Sono presenti anche Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi al Forum Trans-Mediterraneo sulle Migrazioni (TMMF) di Tripoli voluto dal Governo di unità nazionale (Gun) di Abdul Hamid Dbeibah che ospiterà anche Spagna, Grecia, Germania, Austria, Paesi Bassi, Malta, Repubblica Ceca, Niger, Ciad, Sudan, Senegal, Algeria e Tunisia, oltre a Lega araba, Unione africana e Unione europea con la presenza del vicepresidente della Commissione Ue Margaritis Schinas. In Libia la questione dei migranti incrocia quella dei paramilitari filorussi presenti nell’area, un’ipoteca sull’unità del Paese, come le navi russe attraccate a giugno a Tobruk, nella Cirenaica governata dal generale Khalifa Haftar, e i recenti carichi di armi a lui destinati, sequestrati e transitati anche da porti italiani e provenienti dalla Cina. Così, proprio mentre l’Unione europea cerca la quadra politica dopo le elezioni, il Forum di Tripoli punta a un “coordinamento integrato sotto un’unica egida” del contrasto alle migrazioni illegali, chiarendo che “il progetto dovrà essere guidato dalla Libia“, tornata ad essere il primo Paese di partenza dei migranti diretti in Italia, con la maggioranza che salpa proprio dalla Tripolitania di Dbeibah. Che infatti alza la posta e pure le stime. In vista del Forum, il suo ministro degli Interni, Emad Trabelsi, ha dichiarato che “il numero di stranieri in Libia è stimato in 2,5 milioni, la maggior parte dei quali è entrata irregolarmente”. Stima che non ha riscontri ma c’entra col tentativo di passare “da approcci unilaterali alla sicurezza verso approcci globali allo sviluppo”, come ha detto Walid Ellafi, ministro per la Comunicazione e gli Affari politici del Gun. Un modo per dire ai partner presenti al Forum, Unione europea in testa, che servono più soldi.
Torniamo ai numeri: l’Italia è tra i fondatori dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), l’Agenzia delle Nazioni Unite che sarà presente al Forum e che in Libia, come in altri Paesi, realizza il progetto Displacement Tracking Matrix (DTM), per monitorare i movimenti della popolazione e raccogliere, analizzare e condividere le informazioni a supporto di interventi basati su dati concreti. Secondo quelli raccolti tra marzo e maggio 2024, in Libia sono presenti 725.304 migranti, meno di un terzo di quelli denunciati da Trabelsi. A chi crederanno Meloni e Piantedosi? A chi i rappresentanti dell’Unione europea, che peraltro finanzia il progetto DTM dell’Oim? Tripoli rilancia parlando di un allarme ormai anche fiscale, perché gli irregolari “non pagano le tasse“. Il rapporto Oim chiarisce che l’81% dei migranti in Libia lavora, soprattutto nell’edilizia, ma anche come lavoratore domestico, operaio nell’industria e nell’agricoltura. Il lavoro tuttavia non assicura un permesso di lavoro, precluso alla maggior parte dei migranti, soprattutto subsahariani, che restano così esclusi dai servizi essenziali. Del resto, solo il 2% dichiara di avere un contratto “scritto e firmato”. Un problema secondario, almeno per Trabelsi, che rinvia la questione dei permessi di lavoro perché “va prima risolto il problema dell’immigrazione illegale”.
Interessante nel rapporto Oim è anche l’origine degli stranieri nel Paese: 25% dal Niger, 22% dall’Egitto, 20% dal Sudan, 11% dal Ciad, 4% dalla Nigeria. La diversa distribuzione degli stranieri nel Paese, si legge, evidenzia “l’influenza dei legami storici, socioeconomici, etnici e culturali che si sono sviluppati attraverso la migrazione circolare delle popolazioni dai Paesi confinanti, in particolare Niger ed Egitto, Sudan e Ciad”. A dimostrazione che la Libia rimane anche un Paese di destinazione dove cercare un lavoro che, nella maggioranza dei casi, è il principale sostentamento delle famiglie rimaste a casa. Confrontando i principali Paesi d’origine con la cittadinanza dichiarata dai migranti sbarcati in Italia nel 2024 si nota poi, ad esempio, che il Niger non è tra i primi dieci Paesi di provenienza, e che il Sudan è solo ottavo, con il 3% degli arrivi per un totale di 911 persone nel 2024 e con un tasso di riconoscimento delle domande d’asilo che negli ultimi anni supera l’80%. E questo perché nel Paese è in corso un conflitto che in un anno, dall’aprile del 2023, ha prodotto 8,4 milioni di sfollati, fuori e dentro al Paese, compresi 2 milioni di bambini sotto i 5 anni. E però non fa notizia: ad oggi gli aiuti internazionali destinati a Khartoum sono mille volte meno di quelli arrivati a Kiev. Eppure in Sudan si continua a sparare, a morire, anche di fame. E a scappare. In Egitto, dove Amnesty International ha denunciato gli arresti arbitrari di massa e le deportazioni illegali di migliaia di rifugiati sudanesi. E in Libia, dove il sindaco di Kufra, nel Sud del Paese, ha appena dichiarato ad Agenzia Nova che “ne entrano mille al giorno e ne ospitiamo più di 40mila: la situazione è fuori controllo”. Quando si è insediato il governo Meloni, nel settembre 2022, gli stranieri in Libia erano 680mila. La depenalizzazione del traffico di migranti in Niger dopo il colpo di Stato, e la crisi in Sudan sono tra le ragioni che spingono gli ingressi. Negli ultimi due anni nigerini e sudanesi sono i gruppi cresciuti di più, rispettivamente dell’11,7% e dell’11,4%. Mentre il secondo gruppo, gli egiziani, è aumentato del 5%. Numeri da tenere a mente qualora i servizi segreti italiani tornassero a sostenere, come già l’anno scorso, che in Libia ci sono 685mila migranti pronti a partire per l’Italia, mentre si trattava del totale degli stranieri allora presenti nel Paese.
Le questioni da affrontare non mancano, dunque, anche senza triplicare il numero dei migranti e nascondere che la maggior parte lavora, fatica a ottenere i documenti e nel 20% dei casi denuncia “assalti e aggressioni”. A ben guardare, è dal 2011 che in Libia non ci sono 2,5 milioni di stranieri, cioè da prima del conflitto che portò alla caduta di Muammar Gheddafi. Appare evidente che la sparata di Trabelsi ha a che fare col tentativo di alzare la posta e le richieste di sostegno da avanzare all’Europa, magari con la benedizione di un governo italiano al quale la credibilità di Trabelsi poco interessa. Il ministro è schedato dalle Nazioni Unite come uno dei principali capi del traffico di esseri umani in Libia, ma questo non ha impedito che nell’ultimo anno i rapporti con l’esecutivo di Meloni si stringessero e gli incontri si moltiplicassero, anche a Roma e con tutti gli onori. Del resto, anche l’Unione europea ha già dimostrato in Tunisia di saper chiudere gli occhi e aprire il portafogli in cambio del controllo esterno delle sue frontiere. Chissà se al Forum di Tripoli verrà citato l’appello dell’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu Volker Türk, che pochi giorni fa a Ginevra ha chiesto alla comunità internazionale “di rivedere e se necessario sospendere la cooperazione su asilo e migrazione con le autorità libiche coinvolte nelle violazioni dei diritti umani“, come quelle rilevate dalla missione indipendente Unsmil: tratta di esseri umani, torture, lavoro forzato, fame indotta, deumanizzazione di richiedenti asilo, migranti, rifugiati, e vendita di uomini, donne e bambini. Oltre a detenzioni arbitrarie, esecuzioni extragiudiziali e persecuzioni contro le persone che si oppongono al governo e contro le loro famiglie.
Di tutto questo, oltre che delle stime sui migranti, gli ospiti del Forum potrebbero chiedere conto, visto che al Forum ci sarà la rappresentanza dell’Unsmil e anche quella dell’Unhcr. Nell’ultimo rapporto sulle rotte di terra in Africa pubblicato con l’Oim e il Mixed Migration Centre (Mmc), l’Alto commissariato Onu per i rifugiati individua, tra l’altro, le aree dove i migranti denunciano di aver subito violenza sessuale e rapimenti a scopo di riscatto. Al primo posto c’è proprio la Libia, mentre il deserto e Paesi come Niger, Sudan e Mali arrivano dopo. In Libia i migranti sono vittime di gruppi armati e bande, ma anche le forze di polizia, i militari, la guardia di frontiera e gli ufficiali dell’immigrazione sono indicati come responsabili di abusi. Non va dimenticato che in Libia la legge espone al carcere e ai lavori forzati chiunque sia privo di documenti o permesso. Migliaia i migranti che ogni anno sono vittime di detenzione arbitraria, anche nei centri governativi, compresi tanti di coloro che la cosiddetta guardia costiera libica intercetta in mare e riporta indietro: oltre diecimila da inizio anno, anche minacciando gli equipaggi delle navi umanitarie e gli stessi migranti com’è accaduto ancora nei giorni scorsi. Nondimeno, come ha dichiarato Piantedosi, proprio grazie agli investimenti dell’Italia e dell’Ue, “la Libia di oggi è cambiata”. Investimenti che Tripoli e Bengasi chiederanno di aumentare ulteriormente, approfittando della partita geopolitica che rilancia la competizione strategica nel Paese e alza la posta in gioco.