ le acque per utilizzi domestici”. Secondo il Codacons il fulcro della questione sta nell’uso delle apparecchiature per il trattamento delle acque che può avere “ripercussioni sul fronte sanitario: a seconda delle tecniche usate, può ridurre o anche eliminare minerali, come il calcio e/o il magnesio, nonché comportare al contrario un aumento del sodio fortemente sconsigliata, a fini preventivi, per tutta la popolazione (e in particolare per chi soffre di patologie quali diabete, ipertensione, ecc.)”, sottolinea il Codacons. E non è solo questione di salute pubblica, ma anche di chiarezza nei confronti dei consumatori che sono portati “a credere che quella servita a tavola sia acqua minerale”, prosegue l’Associazione. Per tutte queste ragioni, il Codacons ha chiesto ai ristoranti sardi di “prestare la massima attenzione circa la tipologia di acqua servita ai clienti, e mette a loro disposizione una apposita perizia per far meglio comprendere i rischi connessi alla commercializzazione di acque trattate”.
Non tutti i metodi di trattamento sono uguali
“Il trattamento delle acque destinate al consumo umano è un processo complesso che coinvolge una serie di dispositivi e tecnologie progettate per rimuovere contaminanti fisici, chimici e biologici”, spiega al FattoQuotidiano.it il professor Rolando Bolognino, biologo nutrizionista. “Il problema che si può riscontrare negli esercizi che espongono la dicitura ‘acqua filtrata’ è non sapere quale metodologia è stata utilizzata”. Quali sarebbero le metodiche più diffuse? “Sono diverse. A partire dalla ‘Filtrazione a Membrana’”, risponde sempre Bolognino. “È una tecnologia avanzata che utilizza membrane semipermeabili per rimuovere contaminanti. Ci sono poi i ‘Dispositivi di Adsorbimento’ (a carboni attivi o zeolite) in cui i contaminanti vengono trattenuti sulla superficie di un materiale solido.
Altre metodiche sono quelle basate sui ‘processi di ossidazione’ (clorazione, raggi UV), utilizzati per distruggere i contaminanti organici e microbiologici con reazioni chimiche; mentre i ‘sistemi di disinfezione’ sono impiegati per garantire la sicurezza microbiologica dell’acqua attraverso raggi gamma e elettrolisi del sale”.
In sintesi, quando si parla di trattamento dell’acqua destinata al consumo umano, si deve fare riferimento a “una combinazione di dispositivi e tecnologie per affrontare la vasta gamma di contaminanti potenziali”, continua l’esperto. Per cui “la scelta della tecnologia dipende dalle caratteristiche specifiche dell’acqua da trattare e dagli standard di qualità richiesti. L’efficacia del trattamento è determinata dalla sinergia tra i vari processi, assicurando che l’acqua trattata sia sicura, salubre e conforme alle normative vigenti”. Di fatto, il consumatore che va al ristorante è totalmente all’oscuro di come è stata trattata l’acqua che gli viene servita, a esclusione di quella minerale che viene portata al tavolo ancora nella sua bottiglia originale e tappata.
Conclusioni esagerate?
C’è però chi getta – è il caso di dire – acqua sul fuoco, come Paolo Pigozzi, medico nutrizionista e autore di numerosi saggi sull’alimentazione: “È noto da tempo che in genere questi filtri tolgono calcio e magnesio e rilasciano sodio. E se da un lato penso sia necessario fare chiarezza sui processi utilizzati nel trattamento delle acque, non mi pare che siamo di fronte a una questione sanitaria così rilevante. Insomma, a meno che uno non vada a mangiare al ristorante tre volte al giorno (e allora l’impatto di questa abitudine avrebbe ripercussioni concrete sulla salute della persona), minerali come calcio e magnesio si trovano in altre fonti alimentari, anche se nelle acque minerali sono particolarmente biodisponibili. Ma non me la sento di dire che un’eventuale presenza maggiore di sodio in queste acque servite al ristorante possa avere conseguenze catastrofiche per diabetici o cardiopatici”.