Le dimissioni di Gareth Southgate, che ha lasciato la panchina dell’Inghilterra dopo otto anni e 102 partite, sono un altro esempio di porte girevoli nello sport, ovvero quella sottile differenza che passa tra vittoria e sconfitta. Un Southgate trionfatore nell’europeo di Germania avrebbe probabilmente prolungato il rapporto con la federazione di Londra, obiettivo il mondiale 2026. La sconfitta con la Spagna, maturata nei minuti finali, secondo ko di fila all’ultimo atto nel torneo continentale dopo quello incassato con l’Italia a Wembley nel 2021, ha invece aperto le porte dell’addio. Sliding doors: nel caso del tecnico inglese hanno chiuso un’epoca. Ora la Football Association è alla ricerca di un nuovo comandante in capo: Eddie Howe (attualmente al Newcastle) è il favorito, spinto dal vento dei media che stravedono per lui. Graham Potter e Mauricio Pochettino, due dei tanti tecnici divorati dal sistema Chelsea, sono gli altri nomi in ballo. Vengono citati anche Jurgen Klopp e Thomas Tuchel, ma per ora sono collocati nella casella “outsiders”.

Dietro l’addio di Southgate, in qualche modo fisiologico, si nasconde il dramma sportivo della nazione che ha inventato il calcio moderno, ma che a livello di nazionale è prigioniera di un incubo. Un solo titolo in bacheca, il mondiale organizzato in casa nel 1966 e con la finale contro la Germania segnata dal gol fantasma di Geoffrey Hurst. Poi solo delusioni, sconfitte, umiliazioni, sogni infranti. La vecchia Inghilterra spopola con la Premier, il campionato più ricco e seguito al mondo, ma quando scendono in campo i Tre Leoni il discorso cambia. La maglia della nazionale è un peso quasi sempre insostenibile per i calciatori, anche per i migliori come Harry Kane, a modo suo un esempio della maledizione che accompagna la squadra: sei finali perse per il principe dei bomber.

Ancora una volta, siamo all’anno zero in Inghilterra: così è stato per Southgate, così fu per Fabio Capello e, ancora più indietro, per Sven Goran Eriksson. Si torna alla casella di partenza, come nel gioco dell’oca, in attesa che parta la Premier, il 16 agosto, con l’anticipo Manchester United-Fulham. Il campionato farà dimenticare la nazionale, ma il 7 settembre ci sarà la sfida contro l’Irlanda in Nations League: poco più di 50 giorni per trovare il nuovo ct.

Southgate è stato a un passo da sfatare la maledizione. Il curriculum con i Tre Leoni è stato dignitoso: 62 vittorie, 24 pareggi e 17 sconfitte, due finali europee, una semifinale mondiale. Southgate aveva il vantaggio di conoscere bene le dinamiche della nazionale made in England, dall’alto delle 57 presenze da giocatore, ma questi trascorsi, il consenso del principe William, la simpatia dei tifosi e la benevolenza da parte dei media, almeno fino al torneo in Germania, non sono bastati a superare le Colonne d’Ercole. Nell’Inghilterra della Brexit, Southgate ha rappresentato l’orgoglio di un popolo, ma anche il suo enorme limite. Un dato invita alla riflessione: nessun coach inglese ha vinto la Premier. Hanno trionfato italiani, spagnoli, portoghesi, francesi, tedeschi, cileni, persino scozzesi, ma zero inglesi. La retorica dei maestri è impallinata dalla realtà: c’è il giocattolo, ci sono le risorse, ma mancano i maestri. E nei giocatori manca, in aggiunta, la “cazzimma”. O la “garra”, dipende dai gusti.

Southgate si è congedato con dignità. Il suo addio è una lezione a chi non solleva mai il suo posteriore dalla sedia, neppure quando i risultati sono stati disastrosi. “Questo incarico ha significato tutto per me e ho dato tutto me stesso, ma è tempo di cambiamenti e di un nuovo capitolo. Sono un tifoso dell’Inghilterra e lo sarò sempre. Guarderò con entusiasmo la nazionale del futuro. Mi auguro che i giocatori sappiano ispirare la nostra nazione. Grazie, Inghilterra, per tutto”. Un congedo da signore. Immediati i messaggi di ringraziamento da parte di alcuni giocatori: Bellingham, Rice, Trippier, Eze, Mainoo. Anche il nuovo premier britannico, il laburista Keir Starmer, ha omaggiato l’ex ct: “Ha ridato speranza e fiducia. Ha portato sulle sue spalle i sogni e l’onore di un paese con estrema dignità. Lo ringrazio per aver gettato le basi per il futuro”.

Southgate potrebbe avere a breve un ruolo da commentatore televisivo. L’Inghilterra invece si rimetterà di nuovo in marcia. Un lungo cammino attende i Tre Leoni e una nazione calcistica che ha il grave difetto di festeggiare in anticipo, con il solito filino di arroganza. Le celebrazioni si fanno solo a risultato acquisito, ma questo in Inghilterra ancora non l’hanno capito.

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