L’Unione europea fa a pezzi il sistema informativo italiano. Non solo per i problemi storici della Rai, da tempo assoggettata alla politica e ora vittima di una “operazione di occupazione e spartizione” da parte della destra, ma anche per leggi allarmanti per la libertà di stampa – come il famigerato decreto Cartabia – e per i conflitti di interessi degli editori privati.

Le critiche sono contenute nel durissimo “Monitoraggio del pluralismo dell’informazione nell’era digitale” giunto ieri in Vigilanza Rai e firmato dal Centre for media pluralism and media freedom, un organismo lanciato dall’Unione europea con il compito di monitorare lo stato dell’arte dell’editoria negli Stati membri. In Italia c’è di che preoccuparsi.

Intanto per le condizioni della Rai. Il report parla di un “livello di rischio” del 71 per cento (rischio alto) per un settore che “storicamente presenta più criticità”. Secondo il Centro, dopo la vittoria della destra “la maggioranza ha esplicitamente rivendicato una maggiore influenza sulla Rai e una sorta di diritto ad avere una televisione pubblica allineata con i vincitori delle elezioni”. Motivo per cui, “in conformità con una prassi consolidata”, il 2023 ha visto “una serie di nomine che riflettono il nuovo panorama politico”, con storture come quella che ha riguardato Carlo Fuortes: “Per convincerlo a rassegnare le dimissioni da amministratore delegato, il governo ha offerto a Fuortes il prestigioso incarico di sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli, emanando inoltre un decreto legge per liberare quella stessa posizione, occupata da Stephane Lissner”. Il rapporto imputa alla “influenza della nuova maggioranza” le dimissioni di “alcuni noti e autorevoli giornalisti”, tra cui Fabio Fazio e Lucia Annunziata. Da qui si arriva alla denuncia di “una vera e propria operazione di occupazione e spartizione, soprattutto da parte del principale partito di governo”, ovvero FdI, e nel complesso “la qualità e l’autorevolezza dei media Rai sembrano diminuire nettamente e il pluralismo dell’informazione è fortemente peggiorato”.

Altro capitolo delicato è quello delle leggi. Innanzitutto resta “ancora irrisolto l’ormai radicato problema della disciplina penale della diffamazione”, nonostante la Cedu abbia più volte condannato l’Italia al riguardo. In assenza di una legge sulla querela temeraria, i giornalisti sono più fragili e il documento cita il caso di Gad Lerner, denunciato da Acciaierie d’italia per alcune critiche sull’ex Ilva. Poi ci sono le restrizioni su ciò che si può scrivere e cosa no. In attesa che il Centro si occupi delle ultime novità (l’analisi copre fino a tutto il 2023), l’Ue nota comunque che la riforma Cartabia “ha imposto ai cronisti giudiziari restrizioni relative alla raccolta di informazioni” e “sembra avere effetti negativi sulla libertà di stampa”, visto che “limita la possibilità per i giornalisti di comunicare con le autorità pubbliche, compresi giudici e polizia, prima che un caso sia stato deciso con una sentenza definitiva”. Il fatto che “il procuratore generale è autrizzato a comunicare dettagli dei casi sotto forma di conferenza stampa o comunicati” non è abbastanza: l’interpretazione sulla sussistenza dell’interesse pubblico è lasciata alla discrezionalità dello stesso procuratore: “Si può quindi ritenere che il decreto sia uno strumento il cui scopo è proprio quello di limitare la comunicazione di informazioni alla comunità, con conseguenze negative sia per lo stato di diritto, sia per le vittime di reato che potrebbero ricevere supporto dalla stampa”. Pur non occupandosi degli aggiornamenti del 2024, il report lascia intendere che la situazione sta peggiorando a causa del bavaglio Costa: “Merita poi di essere ricordato che il 24 febbraio 2024 è stata pubblicata la l. 15/2024, che contiene, all’art. 4, la delega al governo per modificare il Codice di Procedura Penale prevedendo ‘il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finchè non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare’”.

Il rapporto si occupa anche del conflitto di interessi nei media privati, inteso come “vicinanza degli editori e dei proprietari ai partiti politici e ai gruppi di interesse”. Si parla ovviamente di Mediaset, perché “nonostante nessuno dei figli o famigliari” di Silvio Berlusconi “abbia finora intrapreso una carriera politica, il problema di un diretto e significativo interesse politico nella proprietà e nella gestione di un colosso editoriale che abbraccia vari media rimane intatto”. Ma allarmanti sono anche altri casi di editori impuri con interessi in altri settori, il report cita Gedi e Il Sole 24 Ore. Altra stortura citata è quella di Mario Sechi, passato alla direzione di Libero poche settimane dopo essere stato capo ufficio stampa di Giorgia Meloni.

Capitolo a sé merita Antonio Angelucci, deputato leghista nonché proprietario di un gruppo editoriale che controlla numerosi quotidiani e che ora, come ricorda il testo dell’Ue, “ha intenzione di acquisire l’agenzia di stampa Agi da Eni”. Se ciò accadesse, “la valutazione del rischio potrebbe essere diversa”. Tradotto: il giudizio sul nostro Paese peggiorerebbe.

Per tutte queste ragioni il Centro mette in fila una serie di raccomandazioni all’Italia. Le più stringenti riguardano la Rai, anche perché l’Ue ha da poco dato il via libera al Media Freedom Act, un testo che sollecita gli Stati membri a garantire nomine trasparenti e meritocratiche nelle tv pubbliche. Perciò il Centro consiglia di “modificare la legislazione riguardante la nomina e la revoca dei membri del cda e dell’ad Rai” e di “provvedere, a partire dal prossimo rinnovo del consiglio di amministrazione della Rai nel 2024, affinché il consiglio venga nominato sulla base di procedure trasparenti, aperte, efficaci e non discriminatorie e sulla base di criteri trasparenti, oggettivi, non discriminatori e proporzionati”. Quanto alla libertà di stampa, il report raccomanda di “approvare una riforma organica della legislazione penale in materia di diffamazione in conformità alle richieste della Cedu e della Corte Costituzionale”, di “introdurre una più ampia protezione dei whistleblowers” e infine di “evitare restrizioni ingiustificate all’accesso alle informazioni dei giornalisti”. L’esatto contrario di quel che la maggioranza ha annunciato di voler fare. Per questo Barbara Floridia, presidente della Vigilanza Rai in quota 5S, accusa: “È urgente invertire la rotta: cancellare la Legge Renzi e dare all’Italia una legge in linea con l’Europa, ma anche una riforma seria sui conflitti di interesse e sulle incompatibilità tra incarichi pubblici e partecipazioni nel settore media”.

Il rapporto e l’uscita di Floridia fanno però infuriare Fratelli d’Italia, chiamato in causa più volte dall’Ue. Augusta Montaruli, componente della Vigilanza, parla di “uso strumentale del rapporto” da parte della 5 Stelle e le chiede di difendere Francesco Filini, collega meloniano in Vigilanza citato dal Centro studi come l’autore di un emendamento sulla par condicio (quello che escludeva i membri del governo dalle regole sui tempi di parola validi per maggioranza e opposizione) portatore di uno “pericoloso squilibrio”: “Floridia – accusa Montaruli – dovrebbe difendere un esponente della Commissione di vigilanza, il collega Filini, richiamato nel report per la sua attività di parlamentare. È semplicemente vergognoso che collabori a comprimere l’attività parlamentare anziché favorirla”. Come dire: il problema è citare Filini, non ciò che l’Ue contesta nel merito.

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