Nella rissosa e sguaiata contemporaneità, dove il conflitto, anche aspro ma comunque potenzialmente generativo, ha lasciato ampio spazio al discorso d’odio e allo storm shit proprio dello sciame (digitale o meno), sono coinvolte purtroppo anche la sinistra e pezzi del movimento femminista. Il danno è enorme, non solo perché si rischia di perdere il valore dello scambio, del conflitto e del confronto, ma anche perché la destra rischia di capitalizzare a suo favore l’immobilità e l’assenza di dibattito a sinistra, e stabilisce un unico e potente narrazione di argomenti fondativi.
I tre temi sui quali volano stracci nel femminismo e a sinistra sono la prostituzione, l’utero in affitto e la laicità. Tralasciando l’ultimo argomento (sul quale ad Altradimora si ragionerà con attiviste italiane e internazionali nel seminario dal 6 all’8 settembre 2024) vorrei segnalare un testo collettivo che offre la possibilità di approfondire in modo interlocutorio, onesto e puntuale sui due argomenti precedenti.
Parlo di Vietato a sinistra. Dieci interventi femministi su temi scomodi, a cura di Daniela Dioguardi con l’introduzione di Francesca Izzo nel quale Silvia Baratella, Marcella De Carli Ferrari, Lorenza De Micco Anna Merlino, Caterina Gatti, Cristina Gramolini, Roberta Vannucci, Doranna Lupi, Laura Minguzzi, Laura Piretti, Stella Zaltieri Pirola offrono riflessioni chiare, pacate e documentate per provare a riaprire il dialogo tra posizioni molto lontane.
Come fa notare Francesca Izzo nella sua introduzione “alcune donne, unite dalla passione per la differenza e la libertà femminile, hanno deciso di mettere in fila questi temi cosiddetti ‘divisivi’ e di sottoporli alla discussione con franchezza, senza reticenze e timori, perché solo così si rispetta la forza e la maturità dei movimenti delle donne e si getta luce sulla precarietà, o meglio, sulla drammatica inadeguatezza della cultura politica delle forze “democratico progressiste”.
Avere il coraggio di mettere nero su bianco la fatica della fase storica nella quale non il pensiero avverso, ma quello vicino al tuo rischia di negare la differenza sessuale, è il valore aggiunto di questo testo collettaneo, che parte dalla domanda posta da Izzo, che è la domanda di molte femministe: “Perché per porre fine alle discriminazioni si deve annullare la differenza sessuale? Io trovo che ci sia qualcosa di profondamente misogino in questa idea di libertà e di inclusione che punta sul neutro. Nei fatti ciò che viene dissolto è la ‘donna’ (dell’uomo non se ne parla) per raggiungere una eguaglianza secondo imperativi sociali pensati e voluti dagli uomini per gli uomini”.
Non solo il libro evidenzia i pericoli connessi con le nuove teorie del neutro di sinistra, che culminano visivamente nella schwa: il testo illumina il tema della cancellazione della madre attraverso la legge sull’affido condiviso, della parola femminista tra svuotamento e risignificazione, del rischio che la ‘rivoluzione gentile’ non sia più gentile, come ipotizzano Cristina Gramolini e Roberta Vannucci.
Oggi un movimento antagonista per le libertà sessuali che si autodefinisce transfemminista si sovrascrive al femminismo e detta alle più giovani la nuova interpretazione dello slogan ‘il corpo è mio e lo gestisco io’, nel senso di ‘il corpo è mio e lo vendo io’. Nel transfemminismo c’è una forte presenza maschile interessata alla trasgressione e che rielabora il femminismo. Nella Weltanschauung transfemminista la prostituzione è un lavoro come un altro se svolto in proprio e il sistema prostituente è taciuto: è politicamente corretto non giudicare chi recluta le donne prostituite e chi le usa sessualmente, mentre chi denuncia sfruttamento e abusi è bersaglio di accuse di ‘puttanofobia’ e allontanato a urla e spintoni dalle manifestazioni” – scrive Stella Zaltieri Pirola.
Una verità di questa contemporaneità complessa e dolorosa la scrive Doranna Lupi, e questa riflessione serve a raccontare lo stato dell’arte del (mancato) dibattito: “Il femminismo conosce bene la violenza causata dai cosiddetti ‘stereotipi di genere’, ma sovrapporre la ‘nozione’ di ‘violenza di genere’ a quella di violenza maschile sulle donne modifica di colpo l’orizzonte in cui ci muoviamo. Spostando l’attenzione dalla violenza maschile al ‘genere’, distogliamo lo sguardo dalla drammatica portata reale e simbolica del conflitto tra i due sessi a causa della storica prevaricazione del sesso maschile su quello femminile. Da questa forma di dominio, inscritta nell’ordine simbolico patriarcale, deriva ogni altra forma di dominio sui corpi e sulla natura”.