“Non c’è posto per la violenza negli Stati Uniti d’America”. Il presidente Joe Biden, poco dopo aver parlato con Donald Trump, vittima dell’attentato armato dal quale è uscito con una ferita all’orecchio, ha forse pensato che queste parole fossero necessarie, una presa di posizione ma anche un messaggio forte da lanciare al popolo americano, con la tensione politica alle stelle a pochi mesi dalle elezioni più polarizzanti della storia. Ma il significato di quella frase viene facilmente smentito dai numeri: negli Stati Uniti si registrano centinaia di sparatorie di massa ogni anno, mentre latitano nello stesso periodo iniziative politiche decisive per limitare la circolazione delle armi, un po’ per la pressione incessante della potente National Rifle Association e un po’ per la diffusa convinzione che la detenzione di armi sia un diritto inalienabile sancito dal secondo emendamento della Costituzione.
I numeri di una strage
Se si guardano i dati sulle sparatorie di massa negli Stati Uniti è facile capire come questo tipo di violenza, che sia mossa da intenti politici o meno, sia ben radicata all’interno della società, a differenza di ciò che sostiene il presidente. Secondo il Gun Violence Archive, nel 2023 si sono registrati 656 episodi di questo tipo. Quasi un anno record anche per gli Usa, dove dal 2020 si registra un trend in forte ascesa. In quell’anno furono 610 gli episodi di mass shoting, contro i 417 dell’anno precedente, nel 2021 addirittura 690 e nel 2022 647. Numeri impressionanti che dimostrano come nel Paese avvengano in media due sparatorie di massa al giorno. Non a caso, nel solo 2023 ci sono stati 42.987 decessi per violenza armata.
AR-15, l’arma delle stragi
Se non fosse per l’obiettivo, ossia un ex presidente americano, l’attentato di Butler, in Pennsylvania, rappresenterebbe il tipico esempio di mass shooting all’americana: un uomo che imbraccia un AR-15 e apre il fuoco sulla folla. Il fucile semiautomatico è infatti una delle armi più utilizzate per compiere sparatorie di massa. E i motivi sono più di uno: si tratta di un’arma semiautomatica semplice da utilizzare, cugina del fucile da guerra M-16 in dotazione all’esercito americano, che ha anche un prezzo accessibile a gran parte della popolazione, dato che da quando è scaduto il brevetto nel 1977 può essere acquistata per qualche centinaia di euro nelle versioni più economiche.
I numeri che ne conseguono sono impressionanti. L’AR-15 è oggi il fucile più venduto nel Paese dopo un’impennata iniziata nei primi anni 2000, sulla scia degli attentati dell’11 settembre, e grazie alla scadenza e al mancato rinnovo, nel 2004, della messa al bando federale sulle armi d’assalto imposta nel 1994 dall’amministrazione Clinton con la quale si bloccava la vendita di fucili semiautomatici. Oggi, secondo alcune stime, un americano su 20 possiede un AR-15, mentre dati raccolti dalla Georgetown University nel 2021 dicono che 24,6 milioni di americani hanno in casa fucili AR-15-style. Una diffusione che, secondo un’indagine del 2022 della Commissione di vigilanza della Camera americana, ha permesso a cinque importanti produttori di armi come Daniel Defense, Bushmaster, Sig Sauer, Smith & Wesson Brands, Inc. e Sturm, Ruger & Co. di realizzare collettivamente 1 miliardo di dollari di fatturato in un decennio dalla vendita di AR-15.
Tanto mercato, poche limitazioni
Come detto, da una parte la grande diffusione dei fucili in stile Ar-15 è dovuta alla semplicità d’uso, all’affidabilità, alla letalità e, infine, anche ai prezzi ridotti con i quali vengono immessi sul mercato civile. A questi, però, si unisce anche una normativa che ne permette la piena e incontrollata diffusione su quasi tutto il territorio americano. Il grande provvedimento che tentò di mettere un freno alla diffusione delle armi semiautomatiche negli Stati Uniti fu, sotto la presidenza di Bill Clinton nel 1994, il Public Safety and Recreational Firearms Use Protection Act, un divieto federale sulle armi d’assalto che ne proibiva la fabbricazione di oltre cento tipi per uso civile, tra cui l’AR-15. Una norma che nel 2004 arrivò a scadenza e che non venne rinnovata dal Congresso durante l’amministrazione di George W. Bush. Così, da quel giorno, i vari tentativi di imporre leggi più restrittive sulla diffusione delle armi sono risultati in gran parte vani. Nel 2022 è stato Joe Biden a firmare il Bipartisan Safer Communities Act, una legge che, però, aumenta solo i controlli sugli acquirenti e i loro precedenti penali, ma non agisce direttamente sulla diffusione di armi semiautomatiche. Il testo migliora i controlli sui precedenti per gli acquirenti di armi di età compresa tra 18 e 21 anni, aumenta gli stanziamenti per tenere le armi lontane dalle persone ritenute una minaccia per se stesse o per gli altri, aumenta i fondi per il trattamento della salute mentale e impedisce alle persone di possedere un’arma da fuoco per almeno cinque anni se sono state condannate per un reato di violenza domestica.
Nel frattempo, però, la situazione all’interno degli Stati Uniti rimane di totale libertà per quanto riguarda l’acquisto di armi. Dei cinquanta Stati americani, solo in dieci (California, Connecticut, Delaware, Hawaii, Illinois, Maryland, Massachusets, New Jersey, New York e Washington DC) esistono leggi che mettono al bando i fucili d’assalto, mentre in altri tre (Minnesota, Virginia e Washington) esistono delle regolamentazioni ma non dei divieti. In tutti gli altri, chiunque non sia considerato una persona socialmente pericolosa può entrare in un’armeria e uscirne con in mano un fucile come l’AR-15, capace di sparare fino a 60 colpi al minuto.