Utilizzando il metodo Holon, una società cinese ha costruito in soli cinque giorni un edificio residenziale di 26 piani nella provincia di Hunan. Gli appartamenti sono prefabbricati; unità modulari che possono essere montate rapidamente a blocchi (Figura 1). Un Lego gigante tutto speciale, non solo per la velocità di esecuzione, chimera inconcepibile in Italia, dove la costruzione di una superstrada a singola corsia — Aurelia Bis tra Savona e Albisola — procede a passo di lumaca: 300 metri all’anno.

Questo tipo di edifici può essere smontato e rimontato altrove. La smontabilità è la dote maggiore di questa tecnologia. Con edifici così si può concretizzare la mitica utopia del “prato verde”. Tuttora una pura chimera, praticamente impossibile da avvicinare con le odierne pratiche, come dimostra il continuo abbandono di ruderi, industriali e soprattutto commerciali, in fregio alle strade dei paesi avanzati.

Prato verde è una espressione usata nel campo della dismissione degli impianti nucleari a fine vita. È lo stato finale del processo di decontaminazione basato sull’assenza di rischi radiologici. Per estensione, la progettazione “green field” delle opere d’ingegneria dovrebbe entrare tra le buone pratiche. Per esempio, le linee guida della Iahs (Associazione Internazionale di Idrologia Scientifica) pubblicate nel 1998 ponevano la reversibilità delle dighe tra i quattro criteri fondamentali di progettazione*. Lo stesso criterio dovrebbe ispirare la costruzione degli impianti eolici e solari: a fine vita, anche il paesaggio va decontaminato. E i costi non devono gravare sulla collettività, se si tratta di impianti privati.

Qualcuno si chiede come finiranno le moltitudini di torri che hanno stravolto l’orizzonte visivo delle grandi metropoli, europee e non (Figura 2). I grattacieli non sono sempre edifici di lungo respiro, assomigliano alle piramidi come impatto paesaggistico ma il loro ciclo di vita è parecchio più breve. Di fatto, quasi tutti i grattacieli moderni sono costituiti di travi di acciaio che durano un centinaio di anni prima di dover essere sostituite. È una realtà ben nota dove questi edifici hanno una lunga tradizione: a New York è abbastanza comune sostituire pezzo per pezzo le travi in acciaio nei vecchi grattacieli.

L’obsolescenza funzionale gioca un ruolo anche maggiore. Per esempio, smart working e intelligenza artificiale forse ridurranno progressivamente le attuali necessità di spazi di lavoro aziendali. Oggi sono ispirati dalla necessità di concentrare la forza lavoro, centralizzare, realizzare economie di scala e innovazioni tecnologiche, massimizzare il valore estraibile dal suolo, consolidare gli utili a medio termine. Senza dimenticare il valore simbolico, legato al prestigio e all’immagine. Domani chissà: l’evoluzione tecnologica ha già ridotto la necessità del controllo diretto e della centralizzazione. E la moda delle torri residenziali, prediletta da molti influencer, è destinata a durare?

La sostenibilità è la capacità di soddisfare le esigenze del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare le proprie. L’immenso fardello dei rifiuti che produrrà la demolizione di queste costruzioni non sarà facile da smaltire se i futuri abitanti del pianeta se ne dovranno liberare. Da sempre insegno a progettare le infrastrutture, idrauliche e non, tenendo conto di due importanti elementi: la manutenzione dell’opera e la gestione del fine vita. Non sempre ho trovato né trovo consensi accademici e istituzionali.

La manutenzione è un fattore fondamentale della progettazione, del tutto dimenticato tanto nel pubblico quanto nel privato, soprattutto in Italia. E, purtroppo, i risultati si toccano con mano. Una buona gestione del ciclo di vita richiama il principio della reversibilità: le opere dell’uomo vanno ideate e progettate con lo sguardo a tutte le loro fasi di vita. Guardando ammirati un ponte di epoca romana spesso non ci rendiamo conto che più e più volte è stato ricostruito nei secoli, perché danneggiato o abbattuto da una piena del fiume. E sono state usate in massima parte proprio le stesse pietre squadrate con cui era stato costruito, magari allargando un po’ luci perché raramente l’esperienza suggerisce di ridurle. Anche se, con l’avvento del calcestruzzo armato, qualche luminare dell’ingegneria moderna ha ritenuto quelle luci talora esagerate, con le conseguenze ben note alle cronache.

*Takeuchi, K., Hamlin, M., Kundzewicz, W., Rosbjerg, D. & S.P. Simonovic, eds., Sustainable Reservoir Development and Management, IAHS Publication n.251, Wallingford, 1998.

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