Musica

Quanta voglia di Puccini: nel centenario della morte è corsa alla divulgazione sulla sua vita. Ma attenzione: l’orecchio non si perda l’essenza della sua musica

di Giuseppina La Face

L’anno pucciniano è allo zenith. Nel firmamento musicale e musicologico brillano le iniziative: concerti, opere, convegni, conferenze, pubblicazioni. Di Giacomo Puccini (1858-1924) si parla dappertutto: conservatori, università, accademie, teatri, media, festival. Ci si accapiglia perfino: i social impazzano per l’esibizione di un cantante, le dichiarazioni di un ministro, le battute di un direttore. Il che non meraviglia. Siamo nella società della comunicazione: di conseguenza, nel bene e nel male, cresce la divulgazione. Il sapere – anche quello musicale – non resta confinato nella torre d’avorio dei soli specialisti, ma circola, più o meno trasformato, a vari livelli. Puccini, in questo senso, è un caso esemplare. Oggi è universalmente reputato dalla critica un operista sommo, ma ci fu un’epoca in cui il suo dilagante successo di pubblico fu guardato con sospetto dagli intellettuali che lo consideravano prono agli ideali piccolo-borghesi dell’Italietta tra le due guerre.

Ma già nel 1974, cinquantesimo della morte, un libro ne proclamava la grandezza, Puccini: una vita. L’aveva scritto per l’editore fiorentino Vallecchi il critico musicale della Nazione Leonardo Pinzauti; è stato ora ripubblicato, da Mind Edizioni, per il centenario. Il disgusto del mondo intellettuale nei confronti di Puccini si era manifestato con veemenza nel pamphlet Giacomo Puccini e l’opera internazionale (1912) di un ambizioso e pugnace musicologo calabrese, il trentenne Fausto Torrefranca. Lo stigma di questa presunta compiacenza col gusto melodrammatico cosmopolita, a scapito del riconoscimento della grande tradizione strumentale italiana del passato, l’aveva comunque già rimosso uno storico della musica circospetto e oggettivo come Claudio Sartori: la sua monografia del 1958 aveva riconosciuto senza mezzi termini la statura e la modernità dell’operista.

Dal 1974 la critica pucciniana ha fatto enormi passi avanti, grazie tra l’altro all’importante lavoro svolto dal Centro Studi Puccini di Lucca. Nondimeno, riletto oggi, il libro di Pinzauti offre un quadro assai godibile di Puccini uomo e artista. Ne ripercorre la biografia, ne delinea i rapporti con teatri, librettisti, critici musicali, gli editori, Ricordi in testa. In uno stile semplice, come il bravo giornalista sa fare, narra la vita sentimentale, le malinconie, gli entusiasmi, le perdite. Volentieri inquadra Puccini nella temperie culturale toscana, peculiarmente fiorentina: un accento, questo, che magari non favorì a suo tempo la diffusione del saggio. Oggi lo si legge con scioltezza. Offre un genere di divulgazione fine, colta, discorsiva, che viene incontro al lettore non iniziato: andrebbe incentivata, per avvicinare quanti più possibili fruitori alla musica d’arte. Abbiamo bisogno di libri specialistici, tecnici, che dissodino terreni inesplorati, ma anche di pubblicazioni dal tono più leggero. Del resto – è giusto dirlo – nella musicologia italiana si stanno muovendo parecchie cose, gli esempi di eccellente divulgazione non mancano. Divulgare, lo sanno tutti, facile non è. Occorre trasferire il “sapere sapiente” del ricercatore in un “sapere appetibile” per tutti; trasformare il discorso critico, senza però alterarlo né banalizzarlo, affinché chi non possiede gli strumenti della disciplina possa nondimeno cogliere e penetrare il senso del dettato musicale. Né più né meno di quanto fa il buon divulgatore scientifico.

La riedizione del saggio di Pinzauti ha una limpida, essenziale prefazione di Angelo Foletto, che per trent’anni ha presieduto l’Associazione Nazionale Critici Musicali. Due “ricordi” di Francesco Ermini Polacci, critico musicale anch’egli, e di Giuseppe Rossi, insigne discografo fiorentino, impreziosiscono il volume.

La divulgazione batte anche altre strade, in linea con i nostri tempi più inclini alla lettura delle immagini che dei testi. L’Editore Curci (in collaborazione con Cidim) pubblica una biografia del musicista a fumetti, firmata da P. Alessandro Polito e Laura Pederzoli: Io sono Giacomo Puccini. Muove dalla famiglia, anzi dalla dinastia dei Puccini, musicisti sull’arco di cinque generazioni, traccia il ritratto fisico e sociale del compositore, con pochi tocchi mirati menziona editori, librettisti, collaboratori di fiducia; riserba un paio di pagine alle opere maggiori, come Manon Lescaut, La bohème, Tosca ecc., ma anche alla Rondine. Dice in due parole che cos’è un’opera lirica; denuncia infine i rischi del tabagismo (Puccini morì di cancro alla laringe). Le vignette sono suggestive, accattivanti. A chi può giovare un volumetto del genere? Probabilmente ai lettori che farebbero fatica a seguire da cima a fondo un libro dal tono sì divulgativo, ma fatto di sole parole. Le immagini del fumetto, le battute semplici, le frasi sintetiche possono attrarre i ragazzi delle primarie e delle medie, ma anche il lettore occasionale.

Rimane però un punto da meditare. Il libro fa diretto riferimento alle opere, e offre pure una playlist finale. Ma come spiegare le musiche dei brani indicati? Il fumetto aiuta ma non basta. Occorrerebbe introdurre il lettore all’ascolto, mostrargli che cosa esprime, e in che modo, la musica di una data aria, di una data scena; dove sta l’incanto di certi versi e dei suoni che li incarnano. Cosa tremendamente difficile: anche per la divulgazione tradizionale, di alto livello, quella di Pinzauti, ad esempio. Come si fa allora a parlar di musica in maniera semplice ed efficace? Su che cosa indirizzare l’attenzione del lettore, o dell’ascoltatore in una conferenza? Non è forse vero che, tante volte, dopo aver letto un libro divulgativo o ascoltato un conferenziere, alla fine abbiamo l’impressione di non aver còlto il punto essenziale, ossia come “funziona” la musica? Come essa crei il personaggio, la situazione, il dramma? Per essere efficace, la divulgazione necessita dunque di una didattica dell’ascolto che la alimenti e la sostenga, che con pochi tratti mirati punti l’attenzione sui caratteri salienti del discorso musicale. La didattica dell’ascolto è il cuore dell’operazione divulgativa. Ma la didattica dell’ascolto non s’improvvisa, richiede tempi distesi di apprendimento e d’insegnamento. Per formare divulgatori capaci essa deve trovare spazio in conservatori, università, scuole, master, corsi per giornalisti. E va affidata a docenti qualificati, ben preparati, musicologi o critici musicali agguerriti e duttili. È un investimento che la musica richiede e merita.

Lo capiremo mai nel nostro Bel Paese, in cui l’educazione musicale si interrompe alla scuola media, e nessuno se ne cruccia?

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